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Ottimismo, l’oppio dell’economia

Soprattutto in questi ultimi due anni sentiamo molto spesso dire che, non essere ottimisti alla fine ci si tira sopra (da soli) il catastrofismo. Sta di fatto che alla luce dei recenti eventi, l’essere ottimisti forse ci ha fatto perdere un po’ l’orientamento andamentale del reale stato economico del nostro paese. L’ ottimismo è un elemento sicuramente importante per affrontare le difficoltà quotidiane, solo che non vorrei che venga paragonato a quel povero disgraziato che inciampando e sbattendo la testa su un ramo, accorgendosi di aver perso un occhio, sorridente e felice asseriva di ritenersi fortunato, in quanto se quel ramo fosse stato biforcuto avrebbe perso entrambi gli occhi. Io spero, e mi auguro che l’ottimismo voluto e decantato non faccia mai riferimento al fatterello anzidetto, perché ciò mi preoccuperebbe moltissimo.Pertanto desidero affrontare la problematica della crisi economica, attraverso l’esame di alcuni indicatori partendo dalla fondamentale premessa chi i dati riportati sono stati tutti desunti da fonti autorevoli quali l’Istat, l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ed il FMI (Fondo Monetario Internazionale). 

 

Iniziamo ad esaminare l’andamento del PIL (Prodotto Interno Lordo) che vede l’Italia nel periodo 2008-2009 registrare una flessione complessiva pari al 6,3% mentre la flessione, nello stesso periodo è del 3,8% in Germania, il 3,5% nell’area Euro e dell’1,7% in Francia. Se si prende a riferimento il periodo dal 2001 al 2009 i dati registrano una performance dell’Italia peggiore in assoluto di tutta l’Unione Europea, attestandosi ad un modesto 1,4% contro il 10% medio degli stati dell’Unione aderenti all’euro e del 12,1% dell’intera Comunità Europea. Questo denota ed evidenza la scarsa capacità del nostro paese di creare nuova ricchezza. La grande e media industria è in affanno. E’ sotto gli occhi di tutti il macroscopico lievitare delle giornate lavorative remunerate attraverso la Cassa Integrazione Guadagni. Le esportazioni e la produzione interna è in seria contrazione, e onestamente non mi va di addossare tutte le colpe alla crisi economica che ha interessato il mondo intero. La nostra industria in questi ultimi decenni non ha saputo riconvertirsi e riammodernarsi, perdendo competitività. Ritengo che quel poco che si è fatto è stato il frutto di leggi agevolative, quindi realizzato con il contributo pubblico. Penso che, anche il clientelismo abbia ulteriormente rallentato lo sviluppo, perché molte delle opere realizzate erano legate ad appalti diretti, che non sempre tenevano conto del reale rapporto costo, qualità e quantità. Cosa dire di fronte q quelle grandi aziende, che per il solo fatto di avere decine di migliaia di dipendenti, per drenare i costi del personale, hanno fatto e continuano a far ricorso sistematicamente alla cassa integrazione. Aziende senza un serio progetto industriale, avremmo fatto meglio ad abbandonarle al loro destino in quanto se sommiamo tutte le agevolazioni a loro indirizzate forse ce le saremmo comprate due volte.

Passiamo ad esaminare l’indebitamento pubblico. I dati rilevati dallOcse attestano che nella classifica degli stati più indebitati nel mondo, l’Italia è al quinto posto, ed al settimo secondo il FMI. Sono solo sette gli stati al mondo che superano il 100% del proprio PIL (Zimbabwe con un 218,2%, seguito dal Libano 186,6%, dal Giappone 170%, dalla Jamaica 126,50%, dal Sudan 105,9% e dall’lItalia 113% (secondo lOcse), seguiti dallEgitto 105,8%. LItalia, come già detto, secondo il Fmi è al 7° posto con un indebitamento pari al 104,3%. Per completezza d’informazione segnaliamo Singapore con il 96,3%, le Seychelles al 92,3% ed infine la Grecia con un 89,5% secondo il FMI ed il 100,8% per lOcse. La Germania è 20^, la Francia 23^, gli Stati Uniti 27°, il Regno Unito è solo 40°, la Spagna addirittura 55^ e la Cina 90^ con solo il 18,4% di debito. I cinque paesi più virtuosi al mondo risultano la Guinea Equatoriale, l’Estonia, l’Oman, il Cile e ciliegina sulla torta la Libia, alla quale l’Italia si è peraltro impegnata a versare circa cinque miliardi di dollari quali risarcimento “danni” per il periodo coloniale. A dire il vero essere i primi della classe in questa graduatoria non è particolarmente encomiabile, in quanto si presuppone che questi stati poco o nulla hanno fatto per migliorare lo stato sociale del proprio paese.

Se esaminiamo analiticamente la formazione del debito pubblico italiano riscontriamo che nel 2005 era pari a 1512 miliardi di euro ed è lievitato al primo trimestre 2010 a ben 1787, con un incremento del 18,18%. Nello stesso periodo il Prodotto Interno Lordo è cresciuto del 10,1%. Se a ciò parametriamo la pressione fiscale che nel 2005 era circa del 42% per passare ad oggi al 43,2% , e considerando che nel decennio preso in considerazione l’inflazione è stata del 2,2% medio, dove solo in luglio ed agosto del 2007 ha toccato la soglia massima del 4% sorgono spontanee alcune domande. Prima tra tutte la macroscopicità del debito pubblico del Giappone che è oltre il 170% e di cui non ne parla nessuno, come altrettanto strano è che per ora l’Italia, nonostante il suo debito si attesti oltre il 115% corra meno pericoli della Grecia, della Spagna e del Portogallo il cui debito pubblico è alquanto inferiore al nostro. Qui entrano in gioco altri fattori che vanno aldilà dell’asetticità dei numeri indicati, in quanto questi ne vengono influenzati dalla struttura ed infrastruttura produttiva interna dello stato presso in esame. Cioè la capacità e la potenzialità organizzativa e funzionale di saper produrre ricchezza in un dato periodo di tempo. Da non sottovalutare anche la tipicità e la vocazione produttiva di un paese e quanto una crisi, quale quella che stiamo attraversando, possa veramente metterlo in ginocchio. Per questo motivo ritengo, augurandomi di non sbagliare, che la difficoltà economica greca sia più un problema per gli altri stati membri dell’Europa che della Grecia stessa. I debiti contratti dalla Grecia se non onorati, saranno pagati in un modo o nell’atro dall’Europa, mentre la Grecia avendo quale risorsa maggiore il turismo, l’agricoltura, la pastorizia ed i servizi, la crisi la vivrà meno drammaticamente dagli altri stati membri. E’ macroscopica la quantità di ricchezza ellenica che sfugge al fisco ed ogni rilevazione statistica. Il popolo greco saprà adattarsi, in quanto una struttura nazionale che si basa su una economia sommersa superiore al 50% del suo PIL, paradossalmente è quella che più s’adatta alle intemperie finanziarie. Non fraintendetemi, non è che saranno tarallucci e vino, ma nemmeno ci sarà il deserto. 

Quale ultima analisi desidero affrontare una strana discordanza tra i dati su esposti e le numerose dichiarazioni pubbliche e private che in questi ultimi mesi si stanno udendo. Si dice che è diminuito il gettito tributario, ma il PIL, fatta eccezione per gli ultimi due anni ha sempre fatto segnare un incremento anche se poco significativo, che in presenza di una pressione fiscale in costante e progressivo aumento, avrebbe dovuto invece far segnare un incremento delle entrate dello stato. Nel contempo dal 2005 al 2009 il debito pubblico è aumentato complessivamente del 18,18% costituito da un esborso di circa 275 miliardi più di quanto introitato. Di converso constatiamo invece un peggioramento di tutti i servizi pubblici, scuola, sanità, comunicazioni, trasporti. Apprendiamo, che tante opere pubbliche sono state realizzati a fronte di costi ingiustificati e spesso oggetto di clientelismo dalle forme più becere quale il perseguimento del proprio arricchimento per non parlare poi dell’uso miserevole del gentil sesso e comunque un malcostume non addebitabile solo ad una corrente politica, purtroppo, come se valesse il vecchio proverbio “mal comune mezzo gaudio”. E che dire dei faraonici stipendi dei nostri politici, dei dirigenti dell’amministrazione pubblica, subissati di benefit di ogni tipo e dalla discutibile produttività. Consigli Regionali, Provinciali e Comunali composti da 40-50-60-70 componenti, con decine di assessorati ed una infinità di enti inutili. E’ notizia di queste ultime ore l’aumento dello stipendio dei parlamentari europeo di circa millecinquecento euro da giugno prossimo, non solo, ad ognuno di loro verrà “regalato” un computer portatile. Mentre molti governi si accingono a porre in essere manovre finanziarie correttive, chiedendo sacrifici ai cittadini, loro si aumentano gli stipendi. Scusatemi ma stiamo parlando del Parlamento Europeo o della corte di Luigi XVI? 

Ora tutti questi sconquassi, peraltro sotto gli occhi indifferenti di un elettorato narcotizzato, stanno venendo al pettine, e non c’è ottimismo che possa arginare il pessimismo devastante che pervade le famiglie medie italiane i cui figli ultra trentenni, non solo sono senza un lavoro, ma peggio ancora, senza un domani. Non è una frase retorica, ma siamo arrivati alla condizione di aver rubato il futuro ai nostri figli. Per la prima volta nella storia dell’uomo possiamo purtroppo asserire che i padri hanno veramente rubato, distrutto, nel modo più subdolo il futuro dei propri figli. Auguro veramente che quanto prima potessimo veramente parlare di ottimismo in virtù di una seria inversione di tendenza del degrado etico e sociale che oggi avvolge e deturpa il nostro sistema.

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