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Nonsolocovid | L’avanzata macroparassitica

Vi è una terra, qui segnata, in cui la luce di ogni nuovo giorno vede consumarsi un abietto ladrocinio, a tratti indecifrabile allo sguardo di un’anima naturalmente prodiga, ricolma e grondante di ogni fatto. Nessuno lo fa noto, nessuno lo urla in piazza, eppur le viscere ne han coscienza.

 Voglia l’uso e costume che il peso abnorme aggravio è addossato interamente sulle spalle di colui qui privato della parte sua spettanza. A onta e sprezzo di un istituto introdotto a comune beneficio di entrambe le parti in tempi già remoti, che pertanto non deve pesare su di una più che sull’altra, la compravendita qui tracciando, il losco profittatore si arroga, si appropria, s’impossessa di ciò che è dell’altro nello scambio, la somma di denaro come corrispettivo di una prestazione o di un bene alienati. Non siamo qui a narrare di baroni sospettati di cavare un interesse privato nell’uso dei poteri, di nobili che monopolizzano la proprietà e l’accesso, o di tiranni, dispotici e crudeli, accentratori in sé di ogni potere, ma di artigiani di paese, di rozzi commercianti e piccoli latifondisti, di commercialisti ludopatici e bisbetiche casalinghe, di ruvidi pescatori, avidi conterranei e tutto il resto.

In omaggio a un onesto bisogno di ciò che non manca all’altro, i torbidi figuri non si fanno scrupolo di richiedergli un bene o le competenze, intellettuali e manuali, a ingrassare i propri agi sottraendosi con l’inganno all’onere di far la propria parte nell’affare. – Non ci stanno soldi, non ho avuto, ti do domani – la spudorata frottola, ben consapevoli di prospettare un tempo che non sarà mai e cinici nella condanna di quell’altro già cedente a mendicare la sua spettanza, disinvoltamente loro invece si rifanno dentro e fuori. Nella brama di un arbitrio non conoscono frontiere in quanto a eguali a salassare, siano essi estranei o conterranei, concittadini e pur vicini, giovani apprendisti o adulti navigati, padri di famiglia o figli unici ancora in cerca, il lavoro in nero oppure in regola con il fisco. E nella veste del rodato consumatore a mirare il solo bene o la prestazione, avidamente al prezzo sempre magro, indifferente di quell’altro conciliante a finire di consumarsi in uno sfregio solingo, essi sono talmente accorti da scialare in aggiunta alle proprie anche le altrui sostanze.

Quando poi è fortunato, il disgraziato, tra di loro grassatori vi è chi è disponibile a cederli i denari, quell’equivalente in cambio di un goduto, a pagare il giusto prezzo – se non fosse che, in piena violazione di ogni saggia e illustre trattazione dell’argomento, arcaica e contemporanea, la giustezza di una contropartita sia sancita a loro unica discrezione, categorica e inappellabile, iscrivendosi nella dimensione qui mortificante della paghetta al figlio infante: un pacchetto di sigarette, una birra, del vino fatto in casa, magari un materasso sul retro, in magazzino, per quell’altro senza casa, lui è uno che si accontenta – a me gli ossequi, indiscussi e deferenti, bontà mia che ti do lavoro.

Ora ciò che qui sconcerta e confonde è assistere giorno dopo giorno all’esercizio di una subdola sopraffazione nel laconico rifiuto di corrispondere il valore di una prestazione o di un bene già alienati, solo espressione di un puro arbitrio, dittatura del volere, mai un oggettiva e sopravvenuta indisponibilità di risorse opportune. Un terreno questo, palesemente ibrido, in cui la dimensione dello scambio economico si spoglia radicalmente di ogni aspetto, fosse pure in apparenza, di liceità del guadagno, di cooperazione positiva per il bene-vivere della comunità cittadina, di giustizia commutativa o distributiva, di mutuo beneficio, di reciprocità e via scorrendo, con le dovute ricadute insane, di conseguenza, sullo scambio sociale onnipresente nelle relazioni umane e già note a filosofi e pensatori di un mondo arcaico. Una terra d’illegalità questa – a illuminarmi quel militare in uniforme di una Polizia di Stato, la testa appoggiata sul gomito, l’aria aduggiata – in cui la stessa dimensione di giustizia (che sia a regolare o a riparare, a giustificare istituzioni sociali, a equivalere) è qui sospesa e ogni autorità preposta solo incarnazione di un potere vago e insufficiente, privo di rilievo. Al cospetto di una facoltà di tendere con fermezza e piena licenza alla realizzazione di scopi ben determinati – qui il sordido e proprio agio di chi lo brama, sempre a ingrassare – a dirsi propria dell’uomo ma a farsi evidentemente solo appannaggio di taluni, ciò che appare unica attesa, promessa e fede di quell’altro defraudato in assenza di alternativa è la giustizia che si fa da sé: economica, veloce e meno fallibile, non giustificabile ma umanamente comprensibile.

La storia è infinita, la lista dei soprusi è lunga, gli elementi cambiano con il contesto ma la frustrazione è sempre quella, e la rabbia esplode, mentre il cuore rievoca oltre il grido le parole fiere di Socrate già redento… “C’è un limite oltre il quale la sopportazione cessa di essere una virtù.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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