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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > MIKE STERN BAND al Blue Note di Tokyo

MIKE STERN BAND al Blue Note di Tokyo

E’ tornato ad esibirsi in Giappone, un Paese che lo stima molto, il chitarrista americano Mike Stern. Assisto al primo set della giornata introduttiva di una “cinque giorni” presumibilmente assai frequentata, visto il quasi esaurito registrato all’esordio.

La “Mike Stern Band” è in realtà un affiatato quartetto che vede, accanto al leader, il tastierista giapponese Makoto Ozone (Kobe, 25 marzo 1961), il bassista elettrico Tom Kennedy (Saint Louis, Missouri, 21 agosto 1960) e il batterista Simon Phillips (Londra, 6 febbraio 1957).

Appena entrato nella sala del concerto, osservando gli strumenti sul palco, rimango stupefatto nel vedere un gigantesco drum-set : sette piatti in posizione altissima, una batteria Tama con due enormi Bass-Drum, un’infinità di Tom, una serie di Tom oblunghi di picolo diametro, due Rullanti e due Tom che nel diametro si avvicinano a quello di un timpano sinfonico. Temo di rimanere disturbato, se non ferito, nell’udito, invece Phillips suonerà con delicatezza, non eccedendo né infastidendo nel volume nemmeno nei brani più Rock.

Capello lungo curato come sempre, che scende a coprire gli occhi, Stern appare in buona forma fisica. Dunque, non sembrano esserci postumi allo spaventoso incidente occorsogli due anni fa mentre stava costruendo il suo appartamento a New York, che gli causò fratture alle braccia e un danneggiamento dei nervi della mano destra esteso fino alle dita.

La scaletta è di solo cinque pezzi, per un totale di 70 minuti, gli ultimi due tratti da “Trip”, il disco del rientro lo scorso anno. L’inizio, arrembante, è affidato ad “Out of the Blue”, in apparenza il solito brano funky. Invece, nei circa venti minuti in cui si sviluppa, ci sono, accanto a momento concitati, delicati fraseggi swinganti, accarezzati dal fruscio delle spazzole. Nell’improvvisazione di partenza, energica e indirizzata verso il Rock, negli acuti sembra di riconoscere qualche sonorità claptoniana del periodo Cream, anche se il volume sonoro di Stern è decisamente più alto. Il pubblico muove la testa, pare dondolarsi catturato dal ritmo, ed è felice perché Stern avvicina la chitarra ai volti delle persone in prima fila, le quali non stanno più nella pelle per il desiderio di essere sfiorati dal loro beniamino. Tenica e forza fisica anche nei Solo di Kennedy e di Phillips, che usa spesso il doppio pedale, mentre basso e batteria interagiscono con sofisticati Breaks.

Stern presenta poi “KT”, un suo brano molto vecchio, che, afferma, non ha mai suonato con questo gruppo. L’andamento è lento e nel tema circolare, assai melodico, c’è un botta e risposta fra il piano elettrico e la chitarra. Ottime le dinamiche nel Solo di chitarra, nitidissimi i Pianissimo. La sonorità, dapprima morbida, delicata, in seguito vira nei registri Rock. Di nuovo, Stern suona vicinissimo ai tavolini blu, Ozono inserisce registri d’organo, mentre Phillips sfodera Patterns di rulli a colpi doppi. Come spesso avviene, il brano termina con un rallentamento per un tutti finale accentato su un accordo.

Un canto senza parole, contemporaneamente all’esposizione alla chitarra, dà inizio ad “All you need”. E’ un brano mansueto, accattivante, di facile presa, romanticheggiante, con pericolose cadute nello sdolcinato. Può far pensare a “Time after time”, la canzoncina di Cyndi Lauper, trasformata in uno standard da Miles Davis o a quel modo di sincronizzare canto e strumento in alcuni brani dello “Zawinul Syndicate”. Stern lo aveva già eseguito al Blue Note nella stagione 2014/15 assieme a Lee Ritenour.

Ed ecco gli ultimi due pezzi, tratti da “Trip”. Il primo, “I believe you” è una Ballad classicheggiante. La sonorità della chitarra è delicata, l’andamento è lento finchè ad un certo punto Stern si gira verso il pianoforte acustico per dar vita ad un breve, irruento, velocissimo Rush. Poi ritorna ad accenti che ricordano il tardo Romanticismo o il primo Novecento Francese.

Il secondo, “Trip”, è un Funky-Rock molto ritmico, ballabile, sincopato, in cui Ozone utilizza il registro dell’organo Hammond. Phillips, invece, farà sentire come suonano i Tom oblunghi, dando una connotazione melodica al suo accompagnamento.

Sarebbe finita, ma con la platea caricatissima, Stern rientra per rendere omaggio ad uno dei suoi idoli, Jimy Hendrix, interpretando un blues, “Red House”. Lo canta anche, confermando quanto si legge nel website ufficiale riguardo la sua passione per la vocalità: “Cantare per me è quasi una seconda natura. Spesso, mentre sto scrivendo un pezzo, canto la melodia”.

Applausi a non finire per un chitarrista attento alle dinamiche, dotato di una timbrica varia, chiara e leggera come quella di un Bopper, aspra e distorta come quella di un Rocker. Mi fa però notare Keiji Nakamura, un amico giapponese, chitarrista di professione, che sembra sempre di ascoltare lo stesso assolo. Probabilmente le armonie non cambiano. Però le idee sono vive e rendono l’assolo godibile e meritevole di attenzione.

 

Photo by Yuka Yamaji 

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