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Ops! 50 mila soldati fantasma nell’esercito iracheno

Quando sei mesi fa l'esercito iracheno, equipaggiato con mezzi e fucili americani, si sgretolò senza quasi opporre resistenza all'avanzata dello Stato Islamico verso la città di Mosul, in molti si chiesero come fosse stata possibile una tale debacle.

Poche migliaia di miliziani jihadisti erano penetrati come una lama calda nel burro delle difese nemiche, mettendo in fuga le forze di Baghdad, bene armate e decisamente superiori a livello numerico. Almeno sulla carta. Una recente indagine avviata dal governo iracheno rivela che, in realtà, sul campo di battaglia, il confronto fu ben più equilibrato. A difendere Mosul, infatti, non ci furono i 25 mila effettivi dichiarati, tra militari e polizia, ma appena 10 mila soldati. A livello generale, la conquista da parte dello Stato Islamico di vastissimi territori nel nord e nell'ovest del paese sarebbe stata facilitata dalla presenza, ovvero assenza, di 50 mila "soldati fantasma", pagati dal governo centrale ma mai entrati in servizio effettivo.

L'indagine, voluta dal neo premier Haidar al-Abadi, entrato in carica a settembre al posto di al-Maliki, ha definito i contorni paradossali di una verità in parte già nota: il nuovo esercito iracheno, allevato dagli USA a suon di miliardi, è una macchina profondamente inefficiente, corrosa dalla ruggine di una corruzione diffusa. I 50 mila “fantasmi” hanno ricevuto per anni lo stipendio senza presentarsi al lavoro, devolvendo parte della paga ai superiori per comprare la loro complicità. Il risultato di questo sistema è oggi sotto gli occhi di tutti. L'IS ha fatto quello che ha voluto in Iraq, sottraendo al controllo delle forze di difesa nazionali enormi porzioni del territorio per annetterle al nascente califfato islamico.

“Questi 50 mila soldati sono stati scoperti – spiega  Haidar al-Abadi, portavoce del Primo Ministro – grazie ad un'intensa attività di indagine e ricerca sui documenti militari, cui seguirà un'attività di indagine sul campo per porre fine a questo fenomeno e ad ogni altra forma di corruzione”.

Dal momento della sua elezione, al-Abadi ha allontanato decine di ufficiali nominati durante gli otto anni del regno di Maliki, assumendo un impegno preciso contro la corruzione dilagante nel paese. Lunedì scorso l'ufficio del premier ha annunciato il pensionamento di 24 alti funzionari del Ministero dell'Interno e la loro sostituzione con nuovo personale, nell'ambito di un programma di riforme volto a rendere le forze di sicurezza più “efficaci nel contrasto al terrorismo”.

Anche il Ministro delle Finanze Hoshiyar Zebari è convinto che la lotta alla corruzione sia una priorità non procrastinabile, se si vuole trainare il paese fuori dalle sabbie mobili nelle quali è sprofondato: “L'esercito – ha detto - deve essere ripulito dai soldati fantasma e da tutte le forme di mala-gestione”.

Non è detto che l'impegno del nuovo governo basti a invertire la rotta, in un paese che dopo il ritiro americano ha fatto della corruzione il suo core-business, ma senza dubbio è una buona notizia per l'Iraq. Anche perché lo Stato Islamico è sempre alle porte e l'aviazione americana da sola potrebbe non bastare a contenere il pericolo.

Foto: Wikimedia.


 


 

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