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Pakistan: numero due del partito talebano ucciso dai droni USA

A diciassette giorni dalle elezioni tenutesi in Pakistan, Wali-ur-Rehman, considerato il numero due del partito islamista Tehrik-i-Taliban Pakistan è stato ucciso, secondo quanto affermato dalle agenzie assieme ad un numero imprecisato di altre persone. È la prima vittima eccellente in seguito al presunto giro di vite operato da Obama sul targeted killing dei droni. Nulla è cambiato.

È una strategia ben precisa, elaborata al fine di contrastare più efficacemente il programma qaidista che negli ultimi dieci anni ha visto gli Stati Uniti oggetto di attacchi terroristici di diversa entità. Lungi dallo sprecare risorse di bilancio e soprattutto vite umane preziose per la propaganda del partito d'opposizione nel logorio nel quale lo stato maggiore ha portato l'esercito americano, la strategia del targeted killing (l'uccisione mirata tramite droni) sembra oggi di gran lunga più efficace. Al limite lascia qualche morto in più sul campo, magari devasta ogni principio base del diritto internazionale e di guerra, ma se il punto gravita sul deficit di cassa e di voti di certo fa il suo gioco.

La notizia che si è sparsa ieri è dunque quella di una guerra al terrorismo fondata sul principio dell'attacco portato al massimi vertici della gerarchia qaidista senza sprecare ulteriori sforzi in un territorio - giova ricordarlo - dove nessuna dichiarazione di guerra è stata portata avanti, teoricamente ancora nel pieno della sua sovranità nazionale. Come spiega The Atlantic Wire, però Wali-ur-Rehman non appartiene affatto ad al-Qaida, ma è bensì uno dei più importanti del partito Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP). Opera dunque certo in collegamento con la rete qaidista, contando però di una propria dimensione autonoma che esula da essa per importanza e centralità nello scenario internazionale.

L'attacco ha lasciato infatti intatta la rete di consenso attorno alla lotta alla strategia dei droni, che dal 2004 ha fatto in Pakistan 3336 morti. Lo stesso ministro degli esteri Nawaz Sharif -che presto guiderà il nuovo governo- ha seriamente criticato tale pratica durante la sua campagna, e con lui il ministero degli esteri, che si è rammaricato per quanto successo ieri.

Il primo collegamento che va fatto per i prossimi mesi è dunque quello che legherà a doppio filo l'esecutivo pakistano - per di più in scarsa maggioranza - al rapporto con Stati Uniti e CIA da una parte e TTP dall'altra, specie nella roccaforte del Waziristan, nel nord del paese.

Se infatti l'uccisione di Rehman sembra un ostacolo posto ad arte sulla strada della riconciliazione nel paese, resta aperta l'ipotesi che proprio a piegare i talebani serva il "giusto assassinio", il cui fine sarebbe dunque portarli di fronte ad un tavolo di contrattazione, possibilmente spezzati così da ottenerne il massimo vantaggio possibile. Meraviglie della diplomazia.

Alla strategia di colpire i vertici si lega infatti quella di colpire i gangli del fund raising del partito, dell'uomo che più di altri riusciva ad ottenere risorse economiche al fine di portarlo avanti. Non solo dunque il capo militare e la guida carismatica (nominato dai suoi muftì, dottore dell'islam); anche il membro capace di rifonire il gruppo della liquidità necessaria.

Restano infine tutti gli interrogativi del caso, che specie di fronte all'utilizzo dei droni lasciano spesso molte incertezze sulle modalità d'intervento utilizzate. Irrisolto rimane infatti il quesito di se e quanto fosse evitabile l'uccisione, ma anche se effettivamente Rehman sia stato ucciso tramite droni o addirittura se non sia ancora vivo, semplicemente liquidato da una posizione che ormai non lo vedeva più necessario. Al di là delle teorie, comunque ad oggi solo i primi due interrogativi rimangono ad oggi seriamente validi, a meno di smentite clamorose. Dato per scontato infatti che Rehman sia effettivamente morto, rimane ancora pesantemente aperto il punto su chi avesse interesse a vederlo tale (gli Stati Uniti, ma anche a ben vedere Sharif e magari lo stesso TTP in vena di cambiare strategia). Così come la questione di chi abbia operato per portare a compimento l'omicidio. Barack Obama promette che non saranno i servizi ma l'esercito a gestire i droni, ma è chiaramente fumo negli occhi. Che se ne occupi la CIA oppure i servizi militari comunque la gestione delle informazioni passa per l'intelligence, non certo per le truppe.

Di sicuro c'è insomma che in un paese che cerca la pacificazione viene ad aprirsi di nuovo la faglia profonda e tutt'ora irrisolta del targeted killing, nel bel mezzo di una popolazione che vede una guerra invisibile avere luogo e lasciare le sue angoscianti tracce qua e là. E se i talibans sono lì a nascondere i cadaveri causati dai droni alla stampa, quasi un mito dell'invulnerabilità (come per gli shinobi del medioevo giapponese), dall'altra parte si gioca un conflitto di aerei invisibili ma non meno letali, alimentando la virtualizzazione di uno scontro che ha già fatto migliaia di vittime. Non meno reale, quindi, ma di certo proditorio ed intollerabile: la morte di Rehman non emenderà tale situazione. È anzi probabile che la peggiori.

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