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Non siamo mica gli americani. Le elezioni USA viste dall’altra parte dell’oceano Atlantico

Come mi è apparsa siderale la distanza fra gli Stati Uniti d'America dopo le elezioni presidenziali che hanno visto la rielezione di Barack Obama e la nostra cara e povera Italia, la quale sta vivendo uno degli autunni più difficili della sua storia repubblicana.

Non che io abbia mai creduto che gli USA siano quel grande e sconfinato paradiso in terra; buona parte dell'immaginario collettivo è sempre stato convinto così, aiutato certo dal cinema, dalla musica, dalla dimostrazione di potenza economica e militare. Il grande sogno americano ha sempre avuto un lato oscuro e non servivo certo io a raccontarlo. Nel suo capolavoro "Furore", John Steinbeck ci descrisse già nel 1939, attraverso le vicende della famiglia Joad, travolta come moltissime altre dalla Grande Depressione degli anni trenta del Novecento, le grandi speranze di questi agricoltori dell'Oklaoma che lasciano quel poco che gli è rimasto per raggiungere la terra promessa, la California. Le grandi speranze che cadono e la più nera disillusione che appare una volta che quell'Ovest tanto agognato è raggiunto, dove non vi è spazio per gli ultimi arrivati.
 
Già ma tornado alla rielezione di Obama, nonostante la campagna elettorale come sempre non ci abbia risparmiato duri attacchi fra i contendenti, scoop e contro-scoop, milioni di dollari per finanziare uno o l'altro candidato, alla fine il grande giorno è arrivato e il ciclo democratico alla Casa Bianca è potuto ripartireNuove sfide, nuovi problemi, nuove e vecchie aspettative dell'elettorato da mantenere con le quali dovrà confrontarsi l'amministrazione Obama. Curioso che la più grande democrazia del mondo occidentale per eleggere il proprio presidente utilizzi i più diversi sistemi di voto, da quello elettronico a quello per corrispondenza, al tradizionale con la crocetta sulla scheda; inoltre mi ha sempre colpito il fatto che l'election day cada in un giorno lavorativo e che ogni stato abbia le proprie regole in materia. 
 
La sensazione che però maggiormente ho avvertito vedendo le immagini della rielezione di Obama e del suo discorso di ringraziamento, è quella di una grande nazione che nonostante le normali divisioni che si creano fra opposti schieramenti durante un'elezione, è in grado di ricompattarsi attorno alla figura del proprio presidente. Anche se il far play del contendente Romney e del suo entourage può essere stato di circostanza, ora che la competizione elettorale è passata, adesso conta lavorare per il paese e per risolvere i problemi, certo ognuno dalle proprie posizioni ma nell'interesse comune. Un presidente che non ha timore di affermare che "il meglio deve ancora venire" assumendosi la responsabilità di condurre la nazione verso un futuro possibile, fatto di lotte per i diritti civili, di un rilancio del sogno americano e della sua economia. Con i piedi ben piantati nel presente, consapevole che il mondo è diventato multipolare e l'egemonia USA non è più quella di una volta.
 
Nulla a che vedere con quello che stiamo vivendo nel nostro paese. Mai come ora ho avvertito la provincialità, la marginalità del nostro sistema politico nello scenario mondiale. I maghi del trasformismo, i vecchi satrapi della politica tricolore, tutti al gran lavoro per far sì che nulla cambi, nonostante la grande casa Italia presenta vistose crepe. Una classe politica che nel suo insieme è più preoccupata ad autoconservarsi ideando leggi elettorali che hanno come unico obiettivo quello di non far vincere nessuno, di rendere ingovernabile il paese per far in modo che l'ennesima ammucchiata sostenga un Monti bis. Cosicché il tempo della politica, della scelta dei cittadini si allontani ancora una volta. Se non fosse per la buona volontà del centrosinistra di costruire un'alternativa di governo - anche se la sola buona volontà a volte non basta - stiamo assistendo ad un grande teatrino dove un turbinio di dichiarazioni contrastanti e vuote, candidature e smentite, scissioni di partiti esistenti e nuove formazioni politiche che si profilano all'orizzonte, poteri forti che si travestono di nuovo, riempiono tutti i giorni le cronache politiche italiane. Con un paese sfibrato che sta lì a guardare, ormai spazientito e disilluso. Con un nuovo che avanza che non lascia presagire nulla di confortante, un mix di populismo e social network che a furor di popolo si promette di spazzare via tutto e tutti, indistintamente, per creare una webcrazia o un'autodemocrazia dove la politica non ha più una visione del futuro, ma è succube degli umori giornalieri della rete.
 
Ho pensato "non siamo mica gli americani" quando ho spento la tv la notte delle elezioni americane mentre seguivo lo spoglio elettorale. Ho spento la luce e ho cercato di dormire comprendendo che mentre dall'altra parte dell'oceano la storia stava facendo il suo corso, qui da noi la strada è ancora molto lunga e tortuosa per arrivare ad un cambiamento vero. Con la viva speranza che riusciremo a percorrerla per intero questa strada.
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