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Ogni cervello in fuga vale 148 milioni di euro

L’esportazione delle “intelligenze” dovrebbe essere un punto d’orgoglio per un paese.
E l’Italia non ha eguali nel comparto.

Specie nel settore medico, dove gli ultimi 4 Nobel ‘tricolori’ sono stati premiati sempre per la loro opera in strutture sanitarie e di ricerca non italiane.

Ma il fatto drammatico è che il lavoro intellettuale di qualità porta benefici economici molto rilevanti ai paesi di destinazione e non a quelli di partenza, che invece spendono soldi per la formazione. E, allo stesso tempo, non c’è un movimento in senso inverso: l’Italia non attrae i ricercatori più quotati.

Vediamo in termini concreti cosa significa per il nostro paese la fuga dei ricercatori (centinaia ogni anno) che se ne vanno per trovare laboratori che sostengano i loro studi e ne premino il merito. Lo studio effettuato dall’ICom (Istituto per la Competitività), dice quanti soldi siano fuggiti insieme ai cervelli: dal 1989 ad oggi l’Italia si è lasciata scappare l'icredibile cifra di circa 4 miliardi di euro, cedendoli ai paesi che hanno accolto i nostri talenti, primi tra tutti gli Stati Uniti, seguiti da Francia e Svizzera. Lo studio ha effettuato una valutazione della fuga dei top scientist: ha preso in esame gli ultimi 20 anni, durante i quali sono stati depositati 155 domande di brevetto di cui l’inventore principale è nella lista dei top 20 italiani all’estero mentre 301 è il numero totale di brevetti a cui i nostri hanno contribuito come membri del team di ricerca. Il valore attuale dei brevetti diretti dai top 20 italiani fuggiti all’estero è di 861 milioni di euro netti e su 20 anni il dato si attesta a 2 miliardi di euro netti. Se si considerano invece tutti i brevetti (inventore principale o membro del team), arriviamo ad un valore di 1,7 miliardi euro e a 3,9 miliardi di euro nell’arco degli ultimi 20 anni, cifra che può essere paragonata all’ultima manovrina correttiva dei conti pubblici annunciata dal governo qualche mese fa.

Il 35% dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca abbandona il paese, fra i primi 100 è addirittura uno su due a scegliere di andarsene perché in Italia non riesce a lavorare. Nella top 20 dei migliori ricercatori italiani che oggi lavorano all’estero, su cui si basa lo studio presentato, compaiono la migliore scienziata donna, il ricercatore più giovane e il più eclettico. Tra i 20 anche Napoleone Ferrara, l’ultimo dei Lasker Awards per la ricerca clinica (l’ambito premio internazionale che spesso prelude ad un Nobel). Ferrara ha ricevuto il Lasker per i suoi studi su un farmaco che blocca la perdita della vista nei pazienti con degenerazione maculare senile umida, patologia che in passato conduceva alla cecità totale; nel 1988 ha lasciato Catania, dove è nato e ha studiato, per approdare negli Stati Uniti e oggi è il secondo migliore ricercatore italiano in termini di pubblicazioni e di impatto scientifico.

In rapporto alla scarsità di stanziamenti e al fatto che in Italia il numero sia più basso rispetto agli altri principali Paesi del G7, i nostri ricercatori possiedono un indice di produttività individuale eccellente con il 2,28 % di pubblicazioni scientifiche. L’Italia è terza dopo l’Inghilterra (3,27%) ed il Canada (2,44%). Dopo di noi ci sono, in ordine, gli Stati Uniti (2,06%), la Francia (1,67%) la Germania (1,62%).

Ma quanto costa al nostro paese lasciare scappare oggi un giovane talento della ricerca? Secondo lo studio dell’ICom’, la valutazione della potenziale perdita di valore è quantificabile in 63 milioni di euro attuali per ogni giovane top scientist che il sistema della ricerca italiana si lascerà sfuggire. Se invece consideriamo la durata totale media di produzione scientifica, la quantità crescerebbe sino a 148 milioni di euro netti (arrivando a più di 200 milioni per uno scienziato specializzato in farmaceutica).

Detto questo, penso sia il momento di farsi un esame di coscienza.

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