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Milleproroghe: il volo del calabrone fiscale impazzito

A conferma del fatto che nel 2015 ci giocheremo anche le mutande, sperando che torni una parvenza di crescita e che il gettito fiscale risalga, scopriamo che nel tradizionale decreto Milleproproghe di fine anno c’è un accrocchio infernale, che è solo la punta dell’iceberg che ci attende dal prossimo anno.

Se riuscite a seguire, la sequenza sarebbe questa. Si parte dalla maledetta esclusione della prima casa dall’Imu, voluta dal governo Letta per accogliere i capricci di Berlusconi. Provvedimento, come noto, durato un solo fottut0 anno, che ha mancato clamorosamente la cancellazione totale, costringendo i contribuenti a versare una demenziale mini rata e che sta ancora causando onde sismiche di disfunzioni fiscali, come da attese (e questo è nulla: vedrete gli 80 euro di Renzi, ma non divaghiamo).

Tra le coperture adottate dal governo Letta c’erano anche aumenti degli “acconti” d’imposta Ires e Irap. Questa, come noto, è la Neolingua utilizzata dal legislatore italiano: come si possano chiamare “acconti” dei versamenti che eccedono il 100% è pura metafisica.

Ma più versamenti oggi equivalgono (sorpresa sorpresa) ad un buco di gettito domani. E quindi, che fare? Si chiude quel buco con un’ulteriore “clausola di salvaguardia”, cioè l’aumento delle accise sulla benzina, che doveva scattare due giorni fa. Ricordiamolo: per coprire la cancellazione per un anno dell’Imu prima casa, è stato creato un accrocchio d’inferno di misure fiscali ferocemente distorsive, e di fatto un prestito infruttifero allo stato da parte delle imprese. Ci avevano inoltre detto che la cancellazione dell’Imu prima casa avrebbe rimesso in moto la fiducia degli agenti economici, determinando un poderoso effetto volano sulla crescita. “Quand le bâtiment va, tout va“, cantava lo chansonnier Berlusconì sulle navi da crociera.

E poi se ne sono usciti con questo meccano fiscale per psicopatici. Il problema vero è stato la debolezza di Enrico Letta. Che, invece di invitare Berlusconi ad effettuare altrove l’ultima fase delle proprie funzioni digestive, ne ha accettato i capricci propagandistici confidando che la leggendaria ripresa avrebbe rimesso a posto le cose ed il gettito. Un po’ quello in cui confida il buon Renzi, tra un tweet e l’altro. Solo che Renzi, avendo una personalità al limite dell’abnorme, ha deciso di caricare sul paese clausole di salvaguardia per 30 miliardi di euro al 2018. Se devi fare un danno, fallo grande.

E’ quindi iniziata la rincorsa infernale a mettere le dita dentro le crepe della diga delle clausole di salvaguardia. Di conseguenza, il governo Renzi ha deciso che il gettito da accise da benzina, pari a 671 milioni di euro, che doveva scattare due giorni fa, dovrà venire dagli introiti della voluntary disclosure, cioè dal rientro dei capitali.

E se ciò non dovesse accadere? In quel caso il ministro dell’Economia, entro il prossimo 30 settembre, emanerà un decreto in cui stabilirà il nuovo aumento degli “acconti” Ires ed Irap, non prima di aver confermato in una intervista che “il calo del prezzo del petrolio stimolerà la nostra economia”, e tramite tale decreto verrà anche reintrodotto l’aumento delle accise, dal primo gennaio 2016 «in misura tale da assicurare il conseguimento dei predetti obiettivi anche ai fini della eventuale compensazione delle minori entrate che si dovessero generare per effetto dell’aumento degli acconti», come recita il Milleproroghe.

Ciò permetterà a premier, ministri e sottosegretari di affermare solennemente che “il governo lavora per disinnescare quelle clausole di salvaguardia: lo abbiamo già fatto in passato, continueremo a farlo”. Certo, parafrasando gli americani: kicking a tax down the road.

 

Foto: Umberto Salvagnin/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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