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Nepal, il fallimento delle politiche di protezione dei popoli nativi

Da quasi un quarto di secolo, i popoli nativi del Nepal subiscono violazioni dei loro diritti fondamentali nonostante siano protetti dalla Costituzione.

Lo hanno ricordato oggi, in occasione della Giornata internazionale dei popoli nativi, Amnesty International e il Community Self-Reliance Centre in un rapporto che denuncia come l’istituzione dei parchi nazionali e di altre “aree protette”, che ricoprono quasi un quarto del territorio nazionale, abbia costretto decine di migliaia di nativi a lasciare le loro terre ancestrali, su cui basavano la loro esistenza.

La legge ha dato luogo a un esito paradossale: limitando tra le altre cose la caccia e le coltivazioni, ha reso impossibile vivere proprio alle persone che doveva proteggere.

Il mondo crede che quella del Nepal, iniziata nel 1973 con l’adozione della Legge sui parchi naturali e sulla natura, sia una “storia di successo” in termini di conservazione e protezione delle aree e dei popoli nativi. Ma quel “successo” si basa sul silenzio delle vittime.

Non solo sono mancati i risarcimenti per gli sgomberi di questi decenni, ma queste azioni illegali sono proseguite anche recentemente. Ad esempio, il 18 luglio 2020 dieci famiglie sono state allontanate da una “zona cuscinetto” situata in prossimità del parco nazionale di Chitwan, dove si erano trasferite da poco dopo che il loro precedente insediamento era stato colpito da alluvioni e valanghe.

Un altro paradosso è costituito dal cosiddetto malpot, la tassa sui proventi della terra. Nel parco nazionale di Bardiya, alcune famiglie sono costrette a pagarla nonostante non possano avere accesso alle loro terre da alcuni decenni. Non vengono accettati reclami in assenza della ricevuta di pagamento…

In assenza di alternative, per sopravvivere molte famiglie native sono state costrette ad aderire al sistema denominato bataiya, che consiste nel coltivare su terreni altrui in cambio della cessione ai proprietari di metà del raccolto. I casi di sfruttamento del lavoro agricolo da parte dei padroni delle terre non si contano.

La risposta delle autorità nei confronti di coloro che cercano di violare le norme vigenti è dura. Molti nativi che cercano di entrare nei parchi nazionali vengono arrestati e a volte torturati dai militari. Un anno fa un uomo di 26 anni, Raj Kumar Chepang, è morto dopo essere stato arrestato e sottoposto a un violento pestaggio. La presenza delle forze armate all’interno dei parchi è sempre più evidente.

Amnesty International e il Community Self-Reliance Centre auspicano che, a seguito della pubblicazione del loro rapporto, le autorità nepalesi riconoscano i diritti dei popoli nativi sulle loro terre ancestrali e li autorizzino a tornarvi, dando inizio a una nuova era in cui queste comunità siano coinvolte, e non più escluse, nei processi decisionali relativi alla gestione e alla conservazione delle loro aree.

 

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