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Panta Rei: la scuola che si vede e che si tocca. E insegna a scegliere

“Prevenire e porre fine a gravi abusi dei diritti all’integrità fisica e mentale, alla libertà di coscienza e di espressione e alla libertà dalla discriminazione, nell’ambito della propria opera di promozione di tutti i diritti umani“.

Amnesty International

Pareti di terra cruda, tetto prevalentemente in paglia, immerso nel verde. Così si presenta il centro Panta Rei, a Passignano sul Trasimeno. Una scelta ecologica ragionata: non un rifiuto forzato del moderno per rifugiarsi in tempi passati, ma un connubio di rispetto per l’ambiente e comfort, come dimostra il segnale wi-fi sempre attivo.

Il progetto Panta Rei nasce dalla volontà della cooperativa “La Buona Terra” di reinventare un’area agricola di loro proprietà. Con l’aiuto del programma LEADER II e dell’Atelier Ambulant d’Architecture le strutture preesistenti sono state recuperare grazie all’utilizzo di materiali a basso impatto ambientale quali paglia, sughero, terra cruda e legno.

Panta Rei vuole insegnare mostrandosi, per questo tutti i materiali che la formano sono visibili, si possono toccare, sperimentare.

La struttura è un cantiere sempre attivo: infatti, data l’ambizione pedagogica che ha dato vita al progetto, giovani di tutto il mondo hanno la possibilità di immergersi nelle fondamenta del Centro, aiutando i soci nella costruzione e nel restauro del luogo stesso, come è stato concesso anche a noi che abbiamo deciso di vivere quest’esperienza a fianco di Amnesty International.

Dal 2005 questo soggiorno formativo diventa tappa fissa della ong, dapprima per una full immersion di storie ed informazioni destinata ai soli associati, poi estesa dal 2007 anche a tutti quei ragazzi che vogliono conoscere ed informarsi sui diritti umani, la loro violazione e il loro rispetto.

Sono partita con il gruppo 16- 24 anni, ospite e apprendista del centro, dal 3 all’8 agosto 2013.

Sei giorni, sei macro-temi da trattare, infinite domande da porre, che non sempre trovano una risposta appagante, perché “se si è in presenza di un atto di violazione dei diritti umani, non vi è una connessione di azioni logiche che ha portato al compimento del gesto”.

Nella prima giornata abbiamo avuto il piacere di incontrare Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, nonché docente di diritto internazionale, come traspare dalle sue parole, grazie alle quali riceviamo le prime basilari informazioni sui temi che avremmo trattato nei giorni seguenti.

Panta Rei è stata seppellita sotto i nostri “Perché?”, quelle stesse domande che ci avevano spinto a partecipare a questo campo e che appena sollecitate sono esplose.

Trasparenza delle forze di polizia: enorme e caldissima tematica che ci accoglie durante il nostro secondo giorno di permanenza, con la speciale partecipazione di Lorenzo Guadagnucci, giornalista del Resto del Carlino e vittima dei pestaggi compiuti dalle forze dell’ordine alla conclusione del G8 di Genova, nella notte del 21 luglio 2001, quando queste irruppero illegalmente nella scuola Diaz, centro del Genoa social forum, malmenando, umiliando e minacciando coloro che riposavano, legittimamente, all’interno dell’edificio.

Con la visione del film-documentario Black Block esplode l’emozione accumulata nel corso della giornata, trasmessa dal racconto e dai gesti del professionista, ancora nervosi nonostante le migliaia di volte in cui ha raccontato la sua storia e gli anni che lo dividono da quella notte nera: lui, testimone di un episodio che ha sconvolto la sua vita, ci lascia annichiliti.

Abbiamo studiato guerre, sentiamo e leggiamo di scontri armati, atrocità impensabili che colpiscono in maniera sempre più invasiva civili ed estranei al conflitto, ma provoca brividi spiacevoli sentire il racconto di un uomo che solo pochi anni fa ha subito, in una situazione legalmente consentita, violenze da parte di chi l’ordine lo doveva mantenere, che veste una divisa e che dovrebbe simboleggiare la totale devozione alla protezione del cittadino.

Il giorno seguente l’immersione nell’ambiente circostante è stata totale grazie al laboratorio di terra cruda organizzato per noi da Daniele, un collaboratore del centro che ci spiega come comporre un impasto adatto a essere spalmato o lanciato sulle pareti di un edificio in costruzione, per far sì che si ottenga un muro liscio. Data l’intensità del campo, è stato importante come momento di sfogo formativo data l’inusuale tecnica che stavamo praticando, ma tra questo momento di cementazione collettiva e la successiva doccia improvvisata con acqua piovana, tramite dei rubinetti esterni, la giornata si è rivelata decisamente più movimentata delle altre.

“Passaggio dalla certezza al mito“, percorso effettuato con Roberta Zaccagnini del coordinamento diritti economici, sociali e culturali ed esperta del diritto di abitare di Amnesty International, nonché uno dei nostri punti di riferimento costante al campo e Ray Lorenzo, urbanista e membro fondatore della cooperativa sociale ABCittà.

Mito? Gli stereotipi, da noi individuati sui Rom. Chi sono? Come mai destano così tanto sospetto? Perché sono finiti nel mirino di molti?

Scoprendo nuovi aspetti della loro cultura, analizzando i provvedimenti legali presi da diversi stati, come il “Piano nomadi” del comune di Roma intrapreso nel 2009, abbiamo avuto la possibilità di andare oltre il sentito dire e di formarci un’opinione.

LGTBIQ contronatura? Dopo le attività proposte dal formatore Giacomo Guccinelli non è pensabile. Chi sono i gay? Quando una persona è definibile come transgender? Quando e come transessuale e quando e come intersessuale? Quali sono i loro diritti in Italia e perché l’Italia e la Jamaica sono secondo statistiche pubblicate dall’ilga (http://ilga.org/) i due Paesi in cui nel 2012 si è verificato il maggior numero di omicidi di transessuali?

Il focus sull’importanza dei termini continua poi all’aperto, con Chiara, altro nostro punto di riferimento a Panta Rei, con la quale spostiamo il soggetto della discussione sui migranti: diritti e doveri? Chi sono i rifugiati politici? A chi si può richiedere una protezione umanitaria? Perché si continua a dire “clandestino”, termine scorretto e denigratorio, invece che migrante regolare?

Questo campo ci ha dato la possibilità di scegliere, che deriva dalla quantità e dalla qualità delle informazioni che si hanno in merito agli argomenti di cui si dibatte. Non tutti gli stereotipi sui rom sono andati svanendo e non tutti diventeremo attivisti, ma ora possiamo dire di saperne di più, non tutto, non definitivamente, solo ulteriormente: possiamo scegliere consapevolmente da che parte stare.

 

Giulia Raimondi per “Segnali di fumo – il magazine sui Diritti Umani”

Questo articolo è stato pubblicato qui

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