Monti, il montismo e i montisti a corto d’istruzioni per l’uso
Presumo di essere stato uno dei pochissimi italiani, al netto di giornalisti e politici interessati alla faccenda, ad aver seguito con stoica sopportazione, il 23 dicembre, il discorso di fine anno e, aggiungo io, per fortuna di fine legislatura, del finalmente ex Presidente Monti.
Al termine della lunga diretta, essendo sopravvissuto perfino all’immane tribolazione procuratami nel subire le scontate domande dei giornalisti “accreditati” (ma chi li sceglie?) e le risposte dell’intervistato, a volte sibilline, a volte sguscianti, spesso scontate, mi sono fiondato sul sito della Treccani per trovare il più corretto aggettivo atto a sintetizzare al meglio la “performance” del Senatore Dr. Mario Monti. Dopo aver girato e rigirato pagine di lemmi, fatto gimcana tra gli pseudonimi, senza nulla quagliare, torno alla casella iniziale: ipocrisia. Sì, sono profondamente convinto che la “performance” del Senatore a vita Dr. Monti meriti di essere classificata negli annali politici tra gli esempi scolastici di ostentazione, forse pure di sfoggio, di ipocrisia. Qualora qualcuno dei lettori volesse approfondire le tecniche di comunicazione di certuni, troverebbe nella prestazione in oggetto un esempio eclatante in materia; roba da trattato specialistico.
L’apice dell’ipocrisia viene toccato dal nostro “eroe” quando, verso la fine del misurato sproloquio autoassolvente, tenta di ingraziarsi le donne con “spruzzate” di banale femminismo anni ‘60, sottolineate dalla telecamera che, insistente, inquadrava il volto dalla pelle incartapecorita della (per fortuna ex) “ministra” Fornero, nell’espressione sorridente tra l’estatico e l’allocco di chi ha contribuito in maniera determinante a rovinare centinaia di migliaia di lavoratori e pensionati, forse senza neppure rendersi conto del danno procurato. Se un’immagine dovesse essere scelta a sintesi grafica dell’operato del Governo Monti, ebbene, quel sorriso “forneriano” potrebbe costituirne l’appropriata icona. In compenso, ora sappiamo con un margine di errore inferiore al passato in che cosa consista il montismo: negare la responsabilità dei dati oggettivamente disastrosi che l’operato del suo governo lascia in eredità, attribuendone la colpa alla destra, al centro, alla sinistra, dai quali ha avuto l’appoggio, tranne che a lui, impedito da costoro di operare al meglio (ma tale solfa non l’abbiamo già sentita pronunciare da altri in passato?).
Certo, è indubbio il recupero di credibilità dell’Italia nel mondo, ottenuto da Monti, ma c’è anche da rilevare che, dato l’infimo livello al quale l’avevano ridotta Berlusconi e il suo codazzo di incapaci col determinante aiuto leghista, risalire la china rappresentava operazione fin troppo agevole, soprattutto nel farla pagar cara ai ceti meno abbienti. Per il resto, non una sola scelta del governo dei “bocconiani” ha prodotto il segno più in qualcosa di positivo; molti, troppi, invece, i segni più in tutti gli indicatori economico-sociali negativi. Il montismo, in compenso, fa proseliti a destra come a sinistra; pochi, molto pochi, a dire il vero. Confesso di aver brindato alla notizia che il giuslavorista Ichino lascia il PD per andare a schierarsi nella melmosa area montiana insieme a Casini, al fuoruscito PDL Frattini e compagnia cantando.
E Bersani? Per stare alle ultime di stampa, il segretario PD si irrita! Ma non comprende, costui, di far magra figura nel continuare a sostenere in ogni dove l’apprezzamento, seppur ora irritato, nei confronti di Monti? Si rende conto di star dilapidando il consenso, obbligato dalla disperazione e non procurato dalle sue personali doti, ottenuto nelle primarie? Crede forse che i sondaggi si trasformino in realtà all’interno delle cabine elettorali, così, per volontà divina?
Mi viene da considerare che alla sinistra serva un vaccino anti-montiano rapido ed efficace, tipo antitetanica. Non mi sono mai piaciuti i giudici impegnati in politica, siano di destra come di sinistra, sorvolando su quelli centristi e, ancor più, sugli opportunisti, ma Antonio Ingroia mi sembra abbia toccato con efficacia e determinazione le giuste corde di quell’ampio schieramento di persone per bene il cui obiettivo sta nel combattere e nel battere le politiche liberiste, spesso di stampo massonico, il cui scopo consta nel distruggere lo Stato sociale, affossare le autonomie locali, eliminare l’assistenza pubblica, consegnare in via definitiva la sanità al privato, schiavizzare i lavoratori, in una sorta di cinesizzazione, spogliandoli di ogni diritto (Marchionne docet), perfino quelli costituzionali, nell’indifferenza di un Presidente della Repubblica tanto efficiente nell’affrontare il caso Sallusti, quanto alieno all’operato della FIAT nell’attacco ai diritti inalienabili contenuti nella nostra Carta e dei quali dovrebbe essere il massimo garante. In quante circostanze avrei voluto sentir esclamare al Presidente Napolitano quel “non ci sto!” che rese grande il suo predecessore Scalfaro il quale, nel pronunciare quei tre secchi vocaboli, restituì suo tramite dignità alla gente tutta! Ecco, Ingroia, nonostante sia un giudice, potrebbe aggregare quel tanto di votanti da costringere il PD a smetterla con le politiche alla Ichino che rischiano di sopravvivere dentro quel partito anche dopo il saluto dell’ispiratore.
Per tornare a Monti, l’uomo, disilluso dai sondaggi, manderà alle elezioni le sue truppe cammellate ma senza una sua personale esposizione cosicché potrà addossare a terzi l’eventuale sconfitta, oppure attribuirsi una (Dio ce ne scampi) affermazione delle liste a lui riconducibili. Insomma, sappiano i suoi che marceranno senza istruzioni per l’uso; lui, e solo lui, si riserva il ruolo di Deus ex machina. C’è da tremare all’idea di dover sopportare pure nel prossimo futuro la camminata scoliotica e quel sorrisetto sarcastico stampato sulla faccia di Monti, ma, soprattutto, gli effetti deleteri delle sue politiche. Speriamo in bene! All’Italia mancava tanto un novello Andreotti?
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