• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Lo schianto dei "triunfadores" spagnoli

Lo schianto dei "triunfadores" spagnoli

Vivo in Galizia e produco articoli assolutamente voluttuari che, se la retorica vorrebbe per tutti, sono di fatto destinati ad una clientela benestante; questo, se fa sì che ora debba inventarmi il lavoro letteralmente giorno per giorno, mi ha permesso di assistere da una posizione privilegiata allo scoppio della crisi spagnola.

Crisi diversa da quella italiana, greca o irlandese, perché ogni paese si inguaia a modo proprio, ma che, mentre i problemi delle banche iberiche sono al centro dell’attenzione, credo meriti di essere raccontata, tanto per la cristallina evidenza delle sue cause, quanto perché il suo scoppio era assolutamente prevedibile; matematicamente certo anche senza chiamare in causa alcun maligno deus ex machina.

Erano quasi tutti catalani e madrileni i miei clienti. E ricchi; a volte ricchissimi. “Me sobra el dinero” (ho soldi d’avanzo), urlava una sera, mezzo ubriaco a bordo della sua Lamborghini gialla, un amico dei miei amici. J., anzi ul J., usando appunto il determinativo catalano, per ahimè troppo breve tempo mio affezionato collezionista, si stava facendo costruire una “barchetta” per il cui solo scafo, quando i clienti erano ormai in fila davanti agli sportelli della Northern Rock, aveva speso ben oltre il milione di euro, La M., sua amica di famiglia, a volte socia d’affari e come lui appassionata di vela, per cui pure ho realizzato alcune opere, in quel momento stava ancora considerando l’opportunità di comprarsi un aereo. Piccolino, s’intende; sarebbe stato il suo primo e non voleva esagerare.

Spesso più giovani di me, e a volte giovanissimi, questi milionari che tali erano diventati nel giro di pochi anni grazie al mattone; costruendo oppure comprando e vendendo case e, con utili ancora maggiori, terreni.

Ul J. mi raccontò di aver messo a segno il primo colpo una decina d’anni prima, quando ancora non si era laureato in giurisprudenza; dopo aver visto un paio di conoscenti fare altrettanto e guadagnare bene, aveva comprato un rudere tra gli olivi della campagna catalana, a poca distanza dal mare, lo aveva ristrutturato alla bell’e meglio e lo aveva venduto ricavandoci abbastanza da poter iniziare, con l’aiuto delle banche, a costruire la sua prima palazzina. Poi di palazzine ne aveva costruite e vendute due. Poi quattro. Poi... Quando è scomparso dalla circolazione, (pare sia in Brasile ora), ha lasciato dietro di sé un buco di qualche decina di milioni e qualche centinaio di alloggi invenduti.

Appartamenti e villini (ovviamente con piscina) che sono oggi in mano alle banche, assieme a quelli dei tanti altri che assieme a lui, approfittando del credito facile e di legislazioni urbanistiche ridicole, inesistenti o non applicate, in quegli anni hanno completamente cementificato la costa mediterranea della Spagna, e fatto spuntare dal nulla intere città satellite attorno alla capitale. Una enorme massa di 1.200.000 proprietà immobiliari di cui gli istituti di credito spagnoli non sanno che farsi; che non riescono a vendere pur praticando, ufficiosamente, sconti fortissimi rispetto al supposto valore di mercato.

In mano alle banche è finito anche l’ultimo grande acquisto di J.; un terreno, in una cittadina sul mare, poco a sud di Barcellona, che aveva pagato “solo” tre milioni e mezzo di euro, come mi annunciò con fierezza, invitandomi alla grande festa con cui intendeva celebrare l’evento. “Solo”, perché lo stesso terreno era stato messo in vendita per una cifra molto superiore, appena pochi mesi prima. Si era dicembre 2008 e la bufera finanziaria era già scoppiata negli Stati Uniti; i più lesti stavano fuggendo da investimenti di ogni tipo, ma ul J. era convinto che si trattasse di una tempesta in un bicchier d’acqua; di un’occasione per fare acquisti. Ricordo che rise quando gli obiettai che già avevano costruito più di quel che potevano sperare di vendere, anche se l’economia europea avesse continuato a crescere, e che i prezzi delle abitazioni avevano ormai raggiunto livelli insostenibili: fino a 5 o 6 mila euro il metro quadro per appartamenti in enormi palazzoni che potevano forse attrarre gli speculatori, ma certo non pareva fatti per soddisfare il sogno spagnolo di tedeschi e inglesi; 10 o addirittura 12 mila euro il metro quadro per monolocali “en primera linea de plaja” in località balneari mai sentite nominare.

Imprevidente, ul J.? Troppo avido? Non più di tanti altri triunfadores del miracolo economico spagnolo. Proprio la capacità di rischiare era stata fino ad allora la chiave del loro successo, ed era nella loro natura non levare il piede dall’acceleratore: verso il baratro, che pure era lì da vedere, ci sono andati, con il resto del paese, a tutta velocità.

Colpa delle banche che hanno continuato a prestar loro denaro fino all’ultimo istante?

I grandi istituti di credito, quelli che non a caso sembra non abbiano urgente bisogno di fondi, pare abbiano fatto a tempo a limitare i danni. Le casse di risparmio, con i consigli di amministrazione stipati di incompetenti nominati dalla politica nel più italico dei modi, sono corse verso il disastro a braccetto dei propri clienti. Sono loro, in parte già nazionalizzate, ad aver necessità di almeno i 2/3 dei miliardi di Euro (da 51 a 62) che, secondo i consulenti incaricati di valutare la situazione per conto della Banca di Spagna, servono al sistema finanziario iberico per sopravvivere ad un aggravarsi della crisi; denari che il governo di Madrid non ha e che, già oggi, potrebbe chiedere ufficialmente all’Eurogruppo.

A quanto ammontano per perdite complessive provocate alle banche spagnole dallo scoppio della bolla immobiliare? Dipende, è in buona sostanza la risposta degli stessi consulenti. Dipende da quanto valgono ora e da quanto varranno domani tutti i beni di cui gli istituti di credito hanno finanziato l’acquisto oltre a quelli, come il terreno di J., di cui già sono stati costretti a farsi carico.

Nell’ipotesi peggiore, se la crisi continuasse a lungo, i prezzi delle case scendessero ulteriormente ed i terreni extraurbani arrivassero a non valere più nulla o quasi (si stima che abbiano già perso almeno il 25% del loro valore e potrebbero perdere un altro 25% senza bisogno di un particolare aggravamento dello stato delle cose), alle banche potrebbero arrivare a mancare 270 miliardi di Euro; una cifra pari ad un quarto del Pil spagnolo. Una tragedia e certo non solo per le banche.

Sento ancora, ogni tanto, qualcuno dei miei amici triunfadores. Alcuni se la passano ancora relativamente bene; molti male e gli altri peggio. Pochi sono riusciti a lasciare il gioco salvando tutto o quasi il capitale; a quasi tutti è riuscito di conservare qualcosa. Cosa pensano di quel che è accaduto? Che è colpa delle banche, di Aznar (pochi) o Zapatero (molti), dell’ Europa, dell’America, della Germania, di Moody’s e di chiunque vi venga in mente.

Autocritica? Non scherziamo, per favore. I francesi saranno nostri cugini, ma gli spagnoli sono nostri fratelli e della nostra famiglia si può dire tutto tranne che soffra di un simile difetto.

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares