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Peppino Mereu: la poetica sociale ed esistenziale di uno ‘scapigliato’ sardo (parte 2^)

La prima parte è qui

La poesia di Mereu, in definitiva, si configura quale espressione dell’intima assimilazione, da parte dello stesso, di espressioni culturali che hanno carattere nazionale sapientemente mescolate alla cultura contadina e pastorale del piccolo paese. L’estro poetico letterario di Peppinu Mereu assorbe non solo l’urlo poetico esistenziale individuale dello stesso poeta ma esprime altresì istanze sociali e politiche sentite dalla comunità tonarese e da tutte le genti dell’isola.

Sulla formazione del Mereu si segnala quanto sostenuto dallo storico Manlio Brigaglia (è chiaro che studi da autodidatta o regolari che fossero Mereu ne aveva fatti: lo dimostra il taglio della sua poesia, i riferimenti letterari che vi si colgono, il sistema di idee che vi circola, perfino l’uso "sprezzato" e quotidiano che vi si fa talvolta dello stesso periodo espressivo, costruito secondo i modi della poesia di paese più consueta e meno alfabetizzata, insomma più "orale") e dallo scrittore e poeta Francesco Masala (A pensarci bene, la crisi di Peppinu Mereu è la stessa crisi della piccola borghesia nuorese, altalenante tra l’ironia e la follia alcolica de sos iscopiles, puntualmente espressa dal gruppo dei poeti de su connottu, positivisti, anticonformisti, scapigliati e maledetti.).

Quella di Peppino Mereu fu scelta di vita e d’amore per la poesia in limba voluta consapevolmente e appassionatamente. I tratti caratteriali dell’uomo sono quelli di una persona a cui fin da giovane vengono a mancare i genitori. Il poeta di Tonara vive in solitudine e malfermo di salute; testardamente avverso a qualsiasi tipo di imposizione e a ogni forma di potere, mostra di essere sensibile e sinceramente angustiato dalle ingiustizie sociali. Fu il servizio prestato come carabiniere dal 1891 al 1895 che fece conoscere a Peppino e toccare con mano le asperità che la vita, in ogni parte della Sardegna, riserva ai diseredati, alla gente comune, al pastore, al contadino. Insofferente nei confronti della disciplina militare e profondamente deluso dalle piccole e grandi ingiustizie che aveva avuto modo di rilevare e anche subire durante il servizio prestato nell’Arma, il poeta si avvicina agli ideali propugnati dal movimento socialista, che proprio in quegli anni di fine secolo andava sviluppandosi. Con le sue opere interpreterà i vari aspetti di una crisi sociale ed economica che colpirà diffusamente non solo la Sardegna ma l’intera nazione italiana. E’ una crisi, peraltro, che per Mereu avrà amari risvolti personali. Infatti, sostiene Francesco Masala: “Di questa crisi il poeta Peppinu Mereu è pregnante testimonianza: figlio di medico proprietario, si ribellò alla famiglia e alla sua condizione piccolo-borghese, naufragò in una dimensione esistenziale, disordinata ma ancorata ai valori e alla cultura comunitaria del suo villaggio; la gente di Tonara protesse, onorò e nutrì il suo poeta maledetto”.

Dopo il congedo, per gravi motivi di salute, dalla vita militare, inizia per Mereu, che in quel momento ha venticinque anni, la discesa della sua parabola esistenziale. Ci pare di vederlo, nei terribili inverni di Tonara, accanto al camino, coperto dall’orbace e sofferente, ravvivare il fuoco con carte sulle quali ha scritto dei versi. Raccontano che proprio in questo modo siano andate perdute molte delle opere del poeta. E’ una delle leggende che circolano sul tonarese che viene riportata nel risvolto di copertina di una delle più recenti edizioni delle sue opere: si dice che Mereu utilizzasse i fogli su cui aveva scritto qualche poesia per difendersi dalle rigidissime temperature degli inverni barbaricini. Vive spesso con mezzi di fortuna, con l’aiuto di pochi amici, in condizioni di progressivo isolamento, braccato dalla malattia e da un male di vivere di cui non riuscì mai a liberarsi. Si impiegò come scrivano presso il Comune di Tonara tra l’Ottobre del 1898 e la fine del 1900. Muore il primo giorno di Marzo del 1901, di diabete dicono alcuni, o di tisi, secondo altri. La tisi doveva essere, effettivamente, un dato concreto della biografia di Mereu. A sostegno di tale ipotesi, sostiene Brigaglia, vi sarebbero la cupa malinconia del poetare di Peppino e la sua morte precoce.

Difficile l’inserimento dell’opera del tonarese nell’ampio panorama poetico e letterario dell’Italia di fine Ottocento - inizio Novecento, dal momento che tra l’altro, sostiene Giancarlo Porcu, “La stessa presenza di italianismi nella lingua della tradizione poetica sarda – energica infatti in Mereu – ci parla di una assimilazione a distanza, decentrata, riguardosa, e non invece di un commercio diretto e intenso con la tradizione e la lingua ‘nazionali’.” e che le caratteristiche della poesia di Mereu derivano da scelte che lo stesso poeta tonarese compie a monte, “entro il sistema poetico in sardo, perché, periferia tra le periferie rispetto ai centri egemonici da cui pure è politicamente dipesa, la Sardegna, quella rustica in special modo, dovette sviluppare – metabolizzando di continuo apporti ‘altri-alti’ – una tradizione poetica con un proprio sistema di generi e di livelli interni, inventandosi fra l’altro una speciale lingua letteraria, con domini geografici soprattutto centro-settentrionali (il cosidetto logudorese illustre), e una singolare civiltà metrica.”. 

Purtuttavia l’opera di Mereu va inserita, quanto a contenuti, in un contesto postunitario culturale generale in cui in tutta Europa vanno crescendo e sviluppandosi la società di massa e, a essa collegate, le istanze partecipative delle genti e gli effetti della modernità, in un grande calderone in ebollizione in cui la Sardegna versa in condizioni di arretratezza veramente drammatiche. Il malessere e l’insoddisfazione della popolazione per un livello di tassazione impossibile da sostenere imposto dal governo unitario, la mancanza di strutture viarie che consentano agevoli collegamenti tra i vari centri dell’isola, l’insufficienza della rete dei trasporti, che è tale da non riuscire ad assicurare un sistema decente di collegamenti esterni all’isola stessa, vanno aumentando. Oltre a ciò, sempre nel contesto di un disagio che ha caratteri generali europei, sono da mettere in rilievo le particolari disastrose condizioni economiche della Sardegna aggravate dalla inadeguatezza a stare sui mercati della pastorizia e dell’agricoltura sarde e dalla sensibile diminuzione dei traffici commerciali d’oltremare conseguente all’adozione, da parte della Francia, di severe politiche protezionistiche. Al quadro d’insieme sinteticamente delineato vanno aggiunti da una parte il fenomeno del banditismo e le correlate severe misure di repressione adottate dal governo, dall’altra lo svilupparsi un po’ dappertutto, all’interno della classe lavoratrice, della consapevolezza dei propri diritti, delle prime lotte di classe, degli scioperi, del movimento politico socialista. 

Il quadro storico politico che si è sinteticamente delineato è quello in cui attivamente si inserisce la vicenda artistico esistenziale di Mereu. Ecco perché siamo convinti che alla poesia del tonarese debba essere attribuito per intero il rilievo che le compete e che merita. Nelle sue poesie Mereu dimostra di essere uomo perfettamente calato nell’attualità delle questioni dei tempi in cui, sia pure per pochi anni, ha vissuto [1] e la valenza sociale della sua opera per certi versi si spinge oltre gli angusti confini di una terra, la Sardegna, soprattutto allora relegata ai confini del mondo.


[1] Sui tempi cambiati, ad esempio, e sul mutamento delle condizioni economiche, si leggano le poesie ‘Lamentos de unu nobile’: ‘1.Funesta rughe/chi giust'a pala/per omnia saecula/ba’in ora mala./ 2. In diebus illis/m'has fatt' onore,/ma oe ses simbulu/de disonore./3. Oe unu nobile/chi no hat pane,/senz' arte, faghet/vida ‘e cane./4. Senz'impiegu/su cavalieri,/est unu mulu/postu in sumbreri./5. A pancia buida,/senza sienda,/papat, che ainu, paza in proenda./6. Deo faeddo/cun cognizione,/ca isco it' este/s'ispiantaggione./[…]11.Ah caros tempos/c’happo connottu!/sezis mudados/in d'unu bottu!...’ e ‘A Nanni Sulis II’: ‘Unu die sa povera Sardigna/si naiat de Roma su granariu;/como de tale fama no nd'est digna./Su jardinu, su campu, s’olivariu/d'unu tempus antigu, s'est mudadu/ind'unu trist'ispinosu calvariu.’.

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