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Metodo FIAT anche all’Ex Bertone: referendum ricatto per gli operai

Il giorno del referendum.

È passato, con 886 voti favorevoli su 1011, il documento proposto da Sergio Marchionne per far ripartire la produzione alla ex carrozzeria Bertone di Torino, ora Officine automobilistiche Grugliasco.

L’approvazione dell’accordo, alla quale è stato subordinato l’investimento, prevede il massimo utilizzo degli impianti, il graduale passaggio ai 18 turni, fino a 120 ore di straordinario ulteriori rispetto a quelle del contratto precedente, regole per contenere l’assenteismo e per l’esigibilità degli accordi.

Per capire quello che apparentemente sembra un accordo ben riuscito tra i sindacati e la Fiat bisogna guardare non all’abilità contrattuale di Marchionne o alla bontà di una proposta che, di per sé, non lasciava molto spazio di contrattazione, ma alle ragioni di quell’80% che suona come un plebiscito a favore di un contratto che ricorda molto quello proposto per Mirafiori.

La sottomissione a quello che lo stesso Landini ha definito “doppio ricatto” sembrava l’unica scelta possibile: da un lato il rischio che l’azienda venisse riconsegnata alla procedura concorsuale che, in mancanza di compratori, altro non significa che il licenziamento sicuro, dall’altro la solita minaccia del mancato investimento, mossa ormai tristemente ricorrente da parte dell’azienda.

La Fiat intanto, in un comunicato stampa emesso ieri, si affretta a precisare che l’investimento di 550 milioni, che prevede la realizzazione di 50000 Maserati l’anno a pieno regime, è condizionato dalla “formalizzazione degli accordi con le organizzazioni sindacali”.

“È un risultato che dimostra l’intelligenza e la responsabilità dei lavoratori” ha commentato il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, che già in passato, in riferimento a Mirafiori, aveva definito Marchionne uno da accogliere “con il tappeto rosso” che “sta solo proponendo un nuovo modo di lavorare”. Come se si potessero avanzare proposte alternative. Sul contratto e sull’accordo “non c’è stata una trattativa” ha dichiarato stamattina Maurizio Landini, segretario della Fiom, e ha concluso “non possono essere usati i lavoratori come scudi umani”.

Come ha ricordato Gherardo Colombo dal palco del concerto del primo maggio, “il lavoro è un diritto garantito dalla Costituzione”, come il diritto di sciopero. L’attacco al quale i lavoratori di trovano a dover rispondere non è solo quello contro il diritto al lavoro o allo sciopero, ma il diritto stesso ad avere diritti, a scegliere liberamente senza pressioni o minacce per contribuire “a realizzare e far crescere la democrazia e la repubblica”.

Dopo sei anni di cassaintegrazione e con la minaccia di una chiusura definitiva degli impianti, la risposta dei lavoratori dimostra coraggio e volontà di difendere il posto di lavoro, ma anche la forza contrattuale di un ricatto che non lascia spazio al confronto né alla mediazione, dimostrando tutta l’efficacia di una barbarie industriale della quale Marchionne sembra ormai il massimo, se pure non il solo, esponente italiano.

di Serena Gennaro

Questo articolo è stato pubblicato qui

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