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Nuove elezioni? Ecco cosa succede quando si torna subito a votare

La tentazione di ripetere le elezioni è sempre forte quando si verifica uno stallo, ma chi trae davvero vantaggio da uno scenario simile? Vediamo cosa insegnano i precedenti a livello europeo…

di  Francesco Cianfanelli

Un ritorno alle urne pochi mesi dopo il 4 marzo sembrava uno scenario possibile ancor prima delle elezioni, il cui esito non ha certo scongiurato questa ipotesi. Un secondo voto potrebbe essere una forte tentazione per i partiti usciti rafforzati dalle ultime elezioni, magari pensando a quanto successo in Grecia nel 2012, quando si votò due volte in poco più di un mese: allora Syriza, il partito di Alexis Tsipras, dopo aver registrato una crescita del 12% nelle elezioni di maggio, crebbe di un ulteriore 10% in quelle di giugno, legittimandosi come erede del decaduto PASOK alla guida della sinistra greca. Ma il caso di Syriza è una vera e propria eccezione più che la regola.

In Italia non ci sono mai state due elezioni politiche a distanza di meno di un anno, ma in altri paesi europei è successo, anche di recente: solo negli ultimi tre anni è successo in Grecia (di nuovo), Spagna, Croazia, Austria e Islanda. Aggiungiamoci anche la Turchia, che pur non facendo parte dell’UE è comunque – almeno formalmente – una democrazia, geograficamente a noi molto prossima.

Ogni caso è diverso dall’altro, così come le ragioni dietro ciascun ritorno anticipato alle urne, ma tra gli effetti è possibile rintracciare alcune costanti che ci suggeriscono cosa sarebbe lecito aspettarsi da uno scenario simile:

  1. raramente nuove elezioni portano stravolgimenti del quadro politico;
  2. quasi sempre chi ha vinto le prime elezioni cresce e si conferma prima forza;
  3. difficilmente chi è cresciuto molto continua la sua ascesa;
  4. i grandi partiti in crisi solitamente non crollano o riescono addirittura ad invertire la tendenza;
  5. nelle seconde elezioni l’affluenza tende a calare.

Che non vi sia da aspettarsi grandi stravolgimenti da elezioni molto anticipate è evidente anche dall’analisi dei soli casi recenti. In Austria la ripetizione del ballottaggio per le presidenziali ha confermato la vittoria del verde Van der Bellen, seppur con un risultato migliore (da 50,3 a 53,8%). Negli altri cinque casi citati, in cui si votava per il rinnovo del parlamento, i primi tre partiti sono rimasti sempre gli stessi, nello stesso ordine, con l’unica eccezione del Partito dei Pirati islandese, che ha perso il ruolo di terza forza parlamentare a vantaggio dei socialdemocratici. A volte un singolo partito riesce comunque ad aumentare il divario sugli altri (è il cado di AKP, il partito di Erdogan, che arrivò a guadagnare oltre 8 punti in cinque mesi nel 2015), ma spesso anche le percentuali cambiano di pochissimi punti: nelle seconde elezioni greche del 2015, per esempio, i primi tre partiti hanno avuto tutti variazioni inferiori all’1%. Per trovare risultati che abbiano modificato nettamente lo scenario politico occorre tornare indietro al già citato caso della Grecia nel 2012, quando oltre a Syriza anche i conservatori di Nea Dimokratía riuscirono ad aumentare i propri consensi di oltre 10 punti percentuali, confermandosi prima forza e rifondando un nuovo bipolarismo (che dura ancora oggi).

Raramente i partiti che sono cresciuti molto in un’elezione continuano la loro ascesa con il ritorno immediato alle urne: anzi, a volte si ridimensionano. Oltre al già citato caso di Vienotība in Lettonia (che meno di un anno dopo aver guadagnato il 15% ha perso più del 13%) e del Partito dei Pirati in Islanda (passato dal crescere del 9% al perdere oltre il 5%), ci sono stati altri partiti che dopo crescite improvvise hanno avuto un rapido e notevole calo. In Olanda nel 2003 laLista Pim Fortuyn, che era diventata secondo partito l’anno prima dopo che il suo leader era stato assassinato a pochissimi giorni dal voto, subì un notevole ridimensionamento, perdendo due terzi dei consensi e risultando la quinta forza nel nuovo Parlamento. Nel lontano 1974, nel Regno Unito, la formazione di una maggioranza fu impedita dall’exploit dei liberali, passati dal 7,5% a oltre il 19% nelle elezioni di febbraio: alle nuove elezioni, in ottobre, i liberali persero l’1%. In molti altri casi i partiti in forte crescita semplicemente rimangono stazionari o crescono in maniera poco significativa.

Le elezioni molto anticipate inoltre non sembrano aggravare le crisi dei grandi partiti. Si è visto (ancora) in Spagna nel 2016, quando i due partiti tradizionali, popolari e socialisti, calati notevolmente nelle elezioni del dicembre 2015, crebbero entrambi. Il PSOE in realtà crebbe solo dello 0,6%, ma tanto bastò per evitare il temuto sorpasso da parte di Podemos. Nelle già citate elezioni olandesi del 2003 il partito laburista, dopo aver perso nel 2002 il 14%, riuscì a riguadagnare il 12%, sfiorando la vittoria. Nelle stesse elezioni, il partito popolare che pochi mesi prima aveva perso il 9% risalì di due punti. In Grecia, il PASOK che nel 2012 era crollato dal 44% ottenuto nel 2009 al 13%, è sempre riuscito in seguito a rimanere stabile, riguadagnando anche qualche consenso nelle seconde elezioni del 2015, pur avendo ora un ruolo molto marginalerispetto al passato.

Chi non sembra apprezzare il ritorno alle urne molto ravvicinato sono gli elettori: nella maggioranza dei casi le seconde elezioni attirano infatti un numero inferiore di persone al voto. Nelle elezioni ripetute in Croazia nel 2016 il calo dei votanti è stato addirittura pari a 8 punti percentuali. A volte, però, succede anche il contrario, come ultimamente in Islanda e Turchia dove però si è registrata una crescita limitata dell’affluenza.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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