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 Home page > Tribuna Libera > Nella bozza del decreto sviluppo, le norme sulle armi. Perché?

Nella bozza del decreto sviluppo, le norme sulle armi. Perché?

Eccomi qui. Mi ero ripromesso di "staccare" la spina per qualche giorno. Giorni conquistati da eventi e notizie devastanti e bestiali. Nel senso che è emerso il carattere bestiale dell'essere umano. Siamo bestie non umani.

Ho ancora impresse in mente le immagini di Vespa con la sua bacchetta che da improvvisato dottor House mostra il foro con cui il prigioniero Gheddafi è stato ucciso.
 
Tutta la stampa, sia italiana che internazionale, per giorni non ha mostrato altro. L'uccisione del prigioniero Gheddafi. Preciso prigioniero perché una cosa è morire durante un combattimento altra è essere uccisi da prigionieri.
 
E poi tutti a lavarsi la bocca con la contrarietà alle torture umane, al divieto della pena di morte al rispetto della vita umana.Non siamo umani, siamo bestie. Siamo belve assetate di sangue. Siamo belve assetate di spettacolo tetro e schifoso.
 
La curiosità di vedere Gheddafi morto, la spettacolarizzazione della sua uccisione è per l'ennesima volta la conferma di quanto siamo lontani dall'essere umani.
 
Penso alle parole di Vittorio Arrigoni: "restiamo umani". Forse in altro tempo, in altra vita. In questo tempo non si può restare umani, semplicemente perché non siamo più umani.
 
Però esiste una parte di popolo, di persone che provano a resistere in tale vile turbamento. Una parte di persone che si battono per la dignità umana. Non si uccidono i prigionieri. Non si spettacolarizza la morte anche del peggior criminale. Non si denigra la vita dell'uomo in quel modo. Ma ripeto, non è questo il tempo dell'umanità.
 
Anche la Chiesa, con le parole del Vescovo di Tripoli, tutto esaltato e contento per la morte di Gheddafi, ha dimostrato l'incoerenza rispetto la sua dottrina. Avesse detto una sola parola per quella uccisione meschina. Non che io sia sostenitore di Gheddafi: io sono sostenitore dei diritti umani. Non è morto in combattimento: è stato ucciso da prigioniero.
 
E la stampa, tutta, i media, tutti, devono vergognarsi. Fate schifo.
 
Premesso questo sfogo, veniamo al dunque di una vicenda, che non è stata affrontata da nessuno.
 
Leggendo il testo della bozza del decreto sviluppo, ho notato una cosa strana. Forse poi non tanto strana, visto e rilevato il mondo e la società in cui viviamo. L'articolo 113 comma 1, lettera c, sopprime un periodo della legge 110 del 18 aprile 1975, (GU n. 105 del 21/04/1975) norme integrative della disciplina vigente per il contollo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, ovvero: 
Sono altresì armi comuni da sparo i fucili e le carabine che, pur potendosi prestare all'utilizzazione del munizionamento da guerra, presentino specifiche caratteristiche per l'effettivo impiego per uso di caccia o sportivo, abbiamo limitato volume di fuoco e siano destinate ad utilizzare munizioni di tipo diverso da quelle militari.

Quindi, i fucili e le carabine, come indicate in questo periodo, non verranno, se tale decreto verrà approvato, più considerate armi comuni da sparo.
 
Il Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 "Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza" al CAPO IV ,DELLE ARMI , Art. 30 afferma che:
Agli effetti di questo testo unico, per armi si intendono:
 
1) le armi proprie, cioè quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona;

2) le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti, ovvero i gas asfissianti o accecanti.

Quindi, non verranno più intese come armi.

Ma non finisce qui. In tale decreto sviluppo viene abrogato, all'articolo 113 lettera e, l'articolo 7 della legge 18 aprile 1975. ovvero: ART.7. catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.
È istituito, presso il Minisero dell'Interno, il catalogo nazionale delle armi comuni da sparo delle quali è ammessa la produzione o la importazione definitiva.
Quindi, sparirà la catalogazione delle armi. Dal punto di vista giuridico e penalistico il principale effetto e scopo della “catalogazione”, ovvero dell’inserimento di un determinato tipo di arma nel Catalogo, è quello previsto dal terzo comma dell’art. 7 della citata legge n. 110/1975:
L’iscrizione dell’arma nel catalogo costituisce accertamento definitivo della qualità di arma comune da sparo posseduta dal prototipo. 
Ora, tale norma verrà abrogata. L’accertamento è vincolante per tutti, anche per l'autorità giudiziaria.
 
Domanda: quale è il nesso tra il concetto di decreto sviluppo e l'abrogazione di tali norme?
 
Altre domande: in quale parte d'Italia è maggiormente diffuso l'utilizzo di quelle armi in sostanza da caccia? Quale forza politica è da tempo che sostiene che marceranno per le vie di Roma anche con le armi?
 
Io denuncio quanto scritto in un testo di legge. Norma sfuggita praticamente a tutti. Forse saranno solo mie errate valutazioni. Ma in ogni caso meglio errare che chiudersi nel silenzio della indifferenza.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.189) 4 novembre 2011 03:10

    Ragazzi avete preso un granchio grosso come una casa e non avete capito nulla di cosa c’è scritto, se volete pubblicare articoli tecnici prima rivolgetevi appunto a gente che ha conoscenze tecnico-giuridiche adeguate ad affrontare la questione...

    Le armi comuni rimarranno quelle di prima, non è vero che non saranno più considerate armi, ma stiamo scherzando? Pensate che potrete comprare un fucile dal salumiere e senza licenza di polizia? Vi rendete conto della gravità di queste affermazioni? Sono inorridito.



    Il catalogo sparirà perché dovrebbe distinguere tra armi comuni e armi da guerra (anche se poi ne è stato fatto un uso abusivo, visto che ogni tanto la commissione in base a come le gira decide *praeter legem* nuove regole in modo del tutto abusivo), e ogni arma che si vuole vuole sia venduta sul territorio nazionale deve passare da una commissione che la deve approvare e iscrivere. Ma il compito di distinzione tra arma da guerra e comune è già stato assolto dalla direttiva europea sulle armi e da una legge sul materiale d’armamento senza il bisogno di una commissione e di una burocrazia che costa centinaia di migliaia di euro l’anno e che rallenta la commercializzazione dei nuovi modelli.
    E se la legge fissa a 30 giorni prorogabili a 60 il termine, la realtà è che ci sono istanze di catalogazione ferme da più di 500 giorni, bloccando quindi le (piccole) imprese che hanno già sostenuto l’ordine di produzione o importazione. Inoltre visto che nella commissione siedono gli industriali più grandi è naturale che i pesci più grossi si mangiano quelli più piccoli potendo rubare idee o ostacolare i concorrenti.
    Insomma è solamente un modo per rendere le regole uguali per tutti, sia per i piccoli che per i grossi, sia per usare meglio i soldi pubblici, sia per levare burocrazia inutile.

    Ma nella sostanza non cambia nulla per la sicurezza pubblica, perché se un’ arma non risponde ai dettami delle norme che definiscono ciò che è arma da guerra e ciò che non lo è non si potrà ugualmente venderla sul mercato nazionale. L’unica differenza è che le regole varranno per tutti e che si potrà proporre modelli sul mercato più velocemente, ma senza intaccare la sicurezza pubblica.

    Inoltre c’entra poco con la caccia, visto che le armi comuni nel nostro ordinamento al momento sono quelle corte (pistole e revolver che sono proibite nell’attività venatoria) e carabine pari o inferiori al calibro 22 o comunque con un bossolo più corto di 40mm, armi che tra l’altro sono proibite per l’uso di caccia....

    E se non fosse abbastanza la maggior parte dei cacciatori usa armi a canna liscia, che già ora non sono (per fortuna) oggetto di iscrizione al catalogo nazionale, eppure non mi risulta che vengano vendute al supermercato, ma che ci vogliano delle sudate licenze di polizia per comprarne una.

    Per una volta che fanno una cosa trasparente e che rimette tutti all’ imparzialità della legge invece che a una commissione con tutti gli interessi che le girano attorno, perchè ci agitiamo?

  • Di Marco Barone (---.---.---.122) 4 novembre 2011 14:27
    Marco Barone

    Segnalo quanto mi è stato da più voci evidenziato, premetto che ho evidenziato, nell’articolo, la natura dubitativa di quanto riportavo, la complessità della materia può indurre ad errori di interpretazione, se così è stato mi scuso per la errata lettura della detta legge. In ogni caso tale questione non è passata sotto silenzio( forse grazie anche a questa riflessione) e spero che la vicenda armi possa essere sempre oggetto di attenzione dalla parte di tutti.
    Marco Barone

    Riporto quanto mi è stato segnalato:
    Per poter circolare in Italia ed essere legalmente detenenuta da un privato, un’arma deve obbligatoriamente far parte delle prime quattro categorie mentre le ultime due sono riservate esclusivamente alle FF.AA. ed alle FF.d.O. e non si trovano in vendita e nemmeno circolano sul mercato.
    Questa parte dell’art. 2 viene soppressa per il semplice motivo che la riscrittura dell’art. 1 della stessa legge, scritta dieci righe sopra, alla lettera a del comma 1 dello stesso art. 113 del decreto è stata fatta per armonizzare le norme italiane alle direttive 1991-477-CE e 2008-51-CE che sono state emanate al fine di regolamentare le armi in tutta Europa e non liberalizzano un bel niente.
    Questa modifica rende inutile la precisazione scritta nel 1975 (primo periodo comma 2 art. 2) a riguardo di una categoria di armi che tecnicamente non esistono più perché regolate dal nuovo art. 1 della 110/1975 modificato. Non viene reso libero nulla e la Sua citazione dell’art. 30 del R.D. 773/1931 è fatta a sproposito in quanto non attinente con il disegno del decreto. Modificando l’art. 1 che riguarda le armi vietate, viene automaticamente corretto quanto scritto nella vecchia stesura dell’art. 2 e questo comporta che alcune righe dell’art. 2 devono essere cancellate perché altrimenti contrasterebbero con quanto scritto nella nuova stesura dell’art. 1.

  • Di (---.---.---.189) 5 novembre 2011 01:46

    Esattamente, semplicemente ci stiamo solo allineando all’ ordinamento europeo.

    Lo sa che l’ Italia potrebbe essere condannata a risarcimenti salati perché il Catalogo viola le norme europee sulla concorrenza? (E fossero solo quelle)

    Non so lei, ma io non ho intenzione di pagare per mantenere una struttura obsoleta figlia degli anni di piombo ne di pagare risarcimenti per fare gli interessi di qualche burocrate e grosso industriale. Il catalogo è bene che venga levato per una questione di armonizzazione del nostro diritto a quello comunitario e per una maggior concorrenza e un’ applicazione IMPARZIALE delle regole.

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