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 Home page > Attualità > Società > Nella zuppa di Porro non c’è la ciccia

Nella zuppa di Porro non c’è la ciccia

 

Qui si pensa da molto tempo che Nicola Porro sia un bravo giornalista, oltre ad essere dotato di una confortante tendenza ad essere pro-market, laddove la norma per i giornalisti sembra quella di essere entusiasticamente pro-business, quando si passa dalle parti di Corso Marconi e non solo. Anche (ma non solo) per questo siamo piuttosto perplessi per l’iniziativa della procura di Napoli, ed in particolare di Henry John Woodcock, che consideriamo il migliore spot vivente per Berlusconi ed il suo desiderio di demolire la magistratura italiana fingendo di invocare riforme.

 

Siamo quindi piuttosto concordanti con le riflessioni di Claudio Cerasa.

Che un giornale decida di martellare la presidente di Confindustria con un tempismo assai sospetto rispetto all’intensificarsi delle critiche di quest’ultima nei confronti dell’esecutivo può anche starci, visto a chi appartiene tale giornale. Ma la discriminante resta sempre il dare le notizie. Se poi di tutto si tratti fuorché di scoop, spetta ai lettori giudicare, oltre che della qualità del giornale. Sfortunatamente oggi in Italia la polarizzazione è tale che molti lettori hanno già un pregiudizio positivo o negativo verso un determinato personaggio pubblico, e non aspettano altro che di trovare un riscontro a tale pregiudizio, senza ulteriori analisi ed approfondimenti.

Senza contare che esiste una parte di opinione pubblica, quella culturalmente meno fornita di strumenti di analisi, che di fronte a tali notizie reagisce dicendo “Ehi, ma hai visto? Sembrava una persona così per bene e invece… lo dice il giornale”, con o senza minuscola.

In un articolo di giornale può esistere una cosa chiamata “violenza privata”, tale da “coartare la volontà altrui”? Se esiste, probabilmente dovremmo “avvisare” di garanzia un elevato numero di iscritti all’Ordine. E soprattuto, se tale peculiare fattispecie di violenza privata esiste, come la si misura? Con la fragilità caratteriale dei destinatari di tali “attenzioni” giornalistiche? Una china molto scivolosa: sembra un controllo preventivo sul contenuto degli articoli, con venature di psicopolizia.

Certo, in questa vicenda abbiamo toccato con mano alcuni rapporti, tanto sgradevoli quanto “normali”, tra giornalisti e personaggi pubblici e di potere, ma non c’è nulla di sconvolgente né di inimmaginabile. Come scrive Cerasa,

«se davvero il Giornale avesse avuto, o avesse trovato, delle notizie interessanti intorno alla famiglia Marcegaglia e avesse deciso di pubblicare queste notizie anche con una tempistica discutibile (ovvero giusto dopo le critiche della Marcegaglia al governo) io credo che Feltri avrebbe avuto tutto il diritto a mettere in pagine quelle notizie lì. Lo stesso vale per i ruvidi commenti che Sallusti ha riservato alla Marcegaglia il giorno dopo le critiche al governo del presidente di Confindustria (cosa che in effetti è accaduta)»

Se l’interessata avesse trovato in quegli articoli gli estremi della diffamazione o di altro reato avrebbe sempre potuto procedere contro giornale e giornalisti. E’ piuttosto deprimente che Marcegaglia abbia invece subito attivato il canale di un peculiare consigliere di amministrazione de il Giornale quale è Fedele Confalonieri, dimostrando che della autonomia dei giornalisti in Italia non frega (né è mai fregato nulla) a nessuno, men che meno ai cosiddetti “poteri forti”.

In questa vicenda non ci sono buoni e cattivi: ci sono giornalisti che fanno giornalismo a orologeria (anche se a dire il vero Porro è da sempre molto critico verso la gestione-Marcegaglia in Confindustria); ci sono persone di potere che trattano la stampa per quello che è, uno scendiletto; e ci sono giudici che esercitano robustissime torsioni su codici e senso comune, siano tali torsioni al servizio di un disegno “eversivo” o, più probabilmente, di un protagonismo patologico. Nulla di nuovo sul fronte italiano.

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