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Memorie dal festival del Giornalismo: Saviano, Al Gore e l’informazione indipendente

Sperare in un’Italia che offra un’informazione migliore e una stampa più indipendente è ancora possibile. E’ questa la sostanza del messaggio lanciato dal palco del Teatro "Morlacchi" di Perugia, nell’ambito del “Festival Internazionale del Giornalismo” dall’ex vice presidente USA e premio nobel Al Gore, fondatore di Current TV e dal ben noto giornalista e scrittore Roberto Saviano. Ad accomunarli è il tema dell’incontro: “L’informazione indipendente”.

Così, nel pieno di un pacifico pomeriggio di aprile, Perugia si ritrova più caotica che mai. Già dalle 15, una folla di persone inizia a radunarsi dinanzi alle porte del teatro. Un entusiasmante serpentone umano variegato che si snoda lungo tutta la piazza. C’è la generazione da alcuni definita “post crollo delle ideologie”, quella fatta dai giovani senza valori, ma non solo, insieme sotto lo stesso cielo che minaccia di piovere c’è anche chi ha ormai superato da un po’ la gioventù. E’ la più tangibile testimonianza della presenza della gente comune, che si ricava prepotentemente uno spazio nell’angolo buio dei media nazionali, che hanno, fino ad ora, trascurato la rassegna. 

Ad aspettare con ansia Roberto Saviano c’è semplicemente l’Italia. Quella vera e unita, non divisa dagli steccati geografici e ideologici imposti da una becera “politica da stadio”, che tanto va di moda di questi tempi. E’ l’Italia dove, nell’appassionante attesa dell’evento, il Nord si unisce al Sud nel naturale, disarmante sorso di una birra scambiata tra studenti e la Destra si mescola alla Sinistra nel fumo di una sigaretta. 

Gomorra è distante chilometri, eppure gli echi possono udirsi anche da qui. Se ne vedono chiaramente i segnali, attraverso la presenza tangibile di quelle misure di sicurezza che per Saviano rappresentano la sua quotidiana salvezza ed allo stesso tempo la sua condanna. Mentre le ore passano, si allestisce il maxischermo per chi non potrà entrare, intanto il serpente allunga la sua coda fino alla piazza. 

Saviano è ancora lontano, eppure si riesce a scorgere facilmente la sua presenza negli occhi della signora elegante col cappello, che sorseggia il thé caldo discutendo di politica con il ragazzo che le sta affianco; la noti nei discorsi sulla tesi quasi pronta che parla proprio di lui; la avverti nel cuore dell’aspirante giornalista che lo reputa un modello professionale da esportare. Uno schiaffo morale a chi pensa che con il suo lavoro metta in cattiva luce il nostro Paese. Nel momento in cui, finalmente le porte del teatro si aprono e la gente inizia a spingere per occupare i posti migliori, Saviano non è più semplicemente un uomo, ma essenzialmente un’idea di libertà a cui ci si sente di correre incontro. 

Alle 21:00 il giornalista sale sul palco e l’abbraccio collettivo del Morlacchi, ormai stracolmo, si manifesta in una ovazione che fa balzare in piedi il teatro e mette i brividi dall’emozione. E’ subito facile capire cosa vuole dirci quell’uomo che vive costantemente nell’ombra, che passa i suoi giorni a spostarsi da un luogo all’altro, macinando chilometri dentro auto blindate, accompagnato fedelmente dagli uomini ombra della scorta che lui definisce ormai la sua famiglia. Nelle sue parole c’è tutto il peso di 4 anni di trasferte forzate, ma anche il dolore causato dalla denigrazione di chi lo accusa di mania di protagonismo e persino di essere un fiancheggiatore delle mafie. Descrive l’antimafia come una rivoluzione culturale da compiere parlando a tutti, senza distinzione di credo politico. Dando vita ad un movimento che serva a sradicarla e non a decapitarla, perché a volte anche le teste ricrescono. 

Il più grosso fastidio che si può dare alla mafia -dice Saviano con lo sguardo rivolto al pubblico- è quello di raccontarne le sue storie, di non nasconderle e di fare in modo che si accendano tante piccole luci nel buio dell’omertà. E lo fa parlando a noi o, per meglio dire, parlando di noi, di quelli che troppe volte abbassano la testa e si arrendono pensando di essere soli. Colpevoli di non avere la sua stessa coraggiosa ostinazione.

Nonostante tutto, il suo è un discorso che impasta le lacrime con la speranza, che parla dritto alle coscienze con i toni morbidi dell’umiltà ma, allo stesso tempo è un urlo intriso di severità che ci invita a non perdere la voglia di indignarci . Le sue sono parole struggenti di chi ha ancora voglia di credere che niente è perduto e si può ancora lottare pensando di vincere.

A lui si aggiunge, subito dopo, Al Gore che, lodando il giornalismo di inchiesta italiano, descrive la sua come il primo esperimento di TV indipendente e coraggiosa, dove le storie di reporter come Saviano, guadagnano l’attenzione del grande pubblico. Egli lancia un’ancora di salvezza proponendo ai giornalisti italiani, compromessi e stritolati dal “business delle news”, di rivolgersi a Current TV ogni volta che gli viene vietato di pubblicare qualcosa. Si dice perplesso per il caso tutto italiano dei talk show sospesi in campagna elettorale.

Il "Morlacchi" si emoziona profondamente una seconda volta, quando Gore nomina Enzo Biagi come esempio di spirito del giornalismo al quale la sua TV si ispira. 
Poi entrambi daranno vita ad un faccia a faccia moderato da Maria Latella direttore di “A”, in cui Saviano confessa di invidiare gli americani per il loro modo di fare politica, per le loro campagne elettorali che mettono al centro il cittadino e la sua partecipazione. Proprio lì, oltreoceano, dove la politica è ancora il mestiere di chi desidera darsi da fare per migliorare la vita degli altri. 

Alla fine si esce dal teatro con addosso il senso di un evento che ha poco da celebrare e tanto da raccontare e con la netta sensazione che i giornalisti da “prima linea” come Saviano rappresentino, per il nostro Paese, un patrimonio da tutelare doverosamente a denti stretti e da non abbandonare, consentendogli con ogni mezzo di compiere un lavoro che dovrebbe essere normale e invece troppo spesso li costringe a diventare eroi, in qualche tragico caso martiri e vessilli di civiltà, di un’Italia che non vuol rassegnarsi a perdere la forza di pensarsi davvero libera.

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