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Patologia del formalismo

La causa dell’attuale degenerazione dell’umano consiste nel credere normalità il formalismo, mentre esso è solo uno dei punti di vista possibili per la comprensione della realtà. In base al formalismo, l’intuizione e la conoscenza sono ridotte da secoli a chiudersi nell’"ignoramus" e/o "ignorabimus", e ad aprirsi invece a dogmi di fede, dottrine, leggi e principi, come se questi provenissero da divinità. La patologia del formalismo, generatore, ad es., del pensiero unico comunista sconfitto dalla storia, è infatti un pensiero debole, talmente orgoglioso da sembrare volontà di impotenza. Infatti, basandosi prevalentemente sul Kant e Marx, il cosiddetto pensiero di Gianni Vattimo, inventore del "pensiero debole", consiste a conti fatti in un atteggiamento di pensiero semplicemente deligittimato dalla storia. Perché?

Perché si autodefinisce formalmente debole ma presume di essere sostanzialmente forte, anzi unico e univoco, tanto quanto l’universalità del pensare che vorrebbe contrastare! E Kant, infatti, è il più demolitore dei demolitori nel demolire la conoscenza, dato che scrive nella prefazione alla sua 2ª edizione di “Critica della ragion pura”: “[...] dovetti dunque annientare la conoscenza, per far posto alla fede”! Il sano di mente non può allora non chiedersi se la sua critica alla ragione abbia valore di ragione. In altre parole come può essere ragionevole una critica alla ragione se annienta il conoscere?
 
Se ci si disabitua a riflettere, non ci si può poi lamentare delle politiche giustizialiste o del rigore, o addirittura delazioniste (nel pianeta sovietico la delazione veniva considerata come il dovere civico per eccellenza) verso cui ci stiamo avviando secondo l’ottica orwelliana in cui l’ignoranza è forza, la libertà è schiavitù, e la guerra è pace.
 
Ecco perché i più convinti sostenitori del "dover essere" kantiano e del giustizialismo, della pena di morte, ecc., non distinguono la legalità dalla legittimità, la normalità dal normativismo, e l’autorità dall’autorevolezza. In nome del formalismo, in tale impianto di pensiero patologico, il cinico diventa civico (e viceversa)! In nome del formalismo, Gesù diventa un guerrafondaio in quanto dice che non è venuto a portare la pace ma la guerra... Lucrezio diventa un sadico in quanto dice che osservare filosoficamente la guerra è meglio dell’osservarne i salvati...
 
In verità il parlamentarismo fatto solo di parole è inutile se mancano i rapporti intuitivi fra le parole. Se non ci si rende conto di ciò, si fa lo stesso errore dell’idealista assoluto Fichte: vedere Dio nell’Idea, anziché nel rapporto fra Idee. Anche questo è un modo di ragionare patologico, in quanto meramente astratto. E non è forse vero che Fichte arrivò solo ad una grandiosa immagine astratta del mondo, senza alcun contenuto esperienziale concreto?
 
L’esperienza intuitiva del correlare le cose non è qualcosa che si deduce. Il dedurre lo fa anche un robot costruito su linguaggio binario. Se un robot vede due "esse" poste fra due "o", queste lettere non evocano nel robot il contenuto concettuale di un osso. Perché? Perché non avendo in sé il potere della correlazione intuitiva, non è portato alla comprensione intuitiva della parola “osso”.
 
Ecco dunque perché la pace nel mondo non viene se non si comprende intuitivamente l’importanza di correlazioni e rapporti fra concetti, parole, cose e persone. La correlazione è il vero potere presente nell’uomo.
 
Ed ogni vero potere è potere di correlazione intuitiva fra le cose. Il potere politico che volesse riformare solo la forma, senza minima intuizione della sostanza, non riformerebbe alcunché! Ed è proprio quello che avviene da secoli: tutto cambia affinché nulla cambi!
 
L’errore del formalismo è evidente mediante il seguente esempio preso dal mondo dei numeri.
 
Posto che A sia una serie di numeri dall’uno all’infinito (1, 2, 3, 4, 5, ecc.) e che B sia una serie di numeri pari dal due all’infinito (2, 4, 6, 8, 10, ecc.), posso dire che A, contenendo i numeri dispari non presenti in B, contiene una quantità numerica doppia rispetto a quella di serie B.
 
Poiché però l’insieme di A procede all’infinito (come l’insieme B) in esatta corrispondenza analogica, così come segue:
 
Serie di numeri A = 1, 2, 3, 4, 5, ecc.,
Serie di numeri B = 2, 4, 6, 8, 10, ecc.,
 
posso dire che le due serie contengono la medesima somma di numeri, ed allo stesso tempo che non è così, dato che la seconda ne contiene la metà, mancando ad essa i numeri dispari!
 
Fine dell’esempio.
È chiaro che qui c’è qualcosa che non va. Infatti se un uomo pesa 160 chilogrammi (insieme dei chilogrammi che equivale al suo peso) non può pesarne contemporaneamente la sua metà, cioè 80. È quindi evidente che nel conteggio delle due serie sostanziali di numeri si procede con l’espediente di inserire in esse l’idea di infinito, calcolandoli però secondo mero formalismo (cioè secondo un modo di procedere escludente l’intuizione umana).
 
Insomma se si hanno due panini e se ne mangia uno, si rimane con un panino. Non si può dire che uno è uguale alla sua metà o a due, o a tre, a seconda del convenzionalismo matematico o di geometrie non euclidee, ecc. La matematica non c’entra con l’opinione, né con l’inventiva, né con la convenzione: la somma degli angoli dei triangoli sarà sempre di 180 gradi.
 
Vi sono dunque scoperte matematiche che valgono per tutti, mentre vi è un formalismo che vale solo per chi non sa distinguere la forma dalla sostanza delle cose.
 
Chi afferma l’opinabilità della matematica, anche se è laureato o docente, ragiona secondo mero formalismo, ed è pertanto del tutto incapace di distinguere fra unità aritmetica e unità di misura.
 
Infatti l’unità aritmetica non è un fatto convenzionale costruito dall’uomo ma un fatto della natura costruttrice dell’uomo, così come un’aritmia cardiaca non è un fatto convenzionale ma un fatto naturale, e così come non è convenzionale il ritmo vitale stesso.
 
Invece l’unità di misura, essendo creata dal convenire umano per una convenienza di tutti, è convenzionale.
 
Io mi chiedo: è mai possibile che queste cose le possono capire solo i poeti e gli artisti?
 
Noi oggi procediamo nelle cose dell’economia, del diritto, e della cultura, come se l’etica provenisse da formalismo. Perciò abbiamo un’economia del debito, un diritto rovesciato, ed una cultura barbara.
 
Il formalismo, basandosi sulla mera forma è tutto deduzione priva di intuizione relativa alla sostanza delle cose, perciò va bene per l’informatica e per il suo linguaggio binario. La macchina deducendo da una stringa di un linguaggio informatico uno scatto lo compie immediatamente senza alcuna mediazione intuitiva.
 
Per l’etica ciò è ovviamente assurdo: l’etica non può provenire da deduzione, né da leggi, né da logiche numeriche finalisticamente neutre, cioè non può provenire da formalismo.
 
L’etica può provenire solo da sete di giustizia. Sento già l’obiezione dell’uomo bestia o dell’uomo macchina: “Definisci la sete di giustizia”. Ma il definire le cose significa solo finirle nella loro complessità. Senz’altro in futuro ci saranno anche automi superiori capaci di meccanica intuizione poggiante su definizioni di stringhe html. L’uomo però non sarà mai una stringa, perché la sete non la si può programmare o dimostrare, ma casomai solo constatare. La sete di giustizia è come il postulato in matematica: si avverte come vera ma non la si può dimostrare. Per esempio, che le rette parallele si toccano all’infinito non potrà mai essere dimostrato. Perché? Perché non si potrà mai andare all’infinito e vedere dove esse si toccano.
Ogni volta che si parla di infinito dobbiamo fare i conti col fatto che la perfezione non è di questo mondo finito. Questo, ovviamente, non significa che dobbiamo suicidarci a causa dell’infinito io che vive in noi, o sopprimerlo deducendolo come sovrastruttura della materia del nostro corpaccio materiale. Dico “corpaccio” e non “corpo” non per disprezzo verso la materia ma per fare una battuta di spirito sulla comicità di coloro che continuano a crocifiggere l’io umano credendolo materia! L’io è infinito e immateriale (chi infatti considera il proprio corpo fisico come controparte materiale dell’io è poi costretto poi a contraddire se stesso, perché il corpo fisico ogni sette anni cambia completamente tutta la sua struttura atomico-molecolare). E qui concludo il mio dire, o terque quaterque beati!
 
Insomma, nella maggior parte delle lingue sono individuabili tre voci particolari per designare i primi tre numeri, dopo i quali i numeri sono solo portatori di ripetizioni. Il Timeo di Platone inizia con le voci “uno”, “due”, “tre”, quasi anelando a dire subito tutta la verità. Infatti dopo il “ter” di questa “terna” di numeri, viene il “quater”, che in latino significa “quattro volte”, e che comporta la ripetizione di “ter” (qua-ter) da cui traspare lo straordinario fatto che dopo aver contato fino a tre si ricomincia da capo.
 “Ciò è inaudito”, obietterà subito l’emotività psicotica del portatore di mero formalismo, oppure l’anaffettivo robot del tutto privo di emozione.
 
Eppure sommando questa triade si ha 1 + 2 + 3 = 6, dopo di che viene il 10 (1 + 2 + 3 +4), che non è altro che un 1 a livello superiore, quello delle decine!
Ecco perché un antico augurio latino diceva “O terque quaterque beati!”, e voleva significare “O felicissimi voi”, nel senso di “Siate felici non tre o quattro volte ma un numero infinito di volte”. Infatti qui il ri-inizio con il quattro è ancora visibile nella somiglianza etimologica fra “quaterna” e di “caterva”, espressione di moltitudine infinita.
 
Con ciò è possibile riconoscere nella lingua e nell’antica mentalità una concezione e una consuetudine che riconosce al numero 3 un’importanza particolare, tanto da farne l’ultimo numero, in modo di avere nel quattro una nuova unità.
Questa è logica dei numeri o numerologia. Non giochetti numerici o cabalistici di infimo grado di tipo enigmistico.
 
Le università della specie animale uomo (da me sempre chiamate università dell’uomo bestia) soffrono a causa dei loro concetti del tutto inesatti, imprecisi, ed altamente fallaci per via di errori di osservazione, mai risolti, e tramite i quali si cade continuamente nella trappola della trappola della trappola (all’infinito). Trappola del formalismo! Intelligenza alquanto strana, dato che coi meccanismi del formalismo si può sostenere, per esempio l’intelligenza della trappola stessa, in base al fatto che il suo scattare, collegato al formaggio mediante una molla e questa all’apertura, riesce a catturare il topo che addenta il formaggio!
 
Ma si può davvero dire che una trappola per topi dimostra di essere intelligente?
Anche il mio intestino dimostra di essere intelligente, dato che scinde le sostanze. Ma cos’è un intestino se non l’espressione di un rettile interno? Cos’è uno stomaco se non l’espressione di una rana? E la lingua, una medusa, ecc.? Abbiamo infatti in noi, oltre al regno minerale, anche tutto il regno vegetale (sistema neurovegetativo) e tutto il regno animale… E gli uccelli che volano liberi nel cielo, cos’altro esprimono se non il pensare umano? Questo modo di ragionare è organico, anche se dai più considerato “fuori circuito”. In realtà è DENTRO il circuito della vitalità. “Fuori circuito” è invece il formalismo, tant’è vero che le riforme non possono avvenire se non nella sostanza. Altrimenti, se per riforma si intende il cambiare nella mera forma la precedente sostanza, non si può riformare alcunché. Perché? Perché ragionando per astrazioni, vale a dire secondo l’astratto che domina il concreto, i nostri “voli” di pensiero non sono liberi di volare verso correlazioni intuitive ma sono continuamente ingabbiati in pregiudizi. In queste condizioni di pensiero debole non si può accogliere il pensare organico. Ed anche se i nostri pregiudizi imperano in noi a partire dalle università, anzi dalle scuole elementari, bisogna prendere atto che NON ci è concesso di “volare”...

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