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Corrida #20

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Alcuni animali hanno in sè il senso della lotta, sono come drogati dall’odore del sangue e dimostrano in slanci fulminei le proprie predisposizioni. Altri se ne stanno tranquilli, ad abbeverarsi, magari a corteggiare o a mangiare sterpi fra sterpi. L’uomo è il solo ad avere il senso inopportuno della spettacolarità, una spettacolarità da parata, non naturale, senso di forma estetica volta all’innaturalezza, ma tutt’altro che non coinvolgente.

Così, mentre, stordito dall’alcool, non sapevo bene dove mi trovassi, entrò El Cabesa, acclamato da uno stuolo di fazzoletti e ventagli, alcune dame sporgevano oltre il suo sguardo le rose, fresche di trionfo appena futuro. Entrò El Cabesa, con i suoi Picadores e banderilleros, con il suo panno rosso vivo ed il suo sguardo perso nel vuoto, incorniciato dalla tensione palpabile del volto.

Entrò il toro, Ashton secondo, fece un giro completo dell’arena, cominciando dalla sua sinistra, ed in molti ebbero a dire che aveva "salido contrario", cioè che si era alzato col piede sbagliato o qualcosa di simile. Una cosa era lampante ai miei occhi: era uno spettacolo inverosimile, per una manciata di cretini, offerto da una pattuglia di imbecilli.

Gli attori principali erano tutti al loro posto, ognuno sapeva i propri gesti e compiti, l’unico ignaro rimaneva Ashton secondo, che si guardava intorno, imbarazzato, disorientato, lontano dai suoi luoghi con già un pennino porta colori dell’allevamento conficcato sul garrese.

Iniziarono i picadores, a cavallo, ad armi impari, con la propria lancia a sferzare il toro. Ashton caricava a destra e a manca, con tutte le forze, con tutto lo slancio incredibile dei bovini. Ma cedeva, colpo su colpo, la pattuglia di imbecilli sapeva benissimo come giocare la partita. Un cavallo ebbe un sussulto, ma le regole non variarono.

Tuttavia sembrava che le lancie non fossero riuscite che a scalfire un poco la mostruosa possenza fisica del toro, ancora pronto, concentrato, per evitare il massacro, fermo nell’idea del dare battaglia, convinto ingenuamente, che le armi fossero pari.
E’ questo che mi iniziò a disgustare, la lotta ad armi impari, uno spettacolo totalmente ingiustificato. Un toro ed un uomo, come due gladiatori, ma uno disarmato.

Entrarono anche i banderilleros, uomini di poca forma e tutta sostanza, il cui compito è quello di conficcare tre "banderillas" sul dorso, per poi abbandonare il bovino alle cure del torero. El Cabesa se ne stava in disparte, guardava, ogni tanto agitava il manto, faceva correre Ashton, ma non sembrava il protagonista: appariva più come una seconda figura, una comparsa improvvisata da commedia.
Intanto i banderilleros iniziarono a provocare il toro, causandone le molteplici cariche e la dovuta stanchezza, e il sangue iniziò a danzare sulla sabbia polverosa dell’arena. I conati del vomito si fecero sentire, da sempre non sopporta né la vista del sangue, né la violenza ingiustificata, e cercai di farmi largo, per respirare meglio, e senza accorgermene guadagnai le prime file della gradinata.

Ashton cominciava a durare fatica, ma restava fermo nell’intenzione di vincere, nell’idea di sopravvivere, pronto a tutto. Ma un toro con tre lame conficcate nel dorso non può essere abbastanza lucido da capire la strategia o usare la potenza.
Entrò in scena El Cabesa, fluttuante dei suoi cenci dorati, acclamato dalla folla, coperto di gridi. Per un momento, se ci penso svagatamente, mi sembra di essere stato ad un concerto dei Beatles.
Entrò in scena El Cabesa.

(continua...) (leggi le altre puntate di Corrida)

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