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Libia, crimini di guerra nella battaglia per Tripoli

Nel conflitto scoppiato il 4 aprile in Libia per il controllo della capitale Tripoli tra il Governo di accordo nazionale, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e l’autoproclamato Esercito nazionale libico, sono stati uccisi o feriti oltre 100 civili – compresi migranti e rifugiati trattenuti nei centri di detenzione – e più di 100.000 persone sono state costrette a lasciare le loro case.

Amnesty International ha raccolto e reso note oggi le prove di possibili crimini di guerra commessi da entrambe le parti a seguito di attacchi indiscriminati e mediante l’impiego di armi esplosive imprecise dirette contro insediamenti urbani: dai razzi privi di guida dell’era-Gheddafi ai moderni missili montati su droni.

Attacchi aerei, colpi d’artiglieria e bombardamenti hanno distrutto abitazioni e importanti infrastrutture civili tra cui ospedali da campo, una scuola e un centro di detenzione per migranti e hanno costretto alla chiusura l’aeroporto di Mitiga, per mesi l’unico funzionante della capitale.

Tra le vittime civili figurano bambini anche di soli due anni che giocavano sulla porta di casa, persone che prendevano parte a un funerale o che stavano svolgendo le loro abituali attività quotidiane.

Nonostante l’embargo sulle forniture di armi proclamato da una risoluzione delle Nazioni Unite già nel 2011, diversi stati hanno fornito armi ai contendenti. Tra questi, Emirati Arabi Uniti e Turchia, schierati rispettivamente con l’Esercito nazionale libico e col Governo di accordo nazionale.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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