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Lusso, diritto costituzionale? Auto di lusso, ristoranti e corruzione

In Italia la società è spaccata in due: quella bassa, che non trova rispondenze nelle istituzioni politiche, e quella alta, con cui ha stretto un forte legame di complicità. I risultati sono l'enorme dilagare della corruzione e dell'evasione fiscale con l'espandersi inesorabile del debito pubblico.

Viaggiano negli ultimi modelli di Audi nere fiammanti, dotate di tutti i comfort e delle tecnologie più all'avanguardia. Stipulano polizze assicurative straniere, evitando così di pagare le cifre esorbitanti che il cittadino medio deve annualmente sborsare in una grande città come Napoli per ottenere una polizza assicurativa (fino ai 1000 euro per un'auto e ai 2000 euro per un motorino). Corrono a 150 km/h sulle autostrade e sulle statali, sorpassano a grande velocità le altre auto e se ne fregano degli autovelox posti sulle carreggiate. Nel caso in cui nella cassetta delle lettere arrivi la contravvenzione, sanno a chi rivolgersi in questura per farsela eliminare. Il metodo italianissimo del favore x il favore.

Ufficialmente quelli dell'altra società sono nullatenenti o percepiscono un reddito basso, ma nei garage privati (in cui pagano poco o niente) posseggono quasi sempre almeno due o tre auto di grossa cilindrata, un paio di motociclette d'epoca e l'annesso yacht, ormeggiato a metà prezzo nel porto di Mergellina.

La loro regola principe è quella di intestare i propri beni sempre a carico delle società che presiedono, ancor meglio se situate nei paradisi fiscali, senza mai accollarsi direttamente alcun tipo di spesa. Bisogna, infatti, tenere i beni giuridicamente lontani da sé per risparmiare sui costi, conservando intatti portafoglio e status symbol.

Due o tre volte alla settimana cenano al ristorante, di quelli noti e costosi in cui si stringono sempre importanti conoscenze. I più gettonati sono quelli di Pozzuoli e del lungomare napoletano dove, ovviamente, pagano scontato perché “conoscono da una vita” tutte le generazioni di proprietari, dal padre al figlio passando per gli zii e i nipoti, che li accolgono a braccia aperte ogni qualvolta oltrepassino l'ingresso. E, all'arrivo delle portate, esplodono in un tripudio di battute, risate e sorrisi patinati accompagnati da spaghetti con le cozze e sorsi di champagne.

Girano il mondo per tre volte l'anno, compresa l'immancabile crociera: come al solito hanno la possibilità di dimezzare i costi perché sono in grado di procurarsi prezzi scontati presso le agenzie degli “amici” o presso alcune loro conoscenze "impottanti" (citando un'espressione lessicale di Luigi Cesaro detto “la polpetta”, da oggi ufficialmente indagato per camorra). Oppure, in virtù di certe “amicizie di Cristo in paradiso”, non pagano proprio niente. L'armatore Nicola D'Abundo, nelle sue deposizioni in merito all'inchiesta sulla loggia P4, ha candidamente affermato di aver offerto crociere gratis a personaggi, appunto, impottanti” quali vip, magistrati e generali dell'Arma. Ed è proprio la vicenda della P4 ad offrire il quadro più aderente al livello di subdola corruzione, travestita da malcostume, in cui nuota la classe dirigente.

E infatti quelli dell'altra società sono spesso affiliati ad ordini massonici o cavallereschi, coacervi di interessi e clientelismo dietro al paravento delle opere pie e della ricerca della spiritualità interiore. Cercare il Tempio di Salomone, in effetti, è faticoso e in questi ordini gli adepti/cavalieri vengono sollevati dalle fatiche grazie all'ottenimento di una serie di privilegi, tra cui il più scontato è l'esenzione dal pagamento delle tasse o la possibilità di circolare gratis in tutti i Paesi in cui siano presenti nuclei di queste logge. Farne parte significa appartenere alla giurisdizione di un altro Stato, privo di precisi confini geografici, senza più farsi carico di tutti quei costi necessari al sostentamento della gigantesca macchina statale del Paese “d'origine”.

Imprenditori, generali, politici, avvocati, magistrati sembrano in buona parte essere sedotti dal fascino di appartenere ad una casta di privilegiati. Il loro motto è mutuato da quello della pubblicità: il lusso è un diritto.

E se il lusso è veramente un diritto costituzionale, lo potrà sancire la Corte Costituzionale se vorrà prendere atto dei “mutati costumi sociali” a cui spesso fa richiamo per motivare sentenze contrarie a sue precedenti interpretazioni in ordine ad una controversia simile ripresentatasi anni dopo. Si finirebbe con l'ipocrisia dello Stato sociale e finalmente uno dei principi del capitalismo finirebbe di essere solo “di fatto” e otterrebbe un riconoscimento formale giuridico. Fa niente che la somma di questi comportamenti, compresi i fatturati delle organizzazioni criminali, provochi una perdita di 565 miliardi di euro l'anno per le casse dell'Italia.

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