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 Home page > Attualità > Cultura > Martelli in testa, Corrida #26

Martelli in testa, Corrida #26

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Le persone, in generale, le capisci a pelle, o quantomeno è una dote che mi sono sempre attribuito. Solitamente non devo tergiversare molto per capire se chi ho davanti mi andrà a genio o meno, e potete pensare che sia solamente una grossa massa di pregiudizi, ma è un qualcosa di istintivo che mi ha sempre guidato nelle scelte. I miei giudizi iniziali, tuttavia, sono sempre affettati, non pretendo di conoscere una persona prima ancora di averci parlato seriamente, anche se alcuni volti cerco di evitarli prima ancora che le labbra inizino a muoversi.

Francois era uno di quelli. Gli dovevo la mia attuale libertà di scarcerato, e tuttavia non poteva rimanermi simpatico. Osservavo la sua mano circondare le spalle di Amalia, ins egno di appartenenza e protezione, e mi sentivo assalito da una forte ed acida rabbia che risaliva su dalle budella fino a raschiare la gola.

Mi porse la mano, Amalia ci aveva appena presentato, e con fare disinvolto mi diede il benvenuto. Non sono mai riuscito ad essere galante in queste situazioni, spesso finisco per essere inutilmente gradasso e cinico, tanto che risposi con un sonoro "Belli quei pantaloncini usati, si direbbe che tu lavori davvero nei campi".
Francois ritrasse la mano ed io continuai a guardarlo con espressione ebete, di chi sa di aver già detto in poche parole una frase di troppo, e tuttavia non se ne pente. Un francese, uno splendido ragazzo, non c’è che dire, dal fare affascinante, gli occhi chiari e i capelli biondi e lucenti di vita propria, un damerino, insomma.

In pochi secondi mi ritrovai ad agognare la compagnia di quei quattro ceffi immaginari che avevo accanto alla cella, era brutta gente, va bene, ma ero sicuro che basassero la propria vita su di una sorta di deplorevole codice di onore. In due parole, non avrebbero salvato dalla galera il probabile fidanzato o ex, della propria nuova conquista, lo avrebbero lasciato perdere, quantomeno.

Amalia mi guardava, sorridendo, poneva domande sulla mia vita in cella, su cosa era successo in questi giorni che ci avevano separato, ed io rispondevo in trance, come un ebete, probabilmente raggelando gli animi di cinismo senza curarmi del debito che avevo appena contratto con loro. Dopotutto avevano rischiato la propria vita per me durante il coprifuoco, ma questo andava in secondo piano, totalmente trascurabile, quello che importava era che Amalia teneva la mano a Francois, Francois il damerino, Francois finto lavoratore, probabilmente finto oratore di Marx, Francois...

Dopo un qualche minuto della mia ingombrante compagnia i damerini decisero che per me era arrivato il capolinea, e mi scaricarono dandomi dell’ingrato. Nel profondo silenzio della notte da corpifuoco gli urlai dietro la sola parola "damerino", come un ubriaco al mattino colpito in testa da mille martelli. O forse solamente come un innamorato deluso da un destino ammaccato.
Mi buttai di peso sull’erba incurante di qualsiasi cosa che iniziasse con "copri-" e rimasi a guardare le stelle, ad osservarmi dentro, ascoltando il silenzio, provando a svuotarmi, senza nemmeno provare a capire.
A volte cercare di farlo è davvero inutile.
La notte era arrivata puntuale, il sonno avrebbe tardato a suonare il campanello. I martelli erano, invece, tutti ben presenti e freschi "che la notte è ancora giovane", dentro alla mia testa.

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