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Morire di Internet

È prevista per il prossimo 28 luglio l'uscita nelle sale americane del documentario Love Child, prodotto dalla HBO, un viaggio all'interno di una delle forme di dipendenza più drammatiche diffuse oggi sul pianeta: la dipendenza da Internet, e in particolare dal gaming online.

Il film si concentra sulla Corea del Sud, il paese più interconnesso al mondo, un luogo in cui il 95% della popolazione è raggiunta dalla banda larga. In questo angolo d'Oriente, la velocità media di una connessione è di 20 Mbit/s, contro i 13 Mbit/s del Giappone e i 10 Mbit/s degli Stati Uniti (in Italia la velcità media è circa 4,5 Mbit/s). La Corea del Sud è del resto il secondo paese al mondo per diffusione di smartphone, oltre a vantare una solida tradizione nell'industria hi-tech.

Tale facilità nell'accesso a Internet (nonostante i sospetti di censura operati dal governo nei confronti della libera circolazione dei contenuti) fa però da contrappunto a un proliferare di casi tragici. L'utilizzo degenerato del medium può trasformarsi in una vera e propria patologia psichiatrica, codificata da Ivan Golberg nel 1995: l'Internet addiction disorder, un disturbo da impossibilità di controllo degli impulsi. Anche se da un punto di vista scientifico tale stato psicopatologico non ha ancora una tassonomia rigorosa, nel 2013 il DSM-V, il manuale psichiatrico dell'American Psychiatric Association riporta la proposta di diagnosi (ancora sperimentale) dell'Internet gaming disorder.

La prima volta che la giurisprudenza sudcoreana annovera nelle motivazioni di una sentenza l'attentuante della dipendenza da videogiochi è il maggio del 2010. Gli imputati sono Kim Jae-beom e sua moglie Kim Yun-jeong, ritenuti responsabili della morte della propria figlia di 3 mesi. La neonata, già in condizioni di salute precarie (pesava 2,9 kg alla nascita e 2,5 al momento del decesso) muore di malnutrizione mentre i genitori sono impegnati in un sessione di gioco online di 12 ore consecutive. Il gioco a cui stanno giocando si chiama Prius, è un gdr in cui il proprio avatar interagisce con un personaggio, Anima, una compagna d'avventura che si conosce appena nata e di cui bisogna prendersi cura per farla diventare una valida alleata. Suwon, la città a sud di Seul in cui ha avuto luogo la tragedia, era stata eletta “Città intelligente dell'anno” dall'Intelligent Community Forum di New York, per via degli investimenti sostenuti dalla municipalità per l'incremento della banda larga, arrivata ad una velocità di connessione di 1 gigabyte al secondo.

Lo scorso aprile, il dramma si ripete. Un uomo identificato solo con il suo cognome, Jeong, si reca alla polizia per denunciare la scomparsa di suo figlio, 28 mesi. Le autorità capiscono subito che qualcosa non va nel racconto dell'uomo: Jeong, messo sotto pressione, confessa.

Il bambino è morto a febbraio, abbandonato in casa per 10 giorni, mentre il padre trascorreva il suo tempo chiuso in uno dei 21,500 internet café del Paese. Dopo esser tornato a casa e aver trovato il suo cadavere, Jeong lo nasconde nella veranda del suo appartamento per un mese, per poi disfarsene lasciandolo in un sacco nascosto in un giardino a qualche chilometro da casa. L'uomo si era separato dalla moglie proprio a febbraio, e da allora passava tutte le sue giornate dentro l'internet café (dove poteva fruire di una connessione più veloce di quella domestica).

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Jeong mentre esce di casa per disfarsi del cadavere

La Corea, nonostante i 2 milioni di casi di monomania da videogame (su 50 milioni di abitanti) non è l'unico Paese ad aver registrato tragici casi di dipendenza da videogiochi.

Nel giugno del 2007, a Wellington, Ohio, negli Stati Uniti, Daniel Petric, un ragazzo di 16 anni, è costretto a casa da un'infezione insorta a seguito di un incidente in snowboard. Durante le lunghe giornate a casa, Daniel si intrattiene con videogiochi di guerra e sparatutto in prima persona. I genitori si rendono conto che la sua sta diventando un'ossessione, e decidono di impedirgli di giocare ancora. Ma Daniel capisce. Li chiama a gran voce nella sala da pranzo, chiede loro di sedersi e chiudere gli occhi finché non sarà tornato con una sorpresa. I genitori obbediscono. La sorpresa è una pistola, la 9 mm del signor Petric. Daniel la punta di fronte a sé, mira alla nuca dei genitori e fa fuoco. La madre morirà, il padre no. Il ragazzo verrà condannato a 23 anni di reclusione, ma anche in questo caso la Corte giudicherà la dipendenza da Internet come un'attenuante: la sentenza reciterà che l'assassino “era ancora convinto di trovarsi dentro il gioco e non aveva piena cognizione del fatto che la morte sarebbe stata permanente”.

A Sheffield, Inghilterra, invece, nel luglio del 2011, Chris Stainforth, 20 anni, muore dopo aver trascorso 12 ore ininterrotte di fronte alla sua Xbox. L'autopsia attribuerà la causa del decesso ad una trombosi venosa profonda, un disturbo che colpisce persone di mobilità ridotta, di solito anziane. Le lunghissime sessioni di gioco trascorse nella totale immobilità potrebbero aver causato l'insorgere del disturbo nel ragazzo: un coagulo di sangue formatosi nel polpaccio sinistro e poi trasportato nei polmoni, causa un'occlusione fatale.

Intervistata da The daily beast, la regista di Love Child, Valerie Veatch ha affermato che “il modo in cui spendiamo il nostro tempo all'interno dello spazio virtuale sta trasformando le nostre istituzioni sociali, come la famiglia, e la maniera in cui ci relazioniamo ad essa”.

C'è una sorta di possessione che colpisce i game-addicted in preda ad estenuanti turni di gioco, qualcosa che forse l'antropologo francese Roger Caillois, autore del celebre Les jeux et les hommes, avrebbe descritto come mimicry/ilinx, cioè simulacro (la mimesi tipica dei giochi di ruolo), e vertigine (l'euforia della trance). Lo stato di assenza in cui cadono i giocatori arriva al termine di un processo di straniamento finzionale, in cui ci si impersona progressivamente nel proprio avatar.

L'autoannullamento e la dipendenza causati dai giochi online potrebbero essere descritte come una sorta di liberazione rispetto alle regole del mondo reale, un rito dionisiaco in cui si abbracciano altre leggi, quelle fittizie del gioco?

Forse sì. Ma al rischio della perdizione e dello smarrimento nel virtuale risponde un adagio di Philip Dick:

La realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci, non svanisce.

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