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Oltre l’Età della Rassegnazione

La rabbia, il coraggio e la voglia di cambiamento dei nord africani; la capacità di fare dei cinesi. La voglia di sognare degli indiani e quella di rivincite dei sudamericani. E gli italiani, gli europei, gli occidentali di oggi, cosa hanno dentro? Il vuoto?

No, non sono vuoti gli uomini e donne dell'Occidente; non sono vuoti neppure i loro sguardi bassi, puntanti contro il loro ombelico in una costante, smodata, ansia d’autoanalisi. Sono, gli sguardi e gli animi, pieni zeppi di rassegnazione.

La rassegnazione alla mancanza di progetti e di sogni, se non quelli minimi, assolutamente individuali, di chi vive nella più laica delle società che mai siano esistite.

Una società che, dopo aver rinunciato alla religione e seppellito l’ideologia, è rimasta senza ideali o anche solo idee. Resiste il consumismo, relitto del secolo scorso fattosi ancor più frenetico e più straccione, che solo appaga dei desideri superficiali, sterili ed effimeri: una forma d’onanismo, in fondo; il surrogato indotto, denaturato e controllato dei sogni.

Resta a questo Occidente, ancora obeso e già povero, solo la certezza dell’incertezza; la convinzione che tutto sia dubbio. Non il dubbio greco che guarda al mondo senza pregiudizi; il dubbio che, sapendo di non poter arrivare ad una verità, ha rinunciato a guardare.

La rinuncia e l’altra faccia dell’Era della Rassegnazione. La rassegnazione a subire i cambiamenti e la rinuncia a guidarli, o anche solo ad interpretarli, da parte di una società che è sempre più morula, somma d’individualità esternamente indifferenziate; insieme  di fortezze personali, o al massimo familiari, chiuse al mondo ed alle sue sfide nella difesa d’un presente che s’involve e si contrae, senza finestre sul passato, per tenere a bada sensi di colpa e rimpianti e senza porte verso il futuro.

Non fa neppure paura il futuro; fosse così questa sarebbe ancora un età dell’ansia come lo fu il '900. Il futuro, anzi, offre una delle poche certezze: si sa, si sente, che sarà peggio del passato. Che si vivrà peggio che in passato. Che il destino nostro, d’occidentali prima ancora che di italiani, sarà un destino minore, da periferia del mondo. Da zavorra.

Non è un caso che molte delle poche energie rimaste alla nostra società confluiscano in movimenti reazionari e localisti; è la proiezione nel politico della rassegnazione e della rinuncia. E’ l’alzarsi degli ultimi ponti levatoi di chi sa di non poter più dare niente al mondo. E’ il tentativo di fermare il cambiamento di chi sa di non poterne essere protagonista; di chi sa che non sarà in grado di riconquistare domani quel che ha oggi.

E’ la riduzione al minimo del pensiero conservatore, spesso incarnata nella figura del Capo, di chi vorrebbe ingessare la società - e prolungare indefinitamente il presente - perché sente che non ha meriti del proprio relativo benessere; perché sente d’essere un privilegiato e, come tutti i privilegiati, in fondo si disprezza.

Dura da un ventennio, l’Era della Rassegnazione, e non potrà durare molto di più; si avvicinano alla fine le epoche che trovano un nome e gli uomini non possono restare rassegnati a lungo: sperare e sognare, amare e odiare, costruire e distruggere, sono nella loro natura.

Non sono ottimista, intendiamoci.

Se guardo il presente temo che la disperazione e la rabbia saranno i caratteri del domani.

Non rassegnarsi è il compito di chi ancora ha fede - e senza fede non si fa nulla ma proprio nulla - nell’Occidente e nelle visioni contenute nel suo Canone che è, ancora oggi, il Canone del mondo.

Non potremo più guidare il pianeta con i fucili e con le spade, ma certo possiamo guidarlo con l’esempio. Non gemere travolti dai sensi di colpa per i crimini dei nostri padri, se ce ne furono, ma pagare il loro debito mostrando al resto del mondo che si può essere società ordinata nella libertà; che si può fare industria senza consumismo; che si può vivere nel benessere rinunciando allo spreco.

Non dovremmo inventare nulla per farlo; solo prendere il meglio di quel che siamo stati e siamo e costruire/ricostruire partendo da quello. Dovremo, sopra ogni cosa, tornare ad aver fiducia in noi stessi, uno per uno, e negli altri come noi.

Dovremo anche rassegnarci, alla fine, ma semplicemente a rimboccarci le maniche.

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