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PNRR: prendi i soldi, cancella le riforme e scappa?

È possibile che da noi si crei un'offerta politica che denunci le riforme necessarie ad ottenere i fondi europei come un "ricatto" da neutralizzare dopo aver incassato i soldi?

Mentre i partiti sono caduti dal letto battendo la testa e scoprendo che, prima di fake tax e “mensilità aggiuntive”, pare dovremo attraversare una pesante recessione da shock energetico e stretta monetaria, torna (non se n’era mai andato) il tema del PNRR e dei famosi obiettivi da “centrare”, altrimenti niente tonificante cascata di miliardi “europei” sul Belpaese, che tanto vale.

Non parliamo qui della richiesta della destra di “rivedere” il PNRR, non è chiaro in che termini e perché. Forse si vorrebbe la “scala mobile” sulle erogazioni, per combattere l’inflazione, oppure rallentare il cronoprogramma.

OBIETTIVI CENTRATI, ALL’INCIRCA

In attesa che i nostri eroi giungano nella stanza dei bottoni, scambiandola per quella del bottino, parliamo dei famosi obiettivi “centrati” dal governo italiano. Che, nella narrazione giornalistica, ricordano un po’ i bersagli del luna park da colpire con fucili ad aria compressa, che fanno vincere a carissimo prezzo l’orso di peluche.

Come risaputo, in Italia c’è gente che fa politica e campagne elettorali con l’obiettivo di resettare quello che è stato fatto dall’esecutivo precedente. Che sia la “riforma della magistratura” o quella della scuola, obiettivo è sempre quello di fare la rivoluzione o, almeno, mettere la firma su misure che certifichino il passaggio di una tribù.

Il decreto 115 del 9 agosto ha introdotto la figura di “docente esperto”, che risponde o dovrebbe rispondere alla richiesta europea di inserire elementi di carriera e retribuzione legati al merito e non alla sola anzianità di servizio. Il decreto, in sintesi, stabilisce che

[…] i docenti di ruolo che abbiano conseguito una valutazione positiva per tre percorsi formativi triennali consecutivi possono maturare il diritto ad un assegno ad personam di importo pari a 5.650 euro annui lordi, che si sommano al trattamento stipendiale.

La misura, scontando i 9 anni di formazione richiesta, parte dall’anno scolastico 2032/33 ma, per motivi di bilancio, in quell’anno e in ciascuno dei tre successivi i “docenti esperti” non dovranno superare le 8 mila unità. Per una analisi critica dettagliata del provvedimento, potete leggere il commento di Luigi Oliveri.

Che si tratti di misura sperimentale e per molti versi singolare è palese, almeno a me. Il rischio di introdurre elementi di “merito” legati in realtà ad anzianità nel percorso di formazione appare non lieve. Quello su cui voglio attirare la vostra attenzione è il fatto che quasi tutti i partiti, ora che siamo nel periodo di “liberi tutti” della campagna elettorale, vogliano cambiare la norma. In altri termini, vorrebbero modifiche al testo del decreto, che il governo vorrebbe invece blindato.

Sappiamo che nella scuola italiana le resistenze all’introduzione di elementi di meritocrazia sono da sempre fortissime, e catturano rappresentanza politica in modo trasversale. Eviterò di soffermarmi sul concetto di merito e meno ancora sull’ormai odioso termine di “meritocrazia” che, in un paese stressato come questo, è ormai un disvalore assoluto e visto come il cavallo di Troia di ulteriori diseguaglianze e del famoso turboliberismo. Evito di fare l’antropologo, almeno qui e ora.

NIENTE RIFORME, SIAMO SOVRANI

Quello su cui vorrei stimolare la vostra riflessione è altro: è possibile che un paese, uno a caso, dopo aver “centrato gli obiettivi” per avere i soldi del Recovery Fund, decida che occorre smontare quelle riforme, figlie di una “intollerabile torsione antidemocratica e pure neoliberista” da parte dei “burocrati di Bruxelles”, da sempre intenti a fare violenza all’orgoglioso nazional-sovranismo del nostro meraviglioso paese, per assoggettarlo e calpestare le sue innumerevoli “peculiarità”?

In altri termini, è possibile che da noi si crei un’offerta politica, e relativa retorica, che denunci le riforme necessarie ad ottenere i fondi del PNRR come un “ricatto” da neutralizzare dopo aver incassato i soldi? L’immagine speculare della “austerità” chiesta negli scorsi anni, in pratica? Già si levano voci di questo genere, al momento minoritarie ma che potrebbero diventare un coro bipartisan e spingere qualcuno a fare le prossime campagne elettorali con questo “programma”.

Prendiamo le riforme relative alla promozione della concorrenza, quelle cosiddette “abilitanti” all’attuazione del PNRR. Ad esempio, quelle sulle concessioni balneari. Già a destra si è detto che i relativi decreti attuativi dovranno essere emanati dal prossimo esecutivo, e sappiamo che finirebbero di fatto cestinati.

A quel punto, servirà che qualcuno vada a “negoziare” con la Commissione Ue, pugni sul tavolo inclusi, sostenendo che la concorrenza si promuove per altre vie e mezzi rispetto ai poveri balneari che pagano cifre simboliche di concessione governativa ma che sono vittime di pregiudizio e ingratitudine, visto che “presidiano” le nostre coste con amore disinteressato che sconfina nella filantropia. E poi, che diavolo sarebbe questa “concorrenza”, l’ancella del liberismo? Non avete ancora capito che il liberismo ha causato solo danni e devastazione, soprattutto in Italia, nota avanguardia di questa ideologia malata?

CANCELLARE LE RIFORME DOPO L’INCASSO

Capite cosa voglio dire? Che margini hanno i partiti e i governi italiani pro tempore per annullare le riforme richieste e scappare coi soldi del Recovery, dopo aver finto di attuarle? Detto specularmente, quale sarebbe il grado di “invasività” della Commissione Ue rispetto alle scelte del legislatore italiano? Quali margini di autotutela ha Bruxelles (e i paesi contributori netti al Recovery Fund) di fronte a iniziative nazionali che puntino a cancellarle ma solo dopo aver incassato?

C’è poi un altro punto: a che livello qualitativo ma sostanziale può spingersi la Commissione? Voglio dire, se a voi pare che la figura del “docente esperto” basti a soddisfare l’obiettivo di inserire merito nei percorsi di carriera della scuola, vuol dire che la Commissione si accontenta davvero di poco. Ma quindi sin dove dovrebbe spingersi, anche in termini di vincoli pluriennali alla legislazione nazionale e misure per tutelarsi contro la reversibilità delle riforme?

Come forse avrete notato, questo punto riproduce la questione centrale: quanto può essere invasiva la Ue, nella richiesta di riforme? A poco conta che, col PNRR, stiamo gestendo soldi che entrano e non strette fiscali per tornare entro i parametri contabili del patto di stabilità, ora sospeso. Ci sarà sempre qualche patridiota a insistere che non possiamo essere sottoposti a limitazione della nostra sovranità.

Sulla classe politica italiana, l’effetto resta lo stesso: semo sovrani, datece li sordi e nun ve immischiate su come li spendiamo. Ecco perché ribadisco la mia preoccupazione: il Recovery Fund, col suo carico di debito aggiuntivo, rischia di essere l’ultimo chiodo alla bara di questo paese. Perché anche i circhi chiudono e i clown muoiono.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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