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Miti e libertà del nostro tempo

"I miti del nostro tempo" è l’ultima pubblicazione di Umberto Galimberti (Feltrinelli, 2009).

Miti e libertà del nostro tempo

L’opera è una brillante e agile sintesi di filosofia, psicologia, sociologia e antropologia, e prende in esame i principali miti del nostro tempo: la globalizzazione, la giovinezza, la felicità, l’amore, la moda, l’intelligenza, il potere, la tecnica, il mercato, il terrorismo, la razza, la psicoterapia, ecc.

Secondo Galimberti “A differenza delle idee che pensiamo, i miti sono idee che ci possiedono e ci governano con mezzi che non sono logici, ma psicologici, e quindi radicati nel fondo della nostra anima, dove anche la luce della ragione fatica a far giungere il suo raggio. E questo perché i miti sono idee semplici che noi abbiamo mitizzato perché sono comode, non danno problemi, facilitano il giudizio, in una parola ci rassicurano, togliendo ogni dubbio alla nostra visione del mondo che, non più sollecitata dall’inquietudine delle domande, tranquillizza le nostre coscienze beate… Per recuperare la nostra presenza al mondo, una presenza attiva e partecipe, dobbiamo rivisitare i nostri miti, sia quelli individuali sia quelli collettivi, dobbiamo sottoporli a critica… la nostra vita vuole che si curino le idee con cui la interpretiamo, e non solo le ferite infantili ereditate dal passato che ancora ci trasciniamo” (p. 11 e 12). E quasi sempre “Noi non cerchiamo i compagni per qualche istinto della natura, ma cerchiamo l’onore e l’utilità che essi ci danno: prima desideriamo il vantaggio, poi i compagni” (Thomas Hobbes, De cive, 1648).

Quindi bisogna vigilare e verificare i miti, liberare le idee e le relazioni, e considerare che dal punto di vista capitalista “oggi la natura non è più norma, perché il mondo è per intero regolato dalla tecnica. Anzi la natura può mantenere il suo ritmo solo se è tecnicamente assistita, perché troppa è la folla umana da nutrire e troppo alto è il livello di vita a cui gli abitanti del Primo mondo, senza limite tendono. E qui il ritardo culturale del mondo religioso è enorme” (p. 31). Così “il problema non è più: che cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi” (G. Anders). Inoltre i nostri desideri, i nostri amori e le nostre passioni sono sempre più pilotati dalle burocrazie delle istituzioni, dai dirigenti politici e dagli affaristi del marketing e della pubblicità: il sogno di questi uomini è quello di “trasformare ogni uomo nel proprio burocrate” (Iosif Brodskij, poeta russo naturalizzato americano, vincitore del premio Nobel per la Letteratura nel 1987).

Nel libro si possono trovare alcune esperienze interessanti, come quella della Grameen Bank, che presta piccole somme di denaro a tassi d’interesse bassissimi per aiutare i più poveri a difendersi dalla schiavitù imposta dalla povertà (è per questo motivi che i potenti sono contrari al controllo delle nascite). “La clientela è composta al 94 per cento da donne, che nel loro regime familiare hanno migliorato l’alimentazione, ridotto la mortalità infantile, impiegato i contraccettivi, migliorato le condizioni igieniche e costruito un tetto” (p. 297). Inoltre “Impiegare brillanti professionisti non necessariamente si traduce in politiche e programmi che aiutano la gente… Può accadere che i grandi cervelli si mantengano al livello della stratosfera, senza avere percezione della vita che si svolge sulla terra” (M. Yunus, p. 296). Dopotutto l’irrazionalità determina molte azioni umane e siccome l’interiorizzazione delle idee e dei dogmi economici è “universalmente accettata, è l’economia il luogo dove oggi risiede l’inconscio e dove il bisogno di analisi psicologica è maggiore” (James Hillman, p. 119).

E ciò è più che necessario: come affermavano gli antichi greci “Chi non conosce il suo limite tema il destino”. Infatti le sole formule matematiche non possono spiegare l’economia: “I giudizi di ragionevolezza sono orientati verso il valore; essi vertono su ciò che si ritiene buono o cattivo per l’uomo. Ciò che è ragionevole è senza dubbio anche razionale, ma ciò che è meramente razionale non è sempre ragionevole” (Georg von Wright, filosofo della scienza).

D’altra parte John Stuart Mill, ispiratore del liberalismo e della democrazia partecipativa, affermò la necessità di difendersi dalla dittatura della maggioranza di governo, e “dalla tiranna del’opinione e del sentimento predominanti, dalla tendenza della società a imporre come norme di condotta, con mezzi diversi dalle pene legali, le proprie idee e usanze a chi dissente, a ostacolare lo sviluppo – e a prevenire, se possibile, la formazione di qualsiasi individualità discordante, e a costringere tutti i caratteri a conformarsi al suo modello… L’opinione è in questo campo altrettanto efficace che la legge: non vi è differenza tra imprigionare un uomo e impedirgli di guadagnarsi da vivere… il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri… Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo è sovrano” (Saggio sulla libertà, Net, 2002, Prefazione e p. 12-13-37).

Quindi, “se una verità fondamentale non trova oppositori è indispensabile inventarli e munirli dei più validi argomenti che il più astuto avvocato del riesce a trovare… la tendenza degli uomini a smettere di pensare a una questione quando non è più dubbia è causa di metà dei loro errori” (Saggio sulla libertà). Purtroppo “La cultura laica, per lo più, è diventata incapace di scorgere le proprie potenti radici e dunque è cultura debole. Chi non sa di essere forte si comporta da debole e, prima o poi, si fa togliere di mezzo” (Emanuele Severino, 2010).

Comunque secondo Galimberti “Non ci sarebbero tanti disperati nella vita se tutti, da bambini, fossero stati davvero amati” (ancora troppi bambini vengono semplicemente generati). Ed “è sufficiente considerare che, se l’uomo è un animale sociale, quando gli si toglie la società, quella vera, sostituita con quella televisiva e poi con quella virtuale, perché un animale del genere non può impazzire?” (p. 21). Il rischio degenerazione sussiste, ma basterebbe preservare la priorità dei rapporti umani rispetto a quelli televisivi e a quelli virtuali. Come disse Plinio il Giovane, “Chi odia i vizi, odia gli uomini” e l’unico problema da risolvere è quello di trovare e concordare i giusti limiti.

In definitiva si tratta di un libro molto amaro. Come gran parte delle medicine più curative. Qui i miti rivelano la loro vera identità e finalmente possono essere trattati come “superfavole per adulti” piene di attrazioni e illusioni che ci semplificano la vita, che ci aiutano a sopportarla e che si rivelano molto utili a chi gestisce il potere.

Del resto, nonostante tutto, siamo animali sociali e “gli uomini hanno sempre rinunciato a un po’ di felicità per un po’ di sicurezza” (Freud). E la conoscenza può diventare per molti una sgradevole fonte di distrazione e irritazione: “Molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta il dolore” (Ecclesiaste, 1,18). Non dobbiamo però dimenticare che “Niente è più terrificante dell’ignoranza in azione” (Goethe).

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