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Nucleare Italiano? No, solo un regalo alle imprese francesi

Parla Massimo Scalia, Fisico, docente a La Sapienza di Roma, leader negli anni Settanta e Ottanta del movimento antinucleare e ex parlamentare.

Sembra di tornare indietro di 30 anni. Quando l’Enea si chiamava ancora Cnen e il nucleare rappresentava l’utopia della modernità. Poi vennero i grandi incidenti e la spinta di un formidabile movimenti antinucleare, ampio e trasversale, che vinse un refrendum cancellando l’atomo alla matriciana. Oggi Berlusconi rilancia, con l’aiuto di Sarkozy, il nuclearedi terza generazione. Ne parliamo con il fisico, e ex parlamentare, Massimo Scalia.

Bisogna prendere sul serio la rinascita del nucleare italiano annunciata da Berlusconi dopo l’incontro con il presidente francese?
Si tratta di una “sagace” operazione di un abile presidente francese, a difesa e a favore dell’industria francese, a spese del denaro pubblico italiano. In tutto il mondo, e in particolare nel mondo occidentale, il nucleare è possibile farlo solo con l’intervento pubblico. Perché nessun imprenditore, soprattutto dopo questa devastante crisi economica, anticiperà mai le enormi risorse necessarie rispetto a un possibile ritorno che sarà fra dodici e tredici anni. Berlusconi sta dando un grande aiuto all’industria nucleare francese che compete, proprio sul nucleare di terza generazione, con quella statunitense.

Una beffa per i milioni di italiani che nell’Ottantasette chiesero l’uscita dall’atomo.
Si dice che oggi gli italiani delle nuove generazioni siano a favore del nucleare. Ma nessuno li ha mai consultati. Si sta tornando alla retorica degli anni Sessanta e Settanta.


Massimo Scalia (a sinistra) e Gianni Mattioli (a destra)
Nucleare di terza generazione. È davvero più sicuro? Sono stati risolti i nodi delle scorie e delle emissioni?
I tre punti più controversi nella terza generazione sono rimasti inalterati. Prima di tutto è evidente che il legame fra nucleare civile e militare rimane inalterato. Il nucleare di terza generazione non sancisce la “separatezza” fra le due tecnologie. Secondo, rimangono le emissioni di esercizio della radioattività, sia per via aerea che attraverso i liquidi ovvero nel raffreddamento. Si calcolano dei limiti di “emissioni tollerabili”. Non si parla di “no emissioni”. E terzo rimane il problema delle scorie ad altissima intensità. I mega progetti di trattamento (la cosiddetta “spallatura del target”), con la riduzione della durata del tempo di decadimento degli isotopi radioattivi sono ancora al palo. Enormemente costosi. E le scorie, in un ciclo legato all’uranio come previsto anche nella terza generazione, si produrranno comunque.

In Italia ci sono ancora “zone di rischio”?
Certo, le parti della centrale sperimentale a graffite di Latina non decommissionate di Latina e le oltre settanta barre di torio immagazzinate a Rotondella.

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