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Morale e vita vissuta

Morale e vita vissuta

Gli stoici affermavano che l’uomo, in quanto essere razionale, ha per natura la tendenza al bene e che tutto quanto è male entra in noi dall’esterno. Al potere degl’influssi esterni non è facile sottrarsi, perciò è necessaria una buona educazione, che liberi l’animo dalle false opinioni e lo porti alla conoscenza del bene.
 
Questa teoria riprende il concetto socratico di virtù. Già Aristotele, però, contestò l’equazione socratica di virtù e conoscenza, rilevando che spesso uno, pur conoscendo la norma etica, non è in grado di applicarla perché si lascia guidare dal desiderio sensibile.
 
Aristotele quindi poneva un divario, una chiara distinzione se non proprio un dissidio tra conoscere e volere. Secondo la storia della filosofia è lecito ritenere che i Greci avessero una nozione generica della volontà e della coscienza e che il concetto di volontà intesa come energia psichica sia una prerogativa del pensiero moderno, particolarmente della psicologia, che per altro non ammette nella natura umana una predisposizione alla virtù.
 
Secondo la dottrina freudiana, la psiche del fanciullo non conosce differenza tra lecito ed illecito, tra possibile ed impossibile, ma soltanto obbedisce al principio del piacere. Questo principio stimola l’organismo attraverso eccitazioni esterne ed interne che Freud chiama passioni. Nel corso poi dello sviluppo psichico il principio del piacere perde a poco a poco il suo ruolo predominante, fino a che non spunta il principio della realtà, cioè la coscienza quasi come un prodotto dell’inconscio.
Però la coscienza non è un prodotto, ma attività produttiva e creativa, nella quale si contemperano intelletto ed intuizione.
 
Comunque il principio del piacere non può cadere tutto nel dominio dell’inconscio, se da esso derivano le azioni adeguate alla organizzazione della nostra esistenza, cioè quelle che contribuiscono al raggiungimento dei nostri fini soggettivi e che possono essere lecite o illecite in senso morale. Ciò che è adeguato alla nostra natura sensibile non è sempre in armonia con il fine della nostra natura spirituale.
Eppure noi dovremmo anteporre la utilità comune alla nostra privata, se considerassimo che il bene delle parti dipende dal bene del tutto, secondo l’opinione di alcuni filosofi antichi. Se noi tenessimo conto di ciò in tutte le circostanze, saremmo sempre indotti a rispettare i diritti degli altri e la vita sociale correrebbe libera, razionale e senza ostacoli, senza difficoltà.
 
Ma così non avviene, perché l’egoismo è uno degli istinti primari della natura umana, è una componente essenziale della vita, e senza di esso non sarebbe possibile lo sviluppo delle nostre attitudini razionali.
 
La ragione è adattamento alle esigenze concrete della vita, e l’egoismo deve continuamente confrontarsi con queste esigenze, adeguandosi ad un contemperamento di libertà e necessità, o ad una forma di mediazione tra soggettività e oggettività. La tendenza ad idealizzare i rapporti sociali e a risolvere ottimisticamente le tensioni intersoggettive porta a rappresentare questa mediazione come uno stabile risultato nascente da una giusta valutazione delle circostanze, da una sicura nozione del bene e del male, dell’utile e del dannoso.
Ma molte volte l’istinto eccede la misura, sotto l’azione di impulsi esterni, e provoca una sorta di traviamento della ragione. Il quadro della vita psichica si configura come una lotta di rappresentazioni, di desideri, di sentimenti e di atti volitivi nella quale si alternano la facoltà razionale e quella alogica dell’anima, scomponendo e ricomponendo continuamente la nostra identità. Alla luce di questi fenomeni non sembrerà esagerato definire niccianamente tragica la dinamica psichica che Freud ha interpretato con tanta sottigliezza.
 
La dinamica dell’esistenza, la dialettica che sostiene il movimento della vita ha sempre carattere problematico, perché la libertà dell’individuo deve commisurarsi sia con la legge dell’intelletto che con le cose esterne. L’immagine classica del saggio costantemente imperturbabile, fedele ai comandi della ragione, felice finanche in mezzo alle più crudeli torture, è un’immagine astratta.
 
I principi della condotta morale sono semplici ed assoluti ed in genere sembrano una cosa ovvia, ma la loro applicazione diventa un problema, nel quadro delle relazioni umane; tanto più che spesso la sorte ci impone delle decisioni all’improvviso, senza darci il tempo di ponderare le nostre scelte. Non sempre uno può essere fortunato, e può accadere che a volte egli sia costretto ad essere codardo.
 
E d’altra parte un definitivo dominio sulla vita istintiva, una vittoria del logos sulla natura non risponderebbero al concreto e inalterabile corso del mondo.
In conclusione i principi, che regolano la vita dell’uomo, sono chiari e semplici , la loro esecuzione difficile.

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