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O’ Reilly: "La crisi eliminerà i ‘rami secchi’ del Web 2.0"

La crisi economica planetaria vista come un’opportunità di rinascita, di rinnovamento. Il propellente che imprime spinta ed accelerazione ad un processo di selezione naturale in ogni caso inevitabile, alla fine del quale tutti i ‘rami secchi’ della web economy saranno eliminati, secondo il ciclo ricorrente di ogni rivoluzione tecnologica.

Tim O’Reilly, guru della Rete nonché fondatore e CEO dell’omonima casa editrice internazionale, non sembra avere dubbi: «Siamo nella fase di consolidamento del web 2.0. La crisi esiste e ci offre l’opportunità di riflettere sui problemi nuovi che questo settore deve affrontare». Passata la tempesta, avremo finalmente il tempo di «tornare a porci le domande che contano, e cioè come e dove possiamo applicare le tecnologie e le tecniche del web 2.0 per risolvere i reali problemi del mondo».

E’ il primo giorno della Web2.0 Expo 2008 di Berlino: O’Reilly, risponde alle mie domande mentre sullo sfondo nuvole nere si addensano sullo skyline di Alexander Platz. Una metafora perfetta: “La crisi economica in atto non fa che accelerare quel processo naturale ed inevitabile di eliminazione delle aziende che non hanno un business solido», a sfrondare più rapidamente troppi ‘rami secchi’ del settore. «Succede con ogni rivoluzione tecnologica, è un ciclo che si ripete – spiega -. Quando, ad esempio, negli anni ‘80 ci fu la rivoluzione dei personal computer, si potevano contare migliaia di piccole aziende produttrici hardware e software per pc. Dieci anni dopo, i produttori si erano ridotti ad una mezza dozzina». E’ insomma una storia già scritta: ogni rivoluzione inizia sempre con migliaia di idee e altrettante aziende pronte a realizzarle poi, inevitabilmente, mangia i suoi figli. Specie quelli così incauti (e sono migliaia) da cercare fortuna semplicemente replicando un’idea di successo senza tuttavia aggiungere alcunché di nuovo al panorama della ‘web industry’.

Semplificando, siamo alla resa dei conti per quel variegato mondo che, nell’ormai lontano 2003, fu proprio O’Reilly a descrivere per la prima volta coniando un termine oggi sulla bocca di tutti: web 2.0. Impossibile non chiedergli una definizione del termine aggiornata al 2008: «Il web 2.0 è il ‘network as a platform’, la Rete che diventa piattaforma per lo sviluppo del software - spiega O’Reilly –. Un mutamento che cambia le regole del gioco ridefinendo chi vince, chi perde ed il perché questo accada». Nel web2.0, infatti, « le aziende che hanno successo sono quelle hanno capito come raccogliere attorno a sé una numero enorme e sempre crescente di utenti, offrendo loro servizi che migliorano in maniera direttamente proporzionale al numero di persone che li usa».

E’ un circolo virtuoso: chi sviluppa il software crea servizi che, per funzionare, richiedono l’interazione e il contributo degli utenti, traendo da essi un flusso costante di informazioni. Quest’ultime, a loro volta, vengono poi utilizzate per migliorare il servizio ed arricchire l’esperienza dell’utente. E’ questo, insomma, segreto del web2.0: maggiore è il numero di persone coinvolte, migliore è il servizio che viene loro offerto.
Segreto che, secondo O’Reilly, per molti rimane ancora tale: “La mia impressione – conferma - è che oggi in pochi comprendano cosa sia il web2.0, o ne comprendano generalmente solo le manifestazioni più esplicite». L’editore si riferisce ovviamente a blog, social networks, e in generale agli strumenti che gli utenti usano per conversare tra loro. Invece di limitarsi a instaurare una pur fondamentale conversazione con gli utenti ‘sbarcando’ nella ‘parte abitata della rete’, «le aziende dovrebbero concentrarsi sui dati generati dalla loro interazione con clienti e, dopo averli compresi, utilizzarli per costruire servizi nuovi».

«E’ necessario capire – aggiunge l’editore - che il web 2.0 è fatto di applicazioni vive costruite su dati vivi, dove per vivi si intende generati dal dialogo con gli utenti». Un teorema, questo che consente di interpretare la realtà in modo nuovo e non senza sorprese, scoprendo ad esempio che proprio la controversa multinazionale Wal-Mart sarebbe un’azienda web 2.0 quasi quanto Google: «Ogni volta che una merce viene comprata e tolta dagli scaffali, l’informazione relativa a quell’acquisto finisce direttamente nel “cervello’ di Wal-Mart – argomenta Tim O’Reilly - esattamente come ogni volta che online un utente crea un link questo viene immediatamente immagazzinato da Google. Sono entrambe realtà dove l’intero processo aziendale è permeato dall’IT. Il web 2.0, insomma, come profonda innovazione strutturale dei processi e delle mentalità aziendali, come rivoluzione che investe ogni ambito del business, rinnovandolo dall’interno.

Dato questo affascinante presente, il futuro che ci attende non sembra essere da meno: la nuova sfida è «riuscire ad attingere all’ ‘intelligenza collettiva’ anche quando le persone sono lontane da una tastiera». Per spiegarsi, O’Reilly usa l’esempio dei sistemi di geo-localizzazione: «Oggi molti cellulari dispongono di software che, sfruttando il bluetooth, il GPS o la triangolazione delle celle, automaticamente dicono dove ci troviamo». L’informazione, generata senza il bisogno di imputare alcun dato manualmente, opportunamente sfruttata, consente di costruire servizi nuovi come social network tedesco Aka-Aki: presente all’expo, si basa su un software per cellulare che avvisa se un tuo conoscente o un utente con i vostri stessi interessi passano nelle vostre vicinanze. E’ solo un’applicazione, ma rende l’idea di ciò che ci aspetta.

Prima ancora che un guru della Rete, Tim O’Reilly è un editore attivo sia offline che online. Gli domando se internet finirà davvero con lo spazzare via l’editoria tradizionale. Risponde ricordando che la sua casa editrice già da tempo vende libri ‘elettronici’ attraverso l’e-shop Safari Book Online, poi aggiunge: «se vogliono sopravvivere, gli editori devono avere ben chiara la propria ‘mission’, capire cosa vogliono fare di mestiere. Io per esempio credo - spiega - che il nostro lavoro non sia semplicemente mettere delle parole su un pezzo di carta ma, al contrario, consista nel cambiare il mondo diffondendo la conoscenza degli innovatori». In parole povere, se un editore possiede contenuti di valore e un solido modello di business, allora non deve temere l’evoluzione dei supporti o, peggio, la scomparsa di alcuni di essi.

In chiusura, c’è modo di spendere due parole sul contesto imprenditoriale europeo, dove - riconosce O’Reilly – generalmente il vero problema «è che se fallisci con una start-up sei finito, marchiato a vita, non puoi ricominciare». Un contesto disarmante, distante anni luce da quello statunitense dove un imprenditore ha la possibilità di tentare e ritentare fino ad ottenere il successo. Ma anche la conferma che, per molti versi, il web europeo è ancora fermo ancora alla versione 1.0.

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