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PA: la luna della digitalizzazione, il dito dello smart working

Più che stigmatizzare il lavoro agile, serve sanzionare pesantemente le amministrazioni pubbliche che continuano a trascinare i piedi sul processo di informatizzazione e digitalizzazione

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

il lavoro agile nella PA ha certamente creato problemi, ma appare proprio che vi sia, nella stampa e nella politica in generale, una contrarietà a priori, da cui derivano continue inchieste, articoli ed interviste volte ad evidenziare inefficienze. Con evidenti amplificazioni e banalizzazioni.

Il Sole 24Ore del 16 ottobre ne è la prova, con due articoli distinti. Il primo, “Covid e smart working nella Pa: permessi edilizi ridotti del 25-30%”, di Paola Pierotti e Giorgio Santilli, sciorina una serie di numeri, per evidenziare la riduzione dei titoli edilizi segnata nel 2020 rispetto al 2019. Gli autori affermano argutamente:

Pesa il calo dell’attività edilizia e l’incertezza per chi vuole avviare nuovi investimenti, ma incide anche il fatto che le pratiche edilizie in molti casi hanno bisogno di dati comunali (per esempio le certificazione di compatibilità con i piani regolatori) e vanno discusse con gli uffici prima ancora di essere presentate.

Ineccepibile, come lo sono i numeri della flessione dell’attività edilizia. Ma, si tratta, tuttavia di mezze verità

Il Titolare perdoni (e anche i lettori) se si è costretti a sciorinare norme noiose, la cui conoscenza è però fondamentale per capire di che parliamo. Infatti, per completare l’analisi occorrerebbe ricordare: 

  1. In quanto al permesso di costruire, l’articolo 20, comma 8, del DPR 380/2001: “Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”; 
  2. In quanto alla CILA (comunicazione inizio lavori asseverata), l’articolo 6-bis, comma 1, del DPR 389/2001: “Gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22, sono realizzabili previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione competente, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”; 
  3. In quanto alla SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), l articolo 19, comma 1: “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. [omissis]”. 

La gran parte dei titoli abilitativi all’attività edilizia, salvo che non impattino sull’ambiente, beni culturali e paesaggistici e su specifiche materie elencate dalle leggi, si formano, quindi, per via tacita

Nel caso della CILA e della SCIA il titolo edilizio insorge in via esclusiva per iniziativa del soggetto privato. Il comune non può che intervenire dopo, allo scopo di emettere entro tempi brevi (30 giorni) provvedimenti inibitori o prescrittivi. Nel caso del permesso di costruire, l’eventuale inerzia del comune che si protragga oltre i termini (circa 120 giorni) per il rilascio, come si è visto sopra, si forma il silenzio-assenso. 

Risulta, quindi, certamente fondato affermare che l’attività edilizia sia stata influenzata dallo smart working, che ha reso più difficoltosa l’asseverazione tecnica dei progetti, visto che i progettisti hanno avuto maggiori difficoltà a contattare gli uffici per ottenere certificazioni di destinazione urbanistica e consulenze preventive. 

Tuttavia, la riduzione dell’attività edilizia, visto che la normativa, come visto, ne consente in via del tutto prevalente l’autoproduzione, va addebitata, purtroppo, prevalentemente alla crisi economica scatenata dalla pandemia. Lo smart working, se è un fattore che ha contribuito alla riduzione delle pratiche, lo è solo in misura molto ridotta. 

Il secondo articolo è un intervista titolata “Cassese: «Chi dice che la Pa funziona come prima vive su Urano», rilasciata a Simone Spetia dal prof. Sabino Cassese. Il quale, tra molti altri ragionamenti, osserva, a ragione, che “se sono stati prorogati i termini e la cosa è avvenuta tre volte, la pubblica amministrazione ha veramente funzionato come funzionava prima oppure si è fermata o ha fortemente rallentato?”, aggiungendo che “il rapporto tra stato e cittadino non può interrompersi improvvisamente, con le persone che stanno a casa e i cittadini che vanno nell’ufficio e trovano l’ufficio chiuso. Però non sottovaluterei il fatto che mentre nel Comune si nota più facilmente questo malfunzionamento dell’amministrazione perché il cittadino si aspetta un certo servizio, un certificato in quel determinato giorno e non lo trova, nell’amministrazione centrale queste cose non si notano subito, ma le conseguenze sono molto più vaste”.

Quanto afferma il prof. Cassese è in larga parte corretto. Ma anche questa intervista appare finalizzata al non troppo comprensibile attacco al lavoro agile. Indiscutibile: molte amministrazioni non erano e forse non sono ancora preparate alla gestione delle procedure da remoto. 

Altrettanto inconfutabile appare, però: 

  1. Che durante il lockdown non è che i dipendenti pubblici stessero “a casa” mentre i cittadini andavano in ufficio, trovandolo chiuso: non potevano uscire nemmeno i cittadini per andare in ufficio. Lo smart working ha provato, con enormi difficoltà, a diffondere l’utilizzo on line delle procedure; 
  2. Che il ritardo nell’informatizzazione della PA è evidente e grave, anche se vi sono importanti settori ed enti (Inps, Agenzia delle entrate, Catasto, Suap, alcuni enti regionali in tema di politiche del lavoro, sistema dei pagamenti PagoPA, Università), che hanno dimostrato di essere in grado in modo molto efficiente di svolgere le pratiche da remoto e in modalità smart; 
  3. Che il ritardo nell’informatizzazione, purtroppo, è molto diffuso anche tra cittadini ed imprese; basti pensare che lo SPID è, sì, in costante aumento e sviluppo, ma sono pur sempre solo 4 milioni circa i cittadini che lo hanno attivato. Moltissimi, poi, sono i titolari di imprese che si sono dotati obbligatoriamente (per effetto delle disposizioni fiscali) della firma digitale, ma non sanno nemmeno usarla (in alcuni casi, nemmeno di averla), perché di fatto consegnata al professionista che cura le pratiche fiscali.

Ancora, narrare la PA come complesso che deve garantire la propria attività mediante ricerche in archivi o per rilasciare certificati, è una forzatura ed un anacronismo, ottimo per suscitare l’attenzione dei media, ma caricaturale. 

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Sempre ammettendo e ricordando i gravi ritardi nella digitalizzazione, tuttavia, da ormai tre lustri i protocolli informatici, gli archivi documentali informatizzati, la conservazione sostitutiva digitale, si sono diffusi. In maniera certamente non completa e non uguale per tutti, vero. Ma, la PA che non può lavorare in modo agile perché occorrono le ricerche in archivi cartacei è per lo più una macchietta. 

Lo stesso vale per il paradigma del certificato. Sicuramente sono troppo poche le amministrazioni che hanno prodotto piattaforme alle quali il cittadino possa accedere per produrre e scaricare da sé il certificato (le banche con l’homebanking da tantissimi anni permettono di compiere operazioni al cliente da remoto; basta emulare l’idea). 

Tuttavia, occorrerebbe finirla con la necessità dello sportello aperto e da presidiare per produrre i certificati. Per la semplice ragione che esiste una norma, il DPR 445/2000, ai sensi della quale tutti i certificati possono essere sostituiti da dichiarazioni (le cosiddette “autocertificazioni”) e le pubbliche amministrazioni debbono fondare le proprie decisioni su queste autocertificazioni; infatti, il medesimo DPR 445/2000 addirittura vieta alle PA di produrre certificati da esibire ad altre PA e vieta alle PA comunque di utilizzare i certificati nelle istruttorie. 

Oltre alle evidenze espresse dal prof. Cassese e al di là degli slogan, sarebbe il caso di cambiare passo. È inutile il racconto di rallentamenti o di possibili inefficienze con connessa lamentazione. Occorre iniziare a colpire duramente le amministrazioni in ritardo con l informatizzazione e la digitalizzazione. Come visto, il dpr 445 che regola la documentazione amministrativa e ha dato l’avvio al processo di digitalizzazione è di 20 anni fa; il codice dell’amministrazione digitale (d.lgs 82/2005), di 15 anni fa; è di 8 anni fa la norma contenuta nella normativa anticorruzione (legge 190/2012) che impone alle amministrazioni pubbliche di realizzare piattaforme in rete per la gestione dei procedimenti alle quali i cittadini possano accedere da remoto; è del 2015 la prima disposizione (legge Madia 124) in tema di lavoro agile nella PA.

Occorre, allora, rompere gli indugi e, poiché il lavoro agile è un metodo organizzativo attualmente strategico per il contenimento della pandemia, ma in futuro una prospettiva semplicemente irrinunciabile visto che la tecnologia non si ferma, sanzionare le PA in ritardo

Il “decreto rilancio” (d.l. 34/2020) ha introdotto per le pubbliche amministrazioni l’ormai celebre POLA (piano operativo lavoro agile): uno strumento di programmazione col quale le PA dovrebbero individuare mezzi tecnologici, sistemi organizzativi ed attività compatibili col lavoro agile. Ebbene, si stanno moltiplicando le amministrazioni che nei POLA affermano di non svolgere nessuna attività compatibile col lavoro agile. Cosa del tutto inaccettabile.

Esistono moltissime attività per loro natura adeguate allo smart working: proprio la protocollazione e gestione documentale; l’accesso agli atti; le procedure contabili, come registrazione e pagamento fatture; tutte le procedure tributarie e di acquisizione di pagamenti; gli appalti (che è obbligatorio da 2 anni gestire su piattaforme on line); ogni attività prettamente amministrativa; persino le riunioni degli organi collegiali, perfettamente gestibili in video conferenza. 

Se il legislatore comprendesse che le PA non sanno, non possono e non vogliono autovalutarsi, un’amministrazione che dichiara di non avere attività compatibili con lo smart working, contestualmente confessa di avere un organizzazione arcaica e di violare da anni ed anni la normativa sintetizzata prima; andrebbe, allora, valutata da organismi esterni e terzi e pesantemente sanzionata, non solo vietando qualsiasi erogazione di premi, ma anche prevedendo commissariamenti e interruzioni della carriera politica per chi negli anni ha negato investimenti e programmazioni nell innovazione. 

Ma questo ovviamente non avverrà mai. E quella PA che ancora gestisce archivi cartacei ed emette certificati che non servono, continuerà ad autopremiarsi come quell’altra PA che ha deciso di investire ed entrare negli anni 2000 investendo nel digitale e rendendo possibile il lavoro agile. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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