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M- Il Figlio del Secolo. Recensione di Martina Paiotta, esperta, tra le altre, di tematiche storiche e militari

Nel cuore della Città Eterna che è quella di Roma, Martina Paiotta, fresca di laurea con lode nell’ambito macroeconomico, ha scelto di immergersi nell'atmosfera militare dell'Istituto Superiore di Stato Maggiore, in pieno centro storico.

Le antiche mura di questa istituzione, che è forgia di futuri leader militari e dirigenziali, custodiscono un'aura di storia e di ideali che trascendono i confini del presente. Qui, tra le tracce indelebili del passato, è possibile percepire l'eco di movimenti e ideologie che hanno profondamente segnato l’Italia del Novecento e, per sempre, la narrazione intera della Storia Contemporanea. Il fascismo, con la sua retorica della forza e del nazionalismo esasperato, ha lasciato un'impronta indelebile nella cultura militare italiana: l'istituzione castrense, da sempre considerata un pilastro dello Stato, venne, dall’ideologia fascista, profondamente trasformata, diventando uno strumento non solo di propaganda, dedita ad esaltare la forza fisica e la virilità, ma anche di controllo sociale. La figura del militare, idealizzato come guerriero indomito e devoto al Duce e alla Patria, fu glorificata e mitizzata, trasformando le caserme in vere e proprie fucine dell'uomo nuovo.

Se per il popolo italiano Mussolini è l'immagine del tiranno artefice di malefatte, negli ambienti militari, pure in quelli più elevati e illustri, la sua figura è ancora avvolta in un'aura di sacralità, celebrato quale mitico fondatore del vero Militarismo, troppo spesso accostato ad un'entità divina.

La maggior parte dei militari, con zelo e fervore, si immerge nello studio della figura del Duce, scrutandone ogni aspetto, dalla pubblica ribalta ai segreti più intimi; ne apprende gesti, motti, passatempi, giungendo spesso ad una mimesi devota.

In breve, coloro che frequentano le aule e i corridoi dell'arte militare, giungono inevitabilmente a conoscere la figura del Duce in modo tanto intimo e profondo da poterla dire esperita quasi nella sua stessa presenza. Non si tratta più, a quel punto, di una conoscenza superficiale o libresca, bensì di un'immersione completa nella sua essenza, un'assimilazione dei suoi pensieri, delle sue azioni, del suo stesso spirito.

A seguito di questo periodo di completa immersione in un contesto pervaso dalla nostalgia e dalla malinconia di un'epoca trascorsa, Martina Paiotta, forte della sua esperienza diretta, desidera offrire una propria valutazione critica sulla serie televisiva che ha conquistato e sta conquistando i cuori di milioni di Italiani, che, con passione e quasi infatuazione, seguono le intricate vicende narrate in ciascuna puntata: “M - Il Figlio del Secolo”. 

Dalle pagine del “romanzo” di Antonio Scurati allo schermo, una narrazione inedita svela il Mussolini celato dietro le quinte, un uomo agli albori del potere, ancora un po’ impacciato ed estemporaneo.

Ma cosa cela il sipario di questa serie TV? Uno sguardo autentico sulla figura di Mussolini, o un'interpretazione romanzata? 

Chi rilascia questa recensione si sforzerà, con mente critica ma scevra da ogni autorevole giudizio, di donare un'interpretazione costruttiva di un evento cinematografico degno di menzione.

La serie televisiva “M - il figlio del secolo” si è rivelata un autentico fenomeno di costume, conquistando l'attenzione di un vasto pubblico e suscitando conversazioni animate da passione e ardore non solo sui principali canali televisivi e radiofonici, che hanno visto Luca Marinelli, l’attore che interpreta Mussolini, ospite a destra e manca, ma anche (e forse soprattutto) sui social. Ciò che desta meraviglia è come la serie televisiva in questione sia riuscita a catturare l'interesse anche di un pubblico di giovanissimi così ampio, persino di coloro che nutrono scarso interesse per le vicende storiche, superando così le barriere generazionali e avvicinando anche i più giovani alla narrazione storica.

Pur essendo stata, nel corso dei decenni, la storia del Ventennio Fascista oggetto di numerose trasposizioni cinematografiche e documentaristiche, la serie televisiva in questione si distingue per aver raggiunto il successo di un pubblico senza precedenti, che, a giudicare dalla reazione collettiva, sembra quasi essersi immedesimato nella proiezione.

Se da un lato il successone di questa serie-evento risiede nell'audacia nell’innovazione della sua concezione, nonché nella maestria della sua realizzazione, con la scelta di un cast di attori di prim'ordine, d’altro canto lato non si può negare come l'eco mediatico suscitato sia stato amplificato da una rappresentazione grottesca e quasi caricaturale degli atteggiamenti e dei comportamenti di Mussolini.

Se da un lato è innegabile che Mussolini fosse incline a una certa teatralità nelle proprie azioni e nei propri discorsi, così come riportano innumerevoli reperti visivi d’archivio, dall'altro lato, la serie televisiva pare aver ridotto la complessità del personaggio a questa sola ed unica dimensione, tralasciando di approfondire le altre sfaccettature della sua personalità ma soprattutto del suo ruolo storico.

La serie televisiva “M - il figlio del secolo” si trova, ad ogni modo, ancora agli episodi iniziali, rendendo perciò imprescindibile valutare l'evoluzione della trama e dei personaggi nel corso dei prossimi episodi al fine di poter offrire una critica più articolata e completa, la rappresentazione della teatralità di Mussolini e dei suoi modi di fare e di porsi emerge, sin da ora, con chiarezza come fulcro narrativo dell'intera opera.

È evidente come l'elemento menzionato rappresenti il cardine dell'opera docu-filmica, fattore che, verosimilmente sulla base di specifiche strategie di marketing, ha contribuito a rendere la narrazione accattivante e capace di suscitare un vivo desiderio di curiosità nel pubblico.

Tuttavia, l'appellativo di “docu-film” risulta in realtà, per questa serie, piuttosto improprio, giacché gli eventi narrati e le sequenze proposte non si limitano ad una mera rievocazione storica, bensì sono stati oggetto di una rielaborazione in chiave cinematografica che amplifica, per questioni legate al pubblico così ampio cui si rivolge, alcuni aspetti a scapito di altri, rendendo la trama maggiormente appetibile e, per certi versi, alleggerendo la stessa da quella “pesantezza” e laboriosità naturale che tutti gli eventi storici (chi più e chi meno) presentano.

In altre parole, è dunque evidente che la serie televisiva in esame trascenda i connotati del docu-film, assumendo invece i caratteri di una fiction storica, in cui la narrazione degli eventi è filtrata attraverso una lente cinematografica che ne enfatizza alcuni aspetti, non di rado a discapito dell’accuratezza storica.

Non è certo, questo, il primo esempio di una rappresentazione cinematografica che è costretta a sacrificare l'accuratezza storica in cambio di una narrazione più avvincente: tutte le pellicole dedicate agli eventi storici, e verosimilmente nessuna esclusa, adottano questa strategia al fine di rendere più agevole la fruizione da parte del grande pubblico. Ed è proprio sull’accezione di “grande pubblico” che ci si deve soffermare: se questa serie-evento fosse stata concepita per un uditorio selezionato di esperti e studiosi di Storia e Storia Contemporanea, è verosimile che l'approccio storico-scientifico sarebbe stato maggiormente curato; invero, trattandosi di un'opera concepita per raggiungere quello che viene, appunto, definito il “grande pubblico”, e dunque in linea con le preferenze del gusto popolare italiano, si è preferito offrire una rappresentazione delle vicende storiche più romanzesca e spettacolare, così come esige lo “spettatore medio”. 

Una strategia che si è rivelata a dir poco efficace, conferendo all'opera una profondità interpretativa tale da scuotere, quasi in senso fisico e materiale, gli animi di chi, in realtà, si trovava -e si ritroverà- semplicemente seduto dietro lo schermo a guardare, ammaliato dalla stravaganza e dall’anticonformismo dei personaggi che ne hanno reso accattivante e piacevole la visione.

A rendere la serie così ammaliante, però, e non v’è dubbio da nutrire, ha contribuito in modo significativo anche un altro fattore -o meglio, una scelta- di primaria importanza: la straordinaria bravura dell'attore principale Luca Marinelli nel immedesimarsi, a pieno titolo, nel personaggio e nel ruolo assegnatogli. Un perfetto connubio tra una figura storica e un personaggio romanzesco, così come i vertici cinematografici di questo prodotto televisivo avevano, a giudicare dall’interezza della narrazione, meticolosamente programmato.

Nonostante, infatti, la somiglianza fisica pressoché nulla tra il vero, autentico Luca Marinelli e Benito Mussolini, l'attore è riuscito a calarsi magistralmente nei panni del Duce, emulando con precisione ogni suo gesto, atteggiamento e persino l’accento e il timbro di voce. 

E non solo merito di Marinelli, a questo punto.

Non è certo fortuito, infatti, che il pubblico abbia particolarmente apprezzato la scelta dell'intero cast, riconoscendone l'elevata qualità e la presenza di talenti, alcuni dei quali emergenti, che hanno saputo dare vita ai vari personaggi con una maestria indiscutibile e degna di nota.

Tuttavia, stando a quanto emerge da numerose indiscrezioni trapelate dal web, sembrerebbe che una delle scelte -forse, una delle più importanti- compiute nell'ambito della serie, abbia, per certi versi, suscitato una certa delusione nel pubblico. 

A voler essere pignoli e cavillosi, non si può negare che la scelta a monte di incaricare un regista britannico -come Joe Wright- per una serie incentrata su una delle pagine più controverse, discusse e dibattute della Storia Italiana, non è andata proprio giù al grande pubblico, sollevando, nella platea di spettatori, qualche interrogativo sulla sua destrezza di interpretare, dal punto di vista culturale, a pieno le sfumature storiche di un contesto puramente ed esclusivamente italiano. La sua formazione e la sua visione del mondo degli accadimenti, inevitabilmente influenzate dal bagaglio culturale anglosassone, potrebbero aver condotto a una rappresentazione degli eventi che potrebbe divergere anche in modo significativo da quella che ne darebbe un regista italiano, maggiormente radicato nel tessuto storico, sociale e culturale del proprio, di Paese.

La questione non attiene, senza dubbio alcuno, alla sua professionalità o alle sue capacità cinematografiche, bensì ad una comprensione ed un'interpretazione del contesto storico e culturale italiano forse completamente differente da quella di un abitante della Penisola, contesto che gli sarà apparso, verosimilmente, estraneo e distante.

Benché i testimoni diretti del Ventennio e delle sue conseguenze siano ormai in età avanzata e difficilmente inclini a cimentarsi nell'arte della regia o della narrazione cinematografica, le narrazioni tramandate di generazione in generazione, i racconti degli anziani familiari reduci dall'epoca di Mussolini all’interno dei contesti familiari italiani, avrebbero potuto offrire un contributo prezioso alla creazione di un contesto mediatico più autentico e aderente alla realtà storica. Ma, a questo punto, non è tanto la testimonianza diretta a fornire gli strumenti per una corretta interpretazione storica, quanto invece la familiarità con il contesto sociale e culturale italiano: solo chi lo esperisce quotidianamente può comprendere a pieno la figura di Mussolini e il suo relativo impatto sulla società. 

Ed è proprio il contesto militare, che, fra i tanti, rappresenta un'eloquente testimonianza di come la figura del Duce permanga nell'immaginario collettivo, non tanto come “reliquia storica”, bensì come archetipo di “Padre Fondatore” del Militarismo e del Patriottismo, la cui presenza aleggia spesso sui rituali, sugli inni e sulle abitudini militari, quasi a voler significare il fatto che ogni prassi ne rifletta -o quanto meno ne ricordi- l'immagine.

In alcuni casi, però, questa persistenza non rappresenta necessariamente una sfegatata adesione all'ideologia fascista, quanto piuttosto una sedimentazione culturale di un modello di leadership forte e, per certi versi, anche carismatica, capace di incarnare “quel sentimento nazionalistico” che unisce i militari. Ma non è certo da tralasciare che, in un contesto come quello militare, la figura di Mussolini può comunque (e senza ombra di dubbio) rappresentare per molti, spesso per troppi, ancora un punto, o meglio, un modello di riferimento. 

Come un tempo il popolo, rapito da un'aura di religiosa speranza, pareva abbandonarsi al fascino di una nuova figura provvidenziale, così oggi, in molti luoghi di ordine e disciplina, si continua ad assistere ad una simile devozione. 

È a questo punto innegabile, in qualunque ambito e persino attraverso uno schermo, che alcune figure storiche riescono ancora a irradiare e trasmettere un carisma vivo e potente, capace di sedurre, quasi all’istante, popoli interi.

Ed è stata proprio l'esperienza diretta del “fanatico” contesto militare, da cui chi rilascia questa recensione è reduce, ad aver permesso l’analisi da una prospettiva unica nella sua disamina: questa familiarità con l'ambiente delle armi ha permesso agli “allievi” di scrutare la figura del Duce con una profondità che, come si vuole ribadire, trascende la semplice conoscenza “storica” come può essere quella che si costruisce attraverso un libro o un documentario.

Coloro che hanno avuto familiarità con una figura storica di tale portata possono inevitabilmente riconoscere, in ogni aspetto, come questo personaggio sia stato, in vita, caratterizzato da un'impronta di eccessività nei gesti e nel parlato, oltre che da un modo particolare di “strafare” in pubblico, consapevole, forse, che tale atteggiamento costituisse una strategia efficace per esercitare un ascendente psicologico sul popolo.

I filmati d'archivio ben conservati e le immagini dell'epoca offrono, in aggiunta, una testimonianza inequivocabile di quanto Mussolini fosse abile nell'arte dell'esagerazione e dell'eccesso.

Sebbene quindi, a questo punto, diviene palese e largamente noto che il Duce fosse un personaggio dalla teatralità marcata e dall'enfasi spesso sopra le righe, elementi che ne alimentarono senz’altro il carisma, è innegabile che tali peculiarità, una volta trasposte sul grande schermo, abbiano condotto a un risultato che può apparire eccessivamente caricaturale: per questa ragione, nonostante l'indubbio e inaudito successo riscosso dalla serie, una porzione di pubblico non ha mostrato un'accoglienza del tutto positiva, preferendo interrompere la visione dopo pochi episodi a causa di una rappresentazione del personaggio troppo poco storica ed eccessivamente plateale, quasi melodrammatica. 

Sebbene tale raffigurazione sia mirata a porre maggiormente in risalto la (auto)costruzione del suo carisma, essa potrebbe, tuttavia, non rendere pienamente conto della dimensione più “buia” di tale figura storica.

Benito Mussolini è indubbiamente una figura storica fin troppo controversa, che seppe senza ombra di dubbio infondere nuova linfa vitale alle Forze Armate con approcci innovativi ma soprattutto accattivanti, ma è imprescindibile riconoscerne il lato “tenebroso”, un aspetto che nella serie televisiva in questione viene adombrato da un'eccessiva enfasi sulla sua comicità: il Mussolini raffigurato nella serie televisiva "M - Il figlio del secolo" sembra sovente adottare movenze e atteggiamenti che rammentano quelli di un moderno rapper, un'ulteriore peculiarità che contribuisce a conferire alla narrazione un aspetto, a tratti, eccessivamente macchiettistico. Non si riesce, in altre parole, a porre in debito risalto la figura di Mussolini nelle sue vesti di tiranno, bensì si privilegia, con eccessiva enfasi a parere di chi scrive, la sua dimensione ultraumoristica, tralasciando invece la sua complessità e responsabilità storica. Sotto questa luce, il personaggio appare in effetti più simile a un'effigie “di cartone”, un simulacro di potere, incline più a gesti teatrali che a reali azioni (e, di nuovo, responsabilità) di Governo. Un'apparenza imponente che cela, a tratti, una sostanziale inefficacia nel trasmettere il “Mussolini fatale e calcolatore”.

Pur concedendo spazio alle ambiguità di un Mussolini opportunista, elemento sicuramente centrale della narrazione, la serie rischia di offuscare però tale aspetto con una retorica eccessivamente burlesca, a causa di un equilibrio, tra i due aspetti, un po’ precario, che mina l’ampiezza storica del personaggio. 

Con ogni probabilità, l'équipe cinematografica che ha realizzato quest'opera ha inteso porre in risalto le caratteristiche prettamente umane del personaggio storico, allontanandosi, almeno in un primo momento, dalla sua figura di “virulento dittatore”, provando a scindere questi due ruoli.

Sebbene, come già anticipato, la serie in esame non possa essere considerata un vero e proprio docu-film a causa dell'aggiunta di elementi narrativi atti a renderla più appetibile per un più vasto pubblico televisivo, sarebbe stata auspicabile, forse, una maggiore accuratezza nella sua struttura storica. Sebbene l'obiettivo primario di questa serie fosse quello di porre in risalto l'eccessiva teatralità del Duce come figura emblematica, sarebbe stata cosa gradita dedicare maggiore attenzione alle difficili condizioni del periodo storico in questione: il diffuso malcontento popolare nel dopoguerra, la critica situazione politica, la dilagante povertà e l'occupazione delle fabbriche durante il cosiddetto biennio rosso, tutti fattori che agevolarono fin troppo l’ascesa di Benito Mussolini, senza i quali, difficilmente l’intero sistema avrebbe appoggiato la figura di Mussolini, consentendogli di marciare, attraverso le sue Camicie Nere, verso Roma indisturbato ed ottenere alla fine l’appoggio del Re Vittorio Emanuele III. 

Non si può tralasciare il fatto che lo stesso Re si rifiutò di firmare lo stato d'assedio per le medesime ragioni poc’anzi menzionate: era ben consapevole che, in quelle precarie condizioni politiche e sociali, l'Italia non avrebbe potuto sopportare un tale stato d'assedio, e, con ogni probabilità, il caos che ne sarebbe derivato si sarebbe trasformato in una guerra civile senza precedenti. A questo punto, egli optò per la soluzione più drastica, ma al contempo la più semplice: incaricare Mussolini di formare il Nuovo Governo.

In altri termini, è possibile che, per coloro che non posseggono una conoscenza storica particolarmente perspicace ed acuta, la visione della serie possa risultare insufficiente a comprendere a pieno la complessità delle vicissitudini storiche e delle dinamiche che hanno condotto Mussolini a ricoprire quel ruolo di primo piano senza incontrare significativi ostacoli. 

Nonostante il Mussolini in M faccia ampio uso di flashback narrativi sotto forma di soliloqui e monologhi, ai fini di agevolare la comprensione delle dinamiche precedenti da parte dello spettatore, sarebbe stato forse auspicabile, in alcuni momenti, distogliere temporaneamente l'eccessiva attenzione dalla mera figura del Duce e mostrare più scene del reale contesto storico e sociale dell'epoca, cruciali per l’ascesa del Fascismo.

Il Mussolini della serie sembra invece quasi emergere dal nulla, come una figura quasi provvidenziale apparsa senza una chiara causa, per provare a “sistemare le cose”. Tuttavia, ciò potrebbe essere identificato proprio come un sottile riferimento ad un'altra opera di Antonio Scurati: “M - L'uomo della Provvidenza”. L'espressione "uomo della provvidenza" sottolinea, appunto, come Mussolini fosse percepito come una figura “trascendentale”, capace di risolvere i problemi del Paese e di guidare l'Italia verso un futuro di grandezza. In poche parole, un uomo mandato dalla "Provvidenza", quasi intesa come un disegno divino o del destino, per salvare la Nazione.

Contrariamente a quanto si possa estrapolare dalla serie, nella complessa e controversa realtà storica, Mussolini si rivelò semplicemente un uomo che, con astuzia, seppe cogliere le opportunità del momento, scalando furbescamente il potere e costruendo, in modo altrettanto sagace, la sua immagine sfruttando le problematiche sociali più urgenti del periodo, quelle che maggiormente preoccupavano la popolazione. La sua vera abilità consistette, però, nell'intuire non solo ciò che inquietava la “gente comune”, ma anche ciò che turbava l'élite governativa di allora, incluso il Re: tensioni sociali e politiche, in particolare, che avrebbero potuto sfociare in una guerra civile da cui, molto probabilmente, lo stesso Re, ne sarebbe uscito “fuori gioco”.

Si può dunque affermare che questo pregevole prodotto televisivo abbia intenzionalmente costruito la propria risonanza attorno alla figura di Benito Mussolini, un uomo forse non poi così rozzo come si crede, quanto piuttosto una personalità eccentrica e teatrale, capace di suscitare, attraverso marcati gesti ed esagerazione, un forte impatto emotivo non solo sul popolo, ma anche sui suoi stessi collaboratori. 

Tuttavia, un'integrazione della medesima serie televisiva che mostri l'evoluzione di Mussolini al variare delle circostanze, in particolar modo con la svolta delle imprese coloniali in Africa, la stretta alleanza con Hitler e, infine, l'ingresso nella Seconda Guerra Mondiale che lo condurrà, alla fine, a fuggire travestito da militare tedesco, potrebbe arricchire ulteriormente la narrazione per comprendere questo complesso personaggio storico inizialmente designato come “inviato dalla Provvidenza” e che, con il trascorrere del tempo, sembra essersi inesorabilmente incamminato verso un vicolo cieco, una spirale autodistruttiva da lui stesso innescata. Sarebbe interessante, in riferimento al contesto dei cambiamenti che si verificarono soprattutto a partire dagli anni '30, ripercorrere, attraverso una seconda stagione di M - Il Figlio del Secolo, l'evoluzione psicologica di Mussolini al mutare delle condizioni socio-politiche.

Non c’è dubbio alcuno che il titolo della serie (e, ancor prima, del testo di Scurati) non sia stato assolutamente scelto in maniera casuale: invero, dall'unione dei modi -di Mussolini- di ostentare per rendersi accattivante, in qualità di artefice del suo stesso clamore autocelebrativo, nonché delle sue scelte opportunistiche e sovente maliziose, emerge ciò che può essere realmente definito “un prodotto umano figlio del suo tempo”, come vogliono suggerire sia il titolo del testo di Scurati che la sua trasposizione cinematografica. E, al termine della visione di tale prodotto televisivo, non si possono trarre conclusioni diverse: il titolo rispecchia pienamente il personaggio incarnato, figura politica emersa, in realtà, più da una serie di combinazioni politiche fortuite e fortunate, che dalla mera capacità -strategica e politica- di assumere le redini di un'Italia sull'orlo del baratro.

Infine, non si può omettere come Mussolini, già da tempo attivo come giornalista, direttore e fondatore di una testata di grande risonanza nazionale, abbia saputo, con ancor maggiore astuzia, tessere una fitta rete di contatti, tanto politici quanto militari che gli permisero di scavalcare le problematiche sociali in tempi relativamente brevi e a condizioni agevolate.

In conclusione, “un autentico figlio del suo tempo” che, davanti ad una simile situazione, non poteva agire diversamente.

Considerata l'assoluta originalità e la leggerezza con cui sono stati trattati una figura storica e un contesto storico tanto delicati e controversi, si può affermare che la serie televisiva abbia, da questo punto di vista, pienamente raggiunto il proprio obiettivo, meritando a pieno titolo la realizzazione di una seconda stagione sulla scia della precedente. E, per “leggerezza”, è necessario chiarire che non si vuole alludere alla superficialità, ma, al contrario, si vuole far riferimento alla grande capacità dell'entourage cinematografica di rendere una serie storica di tale portata estremamente appetibile e coinvolgente per il pubblico, ottenendo un meritato successo fuori dal comune.

M, in altre parole, si rivela, alla fine della fiera, una serie avvincente e ben realizzata, rivelatasi capace, più delle altre, di tenere lo spettatore incollato allo schermo grazie a una trama decisamente carica di colpi di scena, impreziosita da personaggi ben sviluppati e da una scenografia curata nei minimi dettagli, che ha saputo realizzare giochi di ombre e luci quasi "caravaggesche" per rendere, probabilmente, ancora più intriganti i coup de théâtre e conferire un’angolazione ancor più esoterica alla location e all’intera narrazione.

Un giudizio, in ultimo, che non pretende di essere né fiscale né censorio, ma vuole unicamente offrire un contributo aggiuntivo, arricchito dall'esperienza di chi, con “alcuni personaggi”, ci ha avuto quasi…a che fare!

 Martina Paiotta

 

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