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Loredana de Vitis: “Storie d’amore inventato”. Sentimenti antichi in parole moderne

 

 

La raccolta di racconti “Storie d’amore inventato” (2010 – ilmiolibro.it), della scrittrice e giornalista Loredana De Vitis affronta non solo sfide tematiche (rapporti tra uomini e donne, rapporto dell’individuo con il sé, rapporto della donna con la società) ma anche linguistiche. Il suo stile è stato definito rapsodico, neorealista, moderno. De Vitis ha accettato la sfida, insolita per un romanzo di esordio, di sperimentare più registri tra cui anche quello delle chat. Lo fa in modo daconfondere a volte il lettore, il quale viene sfidato dai suoi personaggi a comprendere sino in fondole loro storie.
 
Parlando di linguaggio, con “Storie d’amore inventato” i nuovi registri e anche la chat smettono di essere universi asettici e si impregnano di umanità. Loredana carica di emotività vera anche l’incontro virtuale e lo rende letteratura.
 
Come omaggio alla sua scelta coraggiosa, la intervisto proprio attraverso una chat. Ci mettiamo un paio di pomeriggi a metterci d’accordo per quando fare l’inervista, in barba al concetto secondo cui la chat rende la comunicazione più veloce.
 
“Vorrei intervistarti in una chat-semiseria su “storie d’amore inventato” – le dico. “come la vedi e quando pensi si possa fare?” Segue emoticon-risata e la sua risposta “volentieri. facciamo domani pomeriggio? Dopo le 16 sono a casa tranquilla”. Segue elenco dei suoi impegni tra politica (membro attivo dell’UDI, Unione Donne in Italia), lavoro e cure alle sue amate, veneratissime gatte.
 
Troviamo spazio per l’intervista il giorno successivo, munite a distanza di tisana, ciambella calda, odori di casa. Lei, seduta sulla sua nuova sedia davanti alla sua scrivania nuova disegnata da lei. Insomma, sta scrivendo, di nuovo. Un romanzo e un racconto, a giorni alterni.
 
Entro nel vivo dell’argomento, la sua prima raccolta di racconti “Storie d’amore inventato” e le chiedo: ma anche per i personaggi di “Chatt’ami, ti prego Chatt’ami” uno dei racconti di era così difficile rintracciarsi in chat? O erano un po’ più nerd di noi?
 
“Lui e lei – mi risponde senza esitazioni scrivendo sula sua tastiera - si incontrano in un mondo virtuale. Hanno le stesse abitudini. La notte, soprattutto. E poi ci sono in ballo emozioni fortissime, tutta pancia. Sicuramente si trovavano molto più facilmente di noi”
 
Ma tu hai mai avuto una storia che pur nascendo dal virtuale (non so, dalla chat) ti porta ad emozioni “a tutta pancia?”
 
Beh non la metterei in questi termini. Diciamo che ho capito (con più d’una persona, in realtà) che la comunicazione in chat è un altro… livello di comunicazione. Facci caso: è così anche se frequenti una persona ogni giorno. I due personaggi sono diversi quando entrano in chat. Si incontrano ogni giorno nella realtà. La chat ha un altro livello, diverso, più mentale forse, attiva altri canali. La mente va dove vuole. Esempio concreto e indiscretamente personale: Caso 1- io e lui a distanza. in chat splendido, dal vivo quasi ovvio. caso 2- io e lui nella stessa città, ci vediamo ogni giorno, in chat riesco a confessare cose che non gli avrei detto in faccia neanche pagata. ti basta come indiscrezione?
 
Persone perdutamente banali come me direbbero che è la comunicazione facilitata di quando non si ha una cosa forte come gli occhi lì davanti a te…
 
È una possibilità, ma nel primo caso, ci siamo poi visti ed era meno del meno del meno che immaginavo… come “livello emotivo” intendo. Nel secondo altissimi livelli emotivi, solo miei. Insomma, non c’è una regola.
 
Tra i personaggi di cui hai parlato nelle tue “Storie d’amore inventato” ce n’è uno che esce in maniera irreversibile dalla tua idea di “ovvio”? Qualcuno nel quale in nessun modo potresti mai riconoscerti, se non per le sue azioni o esperienze ma per il modo di viverle?
 
Vediamo… un personaggio in cui proprio non potrei riconoscermi… forse sono in tutti. Solo che ho fatto scelte. Molti di loro, invece, non ne fanno. Cecilia sì, nell’ultimo racconto. Lei sceglie ma lo fa perché “costretta”, diciamo… ecco, direi che mi sento circondata da persone che trovano difficilissimo scegliere e ne ho raccontate alcune.
 
Anche la scelta di “togliersi gli occhiali” e non vedere? Ecco, quella scelta (non tua, ma di uno dei tuoi personaggi) mi ha molto incuriosita (racconto “il minore dio creatore”). Lei decide di abbandonarsi, almeno per una sera, alla sua miopia.
 
“Un trucco geniale”, non proprio una scelta
 
Una sorta di “protesta”? E se sì, a cosa? Molti personaggi (tuoi) e molte persone (in genere), scelgono di non vedere la realtà e abbandonarsi alla propria miopia. Basti pensare a tutti quelli/quelle che inventano la propria storia d’amore e non hanno un’idea reale della situazione, della persona da amare ecc. Eppure lei, il tuo personaggio, non appare come una di queste persone di cui sopra. La sua scelta di non vedere a me come lettrice appare… geniale. Un chiaro segno di protesta. Come dire: “Nulla di tutto questo è abbastanza interessante, quindi mi tolgo gli occhiali”.
 
Allora c’è un passaggio nel racconto che è molto chiarificatore: “quello che ho intorno non posso cambiarlo veramente…”. questa tecnica è una forma di protesta sì, ma anche una specie d’atto di consapevolezza, perché ha capito che è proprio lei a cacciarsi in situazioni alienanti… il caso delle storie d’amore è un po’ diverso. È normale non avere perfettamente il polso della situazioni. Se ce l’hai, in genere è perché non sei proprio “coinvolto”. Illudersi fa parte del gioco. Ma scommetto che esiste autenticità, ancora da qualche parte possiamo averla.
 
Torniamo su un punto per me dolente (ci siamo passate già nel corso di infinite discussioni e anche alla tua presentazione a Milano): ma tu, avresti mai potuto cambiare il mondo e non lo hai fatto perché dovevi fare il bucato? (riferimento al racconto “Questa è da bruciare”)
 
È durata poco quella fase. L’ho cambiato. Sono un po’ “pesante”, mi dicono… io ho risposto così: (mi manda un link ad una pagina del suo blog loredanadevitis.com) “Io non posso, non posso, non posso. E non voglio, non voglio, non voglio. Vogli’anzi esser più pesante, più pesante, più pesante, pesante da rompere la crosta, da andare a fondo”.
 
Con queste parole ci congediamo. Un po’di ironia sulla modalità insolita per fare un’intervista, un saluto con faccine divertenti, rassicuranti in questo livello parallelo di comunicazione.

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