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Michele Santoro domatore nella fossa dei leoni: non Daniele ma Barnum

Michele Santoro domatore nella fossa dei leoni: non Daniele ma Barnum

9901 segni, 1573 parole, 3 pagine dattiloscritte, 15 minuti di lettura. Tanto vale la risposta a Marco Travaglio che Michele Santoro fa pervenire questo martedì. Una lunga lettera. Che potrebbe essere tutta contenuta in un telegramma. «Caro Marco STOP La trasmissione è mia e commando io STOP Sono io che ti ho fatto esistere in televisione STOP Ricordatelo STOP Se non ti va puoi andare STOP Non saresti ne il primo ne l’ultimo a cui succede STOP Pensieri Michele STOP».

In verità Santoro non ha apprezzato la lettera pubblica che Travaglio apparsa sul Fatto Quotidiano il 20 febbraio all’indomani della puntata di Annozero sul caso Bertolaso. «Siccome - scrive Travaglio - io una reputazione ce l’ho e vi sono affezionato, non posso più accettare che venga infangata ogni giovedì da trombettieri che sguazzano nella merda e godono a trascinarvi le persone pulite per dimostrare che tutto è merda» e «invece di contestare i fatti che racconti, tentano di squalificarti come persona». «Ma in tv non c’è tempo per spiegare le cose con calma». La lettera si conclude con la domanda di un pubblico sostegno da parte di Santoro: «Forse la mia presenza, per il clima creato da questi signori, sta diventando ingombrante e dunque dannosa per Annozero». La decisione è nelle mani del conduttore di Annozero: «Che faccio? Mi appendo al collo le ricevute delle ferie e il casellario giudiziale? Esco dallo studio a fumare una sigaretta ogni volta che mi calunniano? O ti viene un’idea migliore?».

Nella sua risposta Santoro, capitano del naviglio, non esita. «Vivrei una tua decisione di prendere le distanze da Annozero con grande amarezza ma non per ragioni personali». «Non sarebbe tuttavia una tragedia o una catastrofe irreparabile. Nel corso della mia lunga esperienza televisiva tanti miei amici e collaboratori hanno scelto o dovuto scegliere di percorrere altre strade».

Travaglio l’infedele. «Già oggi il tuo raggio d’azione è enorme: scrivi quotidianamente per il Fatto (e non solo), hai un blog seguitissimo, hai una parte da protagonista nel blog di Grillo e riempi i teatri col tuo spettacolo su Tangentopoli».

Travaglio il fragile. «Potresti quindi fare tranquillamente a meno di Annozero, senza più esporti alla fatica e allo stress del corpo a corpo televisivo dove si ha sempre la sensazione, sbagliando, di doversi giocare tutto in pochi minuti».

Travaglio l’ingrato. «Una volta, quando avevi soltanto i tuoi libri, non facevi nessuna fatica ad affrontare quegli stessi "farabutti" che oggi, invece, ti appaiono interlocutori inaccettabili. Non Annozero, con i suoi milioni di ascoltatori, ma una qualunque televisione di provincia ti sembrava una buona occasione da non sprecare. Allora ero io che ti invitavo ad affaticarti di meno, a rendere più preziosa la comunicazione, a mettere un freno alla tua generosità, mentre lavoravo a migliorare le luci, la tua posizione in scena, i tempi del racconto e a inserirti più efficacemente nel contesto del programma». 

Travaglio il rinnegato. «Non so se ti accorgi che, quando a proposito di Annozero dici che è una questione di format, stai parlando come un membro della Commissione parlamentare di vigilanza. Non so se condividi i suggerimenti di Paolo Flores d’Arcais che pretende di spiegarmi quando spegnere e accendere i microfoni di un ospite. Un membro perfetto dell’Agcom. Un apologeta del Berlusconi-pensiero sul "pollaio"».

Travaglio il testimonial (o l’ultimo dei moicani), l’animale da esibire.
«Report [...] non è l’unico modo possibile di fare inchiesta [...]. Noi [...] non ci accontentiamo di scavarci una nicchia alternativa [...]. Raccogliamo meno consensi di Ballarò ma creiamo un maggior numero di situazioni critiche, più adrenalina, più polemiche, più brecce nella gelatina. Perciò ho voluto e continuo a volere che, almeno per un po’ di minuti, tu occupi il centro della scena. Sei il simbolo di ciò che il recinto della televisione generalista non vuole più contenere, di tutti coloro che sono stati espulsi e non possono più rientrare».

Travaglio "qui è la porta". Belpietro ha capito invece tu no. «D’altra parte chi è espulso riesce anche a sopravvivere benissimo. Fuori dalla tv generalista l’industria culturale rende ancora possibili profitti importanti per chi produce contenuti forti; ma chi resta è meno libero e chi va via non entra più in contatto con una sterminata periferia, una enorme banlieue culturale nella quale resta confinata una buona metà della popolazione italiana. In questa periferia, almeno qualche volta, Annozero è entrato prepotentemente. Anche grazie a te, e ne vado fiero. E anche grazie a Maurizio Belpietro».

Santoro il burattinaio. «Tu, invece, pensi che Maurizio Belpietro – o Porro o Ghedini – siano soltanto un prezzo pagato alla par condicio, una legge di cui si parla senza conoscerla e di cui nessuno si occupa seriamente, quando per me rappresentano quel vuoto necessario di scrittura che rende la trasmissione imprevedibile. Perfino ciò che è successo giovedì scorso dimostra che nel nostro studio nessuno può sapere in anticipo come andranno le cose. Noi per primi».

Santoro e l’adrenalina dello share. Prima metafora sportiva. «Report ha l’andamento di un film. Annozero assomiglia ad una partita di calcio, mette in gioco non solo nozioni ma emozioni, convinzioni profonde, passioni anche viscerali. Quando il gioco diventa noioso e scontato il pubblico più infedele cambia canale. Ed è questa la ragione per cui siamo costretti a inseguire lo spettatore meno affezionato ai nostri programmi, qualche volta perfino deludendo i fan. Il contrario esatto di quello che avviene a teatro.»


Travaglio "sei noioso, fai scappate il pubblico". «In passato godevo nel vederti demolire le argomentazioni aggressive con l’ironia e con una precisione chirurgica: adesso chiedi tempo. Un tempo che la tv, a tuo parere, non sarebbe in grado di concederti. Quanto tempo per rispondere a contestazioni che si ripetono come una litania monotona e scontata? Cinque minuti? Mezz’ora? Una serata intera?».

Travaglio chiedeva un sostegno; Santoro ha letto solo una messa in causa della sua persona. «Nella tua lettera potevi essere più esplicito nel criticare la mia conduzione. Io credo che tu non l’abbia fatto perché avresti dovuto aggiungere l’elenco dei "bellissimi servizi" da tagliare per fare spazio alle tue necessità. Invece che di Bertolaso avremmo almeno saputo tutto di Travaglio? E la volta successiva cosa avremmo dovuto fare se si fosse ripetuta la stessa situazione? La risposta sembra interessarti poco: prima viene il tuo onore, la faccia, la verità».

Santoro garantista. Seconda metafora sportiva.
«Inoltre un giornalista condannato, si fa per dire, definitivamente per diffamazione smette di essere un buon giornalista? Penso proprio di no; come Schumacher che, se va una volta fuori pista, non smette per questo di essere un buon pilota».

Travaglio "fuori di senno". «Hai saputo schivare e anche incassare molti colpi bassi ma questa volta è bastata una banalissima insinuazione di Porro (e non un’aggressione squadristica) per farti perdere il lume della ragione».

Il pubblico o la verità come spettacolo secondo Santoro. Terza metafora sportiva.
«Siamo diversi ma apparteniamo entrambi al pubblico. Solo dal pubblico deriva la nostra credibilità. Perciò hai il diritto di proporti al pubblico come meglio credi, nella forma teatrale dei tuoi spettacoli (senza disturbatori) o, come mi auguro, nel percorso a ostacoli di Annozero».

Travaglio, don Chisciotte e i mulini a vento. «Se la televisione è perfino peggiorata non è solo colpa di Berlusconi e dei suoi "trombettieri" ma di chi avrebbe dovuto contrastarlo e non lo ha contrastato e anche di quelli che scelgono di battersi pensando di essere gli unici a farlo con coerenza. Cavalieri senza macchia e senza paura che vogliono segnare a tutti i costi una differenza dal resto del mondo, che mettono la loro purezza e il senso dell’onore prima della libertà: la legge e le regole prima della libertà, la verità prima della libertà. Mentre leggi e sentenze sono solo lo strumento essenziale per l’ordinato funzionamento della società».

Se si confonde verità e ragione. «La verità profonda di una persona, che si chiami Travaglio, Berlusconi o Santoro non la stabilisce un programma televisivo, non si raggiunge stilando con attenzione la lista dei buoni e dei cattivi. A quelli che sui vostri blog chiedono di definire una volta per tutte ciò che è vero abbiamo il dovere di rispondere che la verità è sfuggente, contraddittoria. La verità è una conquista faticosa e difficile. Per quanto mi riguarda spesso è un faccia a faccia. Tra me e me».

Se si confonde verità e ragione resteremo sempre incompresi l’uno a l’altro.

Da quanto risulta da questa lettura, Michele Santoro e Marco Travaglio non orbitano attorno allo stesso pianeta. Le sfere mentali dei due sono dissimili. «Caro Marco, risponderò con franchezza alla tua lettera che mi sembra venire da troppo lontano. Siamo diversi e con diverse opinioni su molte cose: legalità, moralità, libertà e televisione».

Il cattolico Michele Santoro e il calvinista Marco Travaglio, quanto per l’uno tutto si riassume a una questione di quantità per l’altro è una questione qualità. L’umore del napoletano non si congiunga con il piemontese. Non è una ragione di localismo culturale, ma una visione diversa nel concepire e realizzare la legalità, la moralità, la libertà: il mondo, la società, la democrazia. Anche solo a traverso un’emissione televisiva. Santoro si scrolla delle spalle Report (menzionato tre volte), la Bbc e rivendica il suo modo di fare un programma d’inchieste come un entertainment, una ricreazione. I spezzoni d’inchiesta, il collegamenti, l’intervento di Travaglio e il punto finale di Vauro sono la parte scritta; gli invitati «rappresentano quel vuoto necessario di scrittura che rende la trasmissione imprevedibile». Un’opera barocca. Per inseguire, procacciare l’attenzione del pubblico distratto disattento annoiato. I numeri, solo i numeri contano. «Siamo diversi ma apparteniamo entrambi al pubblico. Solo dal pubblico deriva la nostra credibilità». Secondo Santoro la ’verità’, confusa con la credibilità, è plebiscitaria (anche Silvio Berlusconi la pensa in questo modo). È vero ciò che è creduto, un atto di fede. Ma dal contare la credibilità, il pubblico, derivano i «profitti importanti». Questa nozione della verità come valenza pecuniaria, era assente dalla lettera di Travaglio, mentre per Santoro è il perno, l’axis mundi, attorno a cui gravita tutta la sua attenzione. E costantemente lo ripete. Se fossimo in un paese anglosassone quello che Santoro chiama lo «spettacolo su Tangentopoli» di Travaglio, si nominerebbe conferenza. Per tre volte nel testo Santoro ci fa referenza. Riassumendo la parola pubblica ad uno spettacolo. C’è un altro che ha la medesima concezione del discorso pubblico: Silvio Berlusconi. Allo stesso modo abbiamo sentito le critiche a Saviano, dicendo che il suo libro Gomorra è tutto un romanzo perché ha avuto successo e il successo vuol dire soldi. Se invece uno predica nel deserto, è un poveraccio; e per tanto non è credibile. Il napoletano cattolico Michele Santoro dovrebbe ricordarsi di Giordano Bruno, nato a Nola, e arso dal Santo Ufficio in Campo de’ Fiori con la lingua in giova.

 
Lettera a Michele Santoro, il Fatto Quotidiano, 20 febbraio 2010
Caro Marco, ti scrivo con franchezza, il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2010
Le critiche e le calunnie, il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2010
Travaglio: Lasciare Annozero sarebbe darla vinta a detrattori, APCOM, 23 febbraio 2010

 

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