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Napule addà cagnà?

Gli intellettuali napoletani di oggi odiano la vera Napoli. Non la vorrebbero, non l’accettano: vorrebbero solo e sempre una Napoli diversa, una Napoli che “deve cambiare”. Napoli a sua volta li ricambia dello stesso odio: un odio profondo, sincero, che come ogni vero odio sfocia poi, nell’indifferenza totale.

A Napoli non interessano i suoi intellettuali, perché nulla hanno più di napoletano. Tutto questo ha una ragione storica che inizia con una data precisa: il 1799, la rivoluzione partenopea.

In quello sciagurato anno, sulle idee astratte della Rivoluzione Francese, a Napoli, protetti dalle armi straniere e nemiche, alcuni intellettuali decisero (loro e solo loro) che tutto doveva cambiare, che tutto il passato era sbagliato e che quello che il popolo voleva, conosceva e viveva, era retrogrado. E’ dal quel momento in poi che la classe dirigente culturale di Napoli ha iniziato a ripetere che Napoli “deve cambiare".

Logicamente il popolo, dopo un primo attimo di sbandamento dovuto al fatto che, per loro, di solito i ricchi erano tali anche perché più intelligenti, si accorse che i ricchi potevano essere anche degli stupidi. E così si organizzò, fece loro guerra. Vinse e cacciò gli intellettuali napoletani dal potere, persino i giacobini seppur per poco tempo.

I Borbone però furono generosi con gli intellettuali: non li mandarono tutti al patibolo, né li misero a lavare i bagni dei lazzaretti. Li perdonarono, covandosi in seno la rabbia e l’acredine di quei traditori falliti.

Questo ieri. Ma oggi? Oggi gli intellettuali si sono ripresi la loro rivincita sul popolo. Non appena trovano qualcuno che li riconosce come tali, o meglio, non appena hanno finito di lecchinare i potenti, si scatenano contro Napoli ed il suo popolo. Per prima cosa emigrano perché “a Napoli non si può campare”, che tradotto significa, “mo che teng ‘e sord che m’hann rat, stong a suffrì co’ o’popolo mio?”.

Appena si insediano al soldo delle grandi casi editrici del Nord o di giornali, sempre di proprietà del Nord, si scatenano. Non va bene questo, non va bene quest’altro: “Napule addà cagnà!”, “Napoli deve diventare una città moderna!”, “Napoli deve essere una città normale” e via dicendo.

Guarda caso ogni volta che a Napoli cambia qualcosa è sempre peggio per i napoletani e sempre meglio per i padroni degli intellettuali. Ma anche questo, si sa, è colpa dei napoletani.



Ad esempio, se i napoletani fanno il bagno nel mare di Napoli, vengono chiamati scugnizzi. Mentre se il bagno lo fanno a Rimini dove l’acqua fa ancora più schifo, diventano di colpo turisti. Voi direte: ma l’acqua è inquinata! Certo, ma vuoi vedere che l’hanno inquinata i napoletani? Non vi sembra forse più probabile che a inquinare quel mare son stati gli stessi che hanno proclamato “intellettuali”, gli sciacalli del popolo napoletano? Un cane che si morde la coda, insomma, con gli “intellettuali” napoletani che sembrano domandarsi: “scusate, ma se il mare è inquinato, rassegnatevi. E invece di perdere tempo sugli scogli, andate a lavorare come schiavi per far arricchire chi ci ha proclamato intellettuali. Vedrete che, un paio di volte nella vita, potrete venire nelle spiagge tropicali dove andiamo educatamente anche noi, tutti gli anni, a spese vostre. Ma vi raccomando di non salutarci in napoletano perché sapete.. è volgare”.

E questo tutti: destra, centro e sinistra. Gli intellettuali su Napoli, sono più uguali che mai. I primi la vogliono più italiana, gli altri la vogliono più cosmopolita: ma nessuno la vuole cosi com’è. Se stessa!

Peccato che quando Napoli con i suoi veri intellettuali -uno a caso, Gian Battista Vico- pensava italiano, l’Italia così come la intendono quelli di destra, neanche la conoscevano. E che dire di quando Napoli, centro culturale del Mediterraneo, attirava scrittori e poeti da mezzo mondo? Era talmente progressista che Bertinotti sarebbe sembrato un naziskin. E poi guarda caso proprio noi napoletani, incapaci di gestire noi stessi ed i nostri soldi, fummo i primi ad istituire la cattedra di economia politica nelle nostre Università.

Ma tutto questo non conta, perché per essere un intellettuale napoletano bisogna tradire Napoli, la sua cultura e gli stessi napoletani. Bisogna ripetere falsamente che il napoletano è un dialetto e non una lingua. E anche chi, nell’educazione dei propri figli ha sposato la Montessori, vedrete, ogni tanto un ceffone ai figli lo darà, dicendo “parla bene”, dove per bene si intende l’italiano e per “male” si intende il napoletano che proprio per questo diviene sguaiato, perché lo si associa al parlar male.

E quando si vuol parlar male, anche l’italiano come lingua può essere sguaiata.

Proprio perché sono napoletano vero, degli intellettuali me ne frego. Ho sempre letto Heidegger assaporando birre e taralli su via Caracciolo, ho sempre discusso Marx nel caos delle nostre Università piene di vita ed ho studiato Gentile, Croce e Ciro Formisano da Portici -alias Giuliano Kremmerz- ricevendo dal vicolo in cui affacciavo, bordate di Nino D’Angelo e musiche celestiali della classicità napoletana. E ora ne sono ancora più convinto: Napoli non deve cambiare.

Che popolo sfortunato quel popolo che ha bisogno delle leggi altrui per essere civile.

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