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Manifestazione "Orgoglio padano": dalla Lega in canottiera alla Lega in giacca e cravatta

Chi si fosse illuso che con Maroni avremmo avuto una Lega meno eversiva e più civile, è bene che si ricreda. L'adunata bergamasca del cosiddetto “orgoglio leghista” andata in onda ieri sera martedì 10 aprile ha dimostrato ancora una volta in modo lampante che nulla di sostanziale è cambiato nel mondo allucinato del nord-leghismo. Le buffonate pseudo celtiche a base di corna, spade di latta e ampolle di acqua inquinata, il celodurismo e la signorile gestualità dell'ormai ex Capo a base di diti medi, pernacchie e vaffanculo saranno sostituiti da riti meno ridicoli e imbarazzanti, più “politically correct”. Ne abbiamo avuto un assaggio proprio ieri alla fine dei comizi a Bergamo: sembra che ora vada di moda il bacio della bandiera, quella “padana” ovviamente. Nuovi riti, dunque, ma niente di più.

I discorsi di Maroni e di Bossi hanno segnato definitivamente il passaggio del testimone: dalla Lega della canottiera, buffonesca e familistica, alla Lega della giacca e cravatta, seriosa e altrettano rivoltante. L'uscita di scena di Bossi, con la sua autocritica pubblica, è stata grottescamente patetica, quasi commovente, stando almeno ai criteri di giudizio dell'ineffabile Mentana, se non si ricordasse che il personaggio in questione è colui che ha dedicato la propria vita a rendere la società italiana più feroce con i più deboli.

Il discorso di Maroni, invece, è stato assolutamente politico. Con una prima parte dedicata alla secessione, pudicamente chiamata indipendenza, e dai toni decisi di chi conferma che questo è l'obiettivo strategico della Lega, con tutto quello che ne discende quanto a pratica politica quotidiana. Senza dimenticarsi di fare due brevi ma significativi passaggi di stampo razzista, giusto per la chiarezza. Innanzi tutto la critica al governo e all'establishment istituzionale che a suo dire minacciano l'identità “padana” favorendo l'immigrazione, invenzione fantasiosa che amenamente qualcuno dalle parti di Pontida ha definito come genocidio culturale. E l'auspicio che il Sinpa, il sindacato “padano”, attualmente niente di più di una sigla, guidato da Rosi Mauro, diventi un “vero sindacato padano” guidato da un “vero padano”. Sottinteso: e non da una che è pugliese.



E poi la seconda parte del discorso di Maroni, dedicata alla “pulizia” interna. Cioè alla resa dei conti finale con il Cerchio magico e l'uccisione simbolica di alcune comparse come Belsito, Renzo Bossi e Rosi Mauro. Sorvolando con la massima faccia tosta sul fatto che la finanza creativa alla Tremonti di Belsito, gli stili di vita del Trota e i maneggi della badante sono stati coperti e favoriti per anni proprio da chi oggi invoca l'epurazione, Maroni in testa. Una serata quindi all'insegna non del ritorno alle origini, come sostiene l'ometto leghista, ma all'insegna della massima continuità.

Maroni ha concluso dicendo che ha un sogno nel cuore. Non la pace fra i popoli, non un pianeta ambientalmente sostenibile, non la sconfitta della fame nel mondo. No, tutto questo è banale e risaputo, anzi: chi se ne frega? Il sogno di Maroni è vedere alle prossime elezioni la Lega diventare il primo partito della “padania”.

Prendiamolo sul serio. Sta a noi, solo a noi, impedirlo.
 

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