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Pena di morte. Da Stato di diritto a Stato di violenza

A volte le cose non sono come sembrano. I fatti che accadono sono sempre reali, ma le notizie che parlano di quei fatti sono sempre manipolate con o senza dolo, perché riflettono sempre un’interpretazione della realtà.

La pena di morte per legge o l’uccisione di chi sgarra nella malavita è sempre una sentenza che viene eseguita.

Si può affermare che il diritto, la consuetudine e le usanze, sono tutte facce della stessa barbarie. Un’uccisione rimane sempre tale. Il meccanismo è lo stesso: si viene giudicati, condannati e giustiziati.


Guardando le mafie, penso che da parte dei media venga sempre fatta la falsa distinzione tra un mafioso che spara e un mafioso che scrive. C’è chi usa la pistola e c’è chi usa la penna. I reati sembrano diversi ma lo scopo che si vuol raggiungere è sempre lo stesso: arricchirsi e sottomettere la massa. C’è chi usa il potere della forza e chi usa la forza del potere. I cittadini a loro insaputa sono vittime e complici allo stesso tempo.

Ci sono quelli che aderiscono alle mafie con convinzione e giurano fedeltà ai capi, e quelli che con il loro voto, tollerano i comportamenti mafiosi dei loro governanti, a volte perché ignorano il vero volto di chi li governa, più spesso perché hanno bisogno e nel loro bisogno il potere affonda gli artigli e macella i deboli, gli umili, gli ultimi.

In una trasmissione di Linea Blu dell’anno scorso, un funzionario albanese ha dichiarato, parlando di alcuni successi sul fronte del crimine in Albania, che se uno Stato non vuole, non si delinque. Parlava dell’Albania. In altri Stati chissà se sarebbe lo stesso.

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