Libia: benvenuti nel nuovo pantano della Nato
Una volta pensavamo che la Nato servisse a difendere l'Europa dalla minaccia comunista. Dalla caduta del Muro di Berlino, al contrario, sembra che il compito dell'Alleanza atlantica sia improvvisarsi gendarme del mondo, per poi trovarsi impantanata nelle sabbie mobili. Quelle di Iraq e Afghanistan ieri e della Libia oggi. Teatri nel deserto di un'unica guerra senza fine.
Tanto per cominciare, l'intervento alleato ha fallito proprio nello scopo primario, cioè l'effetto deterrente. Uno dei motivi per cui in molti hanno sostenuto entusiasti l'appello per una no-fly zone è stata la paura che se Gheddafi fosse riuscito a schiacciare la rivolta libica e a rimanere in sella, avrebbe implicitamente suggerito un messaggio agli altri satrapi del mondo arabo: con le cattive maniere si rimane al potere. Invece, ironia della sorte, è stato proprio dopo la risoluzione Onu sulla no-fly zone in Libia e i bombardamenti degli aerei francesi e inglesi che gli altri regimi arabi intensificato il loro giro di vite sui sommovimenti nei propri paesi.
In Libia la guerra prosegue come prima, e le crescenti violenze nello Yemen, in Siria, e ora in Giordania, dimostrano che i dittatori alle strette di mano preferiscono il pugno di ferro. Il presidente Obama ha "fortemente condannato" gli attacchi e ha invitato i satrapi a "permettere che le dimostrazioni si svolgano pacificamente". Il che suona come un invito a continuare la repressione, purché non si faccia troppo rumore. E poi c'è l'ambigua situazione del Bahrein, sede della quinta flotta degli Usa e da giorni occupato da 1000 unità saudite e 500 degli Emirati arabi nell'indifferenza dei piani alti di Washington, che non ha mai chiesto conto ai paesi del golfo di un comportamento quantomeno ai limiti della legalità internazionale. In secondo luogo, la missione ha già travalicato i suoi limiti.
Per l'alleanza occidentale, e soprattutto per l'amministrazione Obama, il sostegno della Lega Araba è stata un prerequisito fondamentale per approvare l'intervento militare in Libia. Lega araba che ha prestato il suo assenso alla no-fly zone, sia pur con qualche esitazione. Sostenere l'attacco ad un collega, ancorché dittatore, non è mai facile. Gli USA avevano anche individuato il sostegno dell'Unione Africana (UA) in quanto elemento cruciale. Invece la missione è andata oltre, bombardando attivamente la capitale Tripoli. Non appena gli assalti aerei sono iniziati, il capo della Lega araba Amr Moussa ha immediatamente criticato l'assalto militare occidentale. Probabilmente i governi arabi avranno fatto pressione su Moussa per timore dell'opposizione popolare, fomentata dall'aumento di decessi sul suolo libico.
Anche il comitato della UA sulla crisi libica ha chiesto uno stop immediato agli attacchi, invocando la moderazione da parte della comunità internazionale. Riassumendo, il sostegno delle istituzioni africane e arabe sta già venendo meno. A ciò si aggiungono le critiche dei Paesi che si erano astenuti sulla Risoluzione, in particolare dell'India. Non vi è dubbio che le critiche alla missione siano fondate. La Risoluzione era stata approvata allo scopo di proteggere i civili. Negli ultimi giorni, al contrario, l'intervento aereo della coalizione è di fatto passato dalla parte dei ribelli, permettendo a questi ultimi ribelli di riconquistare le posizioni perdute dopo la controffensiva di Gheddafi. Voci provenienti dagli alti comandi britannico, francese e americano affermano che l'obiettivo è togliere di mezzo il Colonnello (politicamente o anche fisicamente?). In definitiva, qual è lo scopo della missione?
Terzo, il comando passa alla Nato. La quale è più divisa che mai. La prima a storcere il naso di fronte all'intervento è stata la Germania, astenendosi in sede di approvazione della Risoluzione: il paese preferisce tenersi fuori dalle questioni internazionali, preferendo la leadership economica del continente a quella politica. E poi la Merkel aveva le elezioni nei Lander a cui pensare, per cui meglio lasciar stare. Poi c'è stato il teatrino franco-italiano, con Napoleone-Sarkozy che prendeva di sbrigare la faccenda con una joint venture anglo-francese, mentre il governo di Roma, per rendere “presentabile” l'idea di una guerra all'opinione pubblica, ha premuto affinché la missione passasse sotto l'egida della Nato.
Poi c'è la Turchia, unico paese islamico nell'Alleanza atlantica e con il secondo esercito più numeroso, il quale vede nelle rivolte arabe un'occasione per estendere la sua influenza su quel Nordafrica che fu dell'impero ottomano. Perciò, fedele al detto “zero problemi con i vicini” sbandierato dal ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, spinge per una soluzione negoziale. Lasciando che siano gli altri a sporcarsi le mani con i bombardamenti. E infine gli Stati Uniti, che vorrebbero archiviare la pratica libica il più in fretta possibile. L'ultimo capitolo della storia lo stanno scrivendo Italia e Germania, le quali propongono un piano per il dopo-Gheddafi. Che è una copia spiccicata di quello del dopo-bin Laden in Afghanistan, e sappiamo tutti com'è andata. Questa è la Nato: ognuno per sé, nessuno per tutti. Difficile prevedere gli scenari futuri. Se il compio della Nato si limiterà a far rispettare la zona di interdizione aerea (inutile dopo che l'aviazione di Gheddafi, di questo passo, sarà stata decimata), la partita si concentrerà esclusivamente a terra, con ribelli e lealisti che si fronteggeranno in una lunga guerra di posizione. Trasfrormando la Libia in un nuovo Afghanistan. Oppure la Nato, e più in generale l'occidente, si sobbarcherà l'impresa di guidare la Libia nel cammino di transizione verso la democrazia. E anche qui sarà un nuovo Afghanistan. A pochi chilometri dalle nostre coste.
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