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Oltre il metrosexual

Il futuro della virilità è nelle mani (e nei pettorali) di Cristiano Ronaldo?

Vent'anni fa Mark Simpson coniava l'espressione metrosexual, teorizzando la rivoluzione estetica che avrebbe cambiato il ruolo del maschio: un riassestamento iconografico destinato a stravolgere la percezione dell'uomo e della sua sessualità. Il metrosexual è il maschio urbano della metropoli, l'idolo del consumo fattosi carne e fotomontaggio, il totem sculettante dell'acquisto e dell'autoreferenzialità: in due parole David Beckham. Elegante, pettinato, patinato, panato nell'olio (abbronzante), il maschio-copertina ambulante acquista riviste per uomini dove si parla di palestra, prima che di donne. La sua religione in una parola: vanità.

Il metrosexual, spiega Mark Simpson, ha dovuto farsi strada in un mondo in cui il narcisismo sembrava confinato all'universo femminile ed omosessuale. In un percorso faticoso ma efficace, il mercato ha conquistato per il maschio eterosessuale il diritto di spendere tempo in bagno a curare la sue mani, lo ha eretto a consumatore-tipo, offrendogli una gamma irresistibile di profumi, creme, cosmetici snellenti e anti-età. La metamorfosi che è toccata alla figura maschile nel corso degli ultimi vent'anni non riguarda la presunta “femminilità” del modello, quanto piuttosto la sua autoreferenzialità e la sua volontà di potenza. La scoperta del metrosexual è lo specchio, uno specchio in grado di dar forma a tutto: il metrosexual è l'uomo che diventa tutto, è il vestito che indossa, la schiuma da barba che usa. È un appendiabiti, ma bellissimo.

L'uomo-che-non-deve-chiedere-mai può acquistare qualunque cosa, l'etichetta che sulla scatola categorizza i destinatari del prodotto (Men/Women/Kids) è un retaggio, l'impronta archeologica di una percezione estetica del genere ormai diluita in un'unica figura: il consumatore. L'uomo può comprare tutte le cose perché in definitiva può essere tutte le cose, al di là dei confini biologici e culturali che lo connotano sessualmente, fisicamente, culturalmente. Lo specchio è l'informe che partorisce dallo e per lo sguardo la bellezza posticcia e virtuale della pelle e dei denti perfetti: non c'è carica sessuale in questo, è il trucco scenico come modello della realtà, il metro-sexual come metro umano.

L'artificiosità del superuomo da supermercato spoglia il maschio delle sue valenze sessuali: ecco l'esigenza di una nuova rivoluzione, scrive Mark Simpson sul Telegraph. La società an-estetizzata pretende una terapia di sensazioni a buon mercato: il metrosexual ritrova il sesso, ed è per questo che Simpson lo definisce spornosexual: “Lo sport va a letto con il porno mentre Armani scatta foto”.

La pornografizzazione del metrosexual trasforma il modello in qualcuno che vende il proprio corpo, non il proprio abito. Il porno si sparge, convulso ma scarico, sui nuovi media, offrendo al consumatore l'illusione della visibilità di un personaggio pubblico. Ecco allora il proliferare delle immagini dei propri corpi scultorei: sessioni di palestra, costumi da bagno, tuffi in piscina, in un rimirarsi che sprofonda in se stesso, selfie ergo sum.



Oggi il metrosexual si riscopre sessuale, in un rapporto incestuoso tra la sporcizia del porno e l'estetizzazione della pubblicità: è Spike Jonze che riprende Cristiano Ronaldo mentre sculaccia Miley Cyrus, in un coacervo schizoide di mascolinità obsoleta, narcisismo, esigenza di approvazione sociale e filtri di Instagram.

L'icona spornosexual è lo sportivo virile ridotto a bambolotto gonfiabile, un manichino come già il metrosexual, ma in più costretto a veicolare messaggi sessuali. Il rugbista spiaggiato che si agita indossando un minuscolo slip (è il prodotto che pubblicizza), alterna atteggiamenti da sirena ad attimi insulsamente "sensuali", in cui lui e una bellissima modella si scambiano gesti che promettono un amplesso:



La copertina della rivista si fa copertina di Facebook, mentre Photoshop e il bodybuilding si passano il testimone in un processo di alterazione di sé in cui il virtuale e il reale si confondono e la bellezza, democratizzata, sembra improvvisamente alla portata di tutti. La propria sessualità è un prodotto da plasmare o da spalmare, acquistabile, almeno virtualmente, per poterla guardare: la società, svuotata dalla sovraeccitazione, si eccita al pensiero della propria masturbazione.

Il sensuale si ritrae. Lunga vita al sensazionale.


 

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