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Pensieri ad alta voce sul ponte sullo Stretto di Messina

Penso ai dati dell’Enea sui movimenti verticali che indicano un sollevamento differenziale della sponda calabrese di circa 1,5 mm/anno contro 0,6 mm/anno della parte siciliana e dell’incertezza dei progettisti del ponte se si tratti di valori di spostamento continui o discreti. Penso ai dati satellitari sui movimenti orizzontali, indicanti la divaricazione fra Calabria e Sicilia, che procede senza sosta al ritmo di un cm/anno. Penso alle frane e agli scivolamenti gravitativi profondi specie sul versante calabrese, che possono identificarsi in frane colossali. Penso ai venti in quota che potrebbero rendere intransitabile l’eventuale ponte per circa un mese l’anno. Penso che il ponte è un pendolo, che può oscillare liberamente con un’ampiezza di svariati metri.


Poi mi tranquillizzo, per quanto riguarda l’allontanamento improvviso delle coste, perché i giunti posti alle estremità dell’impalcato sarebbero in grado di assorbirne lo strappo. Ricordo che i giunti servono a compensare la dilatazione termica delle parti metalliche del ponte e nelle giornate molto calde l’intero impalcato può allungarsi di quasi sette metri. Ricordo ancora che ciascun giunto è fatto come una coppia di pettini con i denti intersecati che possono scivolare allontanandosi reciprocamente fino a tre metri e mezzo. Ma ricado ancora nei miei pensieri: che cosa accadrebbe se il terremoto si verificasse in una giornata fredda, quando il ponte è al minimo della sua dilatazione termica e i giunti fossero a fine corsa? In tal caso, ovviamente, i giunti si romperebbero, e l’impalcato si spaccherebbe. Il ponte resterebbe in piedi, perché sono le torri e le funi a sostenerlo, ma le auto in transito in quel momento avrebbero qualche grosso problema.

Penso che un buon padre di famiglia non si indebiterebbe pesantemente per realizzare qualcosa di non urgente, poco necessaria all’orgoglio italico, non sicura al 100%, e che apporterebbe benefici solo ad una limitata parte della famiglia stessa. L’Italia sta attraversando, come tutto il resto del mondo, un periodo di grave crisi economico - finanziaria, all’interno del quale emergono sempre di più grossi problemi sociali. Forse, sarebbe opportuno fare delle scelte drastiche e dare la priorità alle opere più sicure, e delle quali possano beneficiare tutti i cittadini. Troppi pensieri, troppi dubbi.

Commenti all'articolo

  • Di generation60hz (---.---.---.12) 24 marzo 2009 05:29

    Penso all’inutilità di un ponte derivato dalla quasi totale impraticabiltà dell’autostrada Salerno-RC e quindi dal quasi impossibile incremento di turismo "nazionale" e trasposto merci...non credo che i calabresi passino in massa le proprie vacanze in Sicilia...Se proprio si volesse aiutare la mia bella terra si dovrebbe potenziare tutta la batteria autostradale(inesistente nel sud-est dell’isola) oltre che inaugurare questo benedetto aeroporto di Comiso(altro che inizi del 2009!!) così da poter aiutare la produzone agricola attualmento in stato di sfacelo continuo e anche il turismo che proprio nella mia zona(sotto siracusa) sta conoscendo un piccolo incremento che potrebbe essere spazzato via proprio dall’inettitudine e dalla cecità di pochi maiali messi a pascolare nei nostri consigli comunali.
    E potrei continuare per ore!!

  • Di Gianluca Bracca (---.---.---.85) 25 marzo 2009 10:47

    Concordo con l’articolo e soprattutto con la conclusione circa la destinazione di risorse contro la crisi.

    Porto a contributo la proposta di Fernando Rossi, portavoce del movimento politico Per il Bene Comune, contro la crisi, appunto.

    Contro la crisi (fonte: http://www.perilbenecomune.org)

    «Il Governo Berlusconi ha deciso di intervenire contro la grave crisi finanziaria e le sue pesanti conseguenze economico/occupazionali, continuando ad erogare ingenti risorse pubbliche agli ambienti che, stando alle notizie riportate dai media, sono più permeati da massoneria e criminalità organizzata: le banche ed i grandi lavori.

    • Sembra incomprensibile, se ci si attiene alla logica, il fatto che per uscire dalla crisi si diano ancor più soldi pubblici proprio a chi la crisi l’ha fatta, ma diventa tutto ben comprensibile sapendo che sono loro a comandare gli attuali partiti. Noi di PBC abbiamo invece chiesto la nazionalizzazione di Bankitalia, dando attuazione alla legge 262 del 28 dicembre 2005 che ne aveva deciso la nazionalizzazione entro il 2008; ma PdL, PDL-L, Di Pietro, Lega e UDC, fanno orecchie da mercante. Il PDL-L, con Franceschini, ha addirittura dichiarato: "Bankitalia non si tocca", e noi non siamo certo tra quanti possono meravigliarsi del loro feeling con i banchieri (Unipol, Monte dei Paschi, Unicredit, Banca Intesa, ecc., ecc.).
    • In merito ai grandi lavori, mentre invitiamo alla lettura di Grandi opere, di Marco Cedolin, è utile ricordare che il loro rapporto con la criminalità organizzata è già stato drammaticamente illustrato anche dall’Antimafia alle commissioni parlamentari (ma forse alcuni membri ne avevano già una diretta esperienza), quindi qui affronterò il solo aspetto economico. Per la tenuta, l’innovazione e la crescita qualitativa del nostro apparato produttivo, servono enormi risorse, sprecarle in opere inutili (o protempore, come il ponte sullo stretto destinato a crollare al primo, già previsto, movimento tellurico), dannose per l’ambiente e la salute, e distruttrici di attività economiche vitali per le comunità colpite, è una scelta grave e irresponsabile, dettata unicamente dal potere del malaffare partitico-finanziario-cementificatore e criminale che lo ha affinato come tecnica per il prelievo veloce di grandi quantità di denaro pubblico. Il loro alibi "culturale" supportato dagli economisti di regime (gli stessi che osannavano la creatività finanziaria che ora ci ha travolto) è che anche l’America del New Deal uscì dalla crisi del ’29 con le grandi opere pubbliche; una bella fesseria, visto che quella fase storica era dominata dall’isolazionismo americano, mentre oggi siamo in piena, e selvaggia, globalizzazione.


    La nostra proposta è che tali ingenti risorse, previste per le banche private, per i grandi lavori e per l’auto, vadano invece utilizzate per garantire liquidità a nuove imprese ed a piccole e medie imprese già operanti, in modo da bypassare la stretta creditizia, difendere l’occupazione e liberare risorse verso la ricerca e l’innovazione.

    Di risorse pubbliche "per l’industria" i vari governi ne hanno bruciate una quantità incredibile, con risultati economicamente ed ambientalmente scandalosi, quindi vanno urgentemente introdotti criteri e modalità innovative. Ad esempio: oggi in caso di fallimento, di delocalizzazione produttiva o di reati che portino alla chiusura dell’azienda, delle risorse pubbliche investite non rimane alcuna traccia o beneficio; con la nostra proposta il Comune continuerebbe a disporre di immobili da girare a nuove attività produttive o all’ampliamento di attività già in essere. Infatti noi proponiamo che vi sia la costituzione di un fondo nazionale ma che il momento di valutazione e di erogazione sia comunale, in modo che l’intera comunità sia partecipe della scelta e garante degli impegni che l’azienda va ad assumersi.

    Il tipo di finanziamento ottimale, per l’interesse pubblico e per l’impresa sana è quello dell’acquisto pubblico di una parte degli immobili produttivi, rigirati in affitto alla stessa azienda (calcolando un ventesimo dell’investimento pubblico e applicando un’interesse annuo dell’1,50%). In tal modo quella quota parte di immobile entra nel demanio comunale portando a pareggio l’investimento e dando maggiore elasticità al bilancio comunale (patto di stabilità e rapporto tra la situazione patrimoniale e la spesa corrente).

    Le caratteristiche delle Aziende richiedenti, o gli impegni che le nuove aziende devono assumere e sottoscrivere, sono quelle del rispetto dei diritti dei lavoratori, delle norme ambientali, della sicurezza sul lavoro e della regolarità della propria posizione tributaria.

    Qualora, come accadrà a seguito della gravità della crisi, la domanda delle aziende dovesse essere, per numero e per quantità dell’investimento, ben oltre lo stanziamento messo a disposizione dallo stato (ma per una Bankitalia nazionalizzata e riappropriatasi della potestà di battere moneta e acquisire il relativo diritto di signoraggio, il finanziamento potrebbe essere in teoria illimitato), la priorità andrebbe data agli effetti positivi dell’attività aziendale, ove assieme alle ricadute occupazionali andrebbero valutate: la riduzione di kilometraggio su gomma nei trasporti di merci e persone, l’impatto ambientale, l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili.

    Sviluppando questa politica economica l’Italia reggerebbe la crisi e ne uscirebbe più forte di altri sistemi paese che continueranno, inutilmente, a bruciare risorse, dandole alle solite grandi industrie dell’auto, alle banche private, alle società dei grandi lavori o ad altri settori "politicamente forti".»

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