Libano: necro-politiche della disuguaglianza nel sud del Paese
Siamo spesso erroneamente portati a credere che un cimitero ospiti solo morti, ricordi, rimorsi, gioie mai più ripresentatasi... e sentimenti di questo tipo.
(di Estella Carpi, per SiriaLibano)
A Sarafand, la cui origine fenicia è Zarephath – piccola località costiera nella regione di Sahel az Zahrani tra Sidone e Tiro, nel sud del Libano – c’è un cimitero nuovo e uno vecchio. Basta una chiacchierata con gli abitanti della cittadina per rendersi conto che la gestione degli spazi cimiteriali rivela questioni di sovranità territoriale, una diversa dignità morale degli abitanti, e i poteri formali e informali esistenti che decidono della vita come della morte di tanti.
Il cimitero è solo una delle tante forme di politica dello spazio a Sarafand. In una realtà come il Libano in cui, ogniqualvolta si ripresentino crisi politico-umanitarie, la gestione dei servizi pubblici viene condotta da attori in gran parte esterni (agenzie Onu e organizzazioni non governative), la gestione delle morti e il diritto allo spazio e al riconoscimento socio-morale che ne deriva tornano nelle mani delle municipalità locali. E di queste si rispolverano così le croniche carenze amministrative e finanziarie. Questo accade in misura ancora più evidente a Sarafand, dove l’azione umanitaria delle agenzie internazionali si focalizza molto meno frequentemente.
Sarafand è abitata da lungo tempo da lavoratori siriani, spesso impiegati in lavori manuali, nella pulizia delle strade, nel settore edile e agricolo. Alla luce della crisi politica del 2011, migliaia di questi migranti hanno portato in Libano le loro famiglie estese. Il numero dei rifugiati siriani a Sarafand – di cui troppo spesso si fa un fascio d’erba unico – si dice ora superi quello della popolazione locale. Il comune di Sarafand e il capo dell’Unione delle municipalità di Sahel az Zahrani, evidenziano entrambi le difficoltà di trovare spazi per seppellire i morti. Un problema che precede di gran lunga la crisi siriana.
Secondo alcuni cittadini locali, i rifugiati siriani che abitano a Sarafand ormai da qualche anno sarebbero stati sul punto di organizzare un sit-in di carattere politico per rivendicare spazio per seppellire i propri morti. Conversando con i rifugiati di Sarafand, si tocca con mano la frustrazione che la vita nel Paese ospitante riserva ai profughi di guerra e violenze, e la condanna alla morte sociale di queste componenti demografiche. Se in tempo di crisi cibo, medicine, materassi e servizi forniti dalle agenzie umanitarie non possono di certo compensare la graduale perdita quotidiana della precedente normalità, essere riconosciuti come abitanti con dignità al diritto di sepoltura, di ricordo e di riconoscimento sociale post mortem solleva le medesime responsabilità umane.
In seguito a queste rivendicazioni e per evitare che le richieste assumessero infine la tinta di una protesta politica, il cimitero nuovo di Sarafand è stato allargato di qualche ettaro.
Secondo alcuni abitanti libanesi, la comunità palestinese locale si è resa disponibile a concedere parte del proprio spazio ai nuovi arrivati siriani per la sepoltura dei loro defunti. La comunità palestinese, dal canto suo, non si è sentita invece interpellata in tale decisione municipale. Una giovane donna palestinese commenta che “essere figli di uno Stato non riconosciuto, di nessuna amministrazione, costringe alla limitazione dei propri diritti… Ci è stato forse chiesto cosa volessimo concedere? Non vi è nessun rappresentante della comunità palestinese né tantomeno nessuno è stato interpellato a questo riguardo… e ancora la definiscono una nostra concessione”.
Molti dei rifugiati siriani di Sarafand vivono in edifici nuovi, apparentemente costruiti per ghettizzare la popolazione non locale in spazi definiti e lontani dal resto della realtà urbana. C’è chi ritiene la municipalità efficiente e disponibile, ma impossibilitata a risolvere la questione dello spazio cimiteriale perché non all’interno delle proprie capacità giuridiche.
C’è chi invece accusa la municipalità di riuscire ad avviare progetti ambiziosi di riciclaggio e preziose partnerships con agenzie internazionali, senza voler risolvere la questione dello spazio cimiteriale. “Nessuna speranza per ricordare. Nessuna speranza per morire in pace! La municipalità rifiuta la concessione di spazi per i nostri morti perché spera di liberarsi di noi… Ho provato a cercare in tutto il Libano un modo per non mandare il corpo di mia madre in Siria… Non ritornerò facilmente lì dove son cresciuto… Dovrei lasciarla appassire lontana dal mio ricordo e dalla mia devozione? Non è facile neanche ottenere un’ambulanza per un siriano durante le ore del coprifuoco serale… Il maltrattamento che subiamo all’ordine del giorno non renderà la nostra permanenza temporanea”, afferma un uomo siriano di mezza età.
Secondo alcune voci locali, tuttavia, non sarebbe lo status legale e neppure la nazionalità del defunto a garantire una degna sepoltura e una degna devozione da parte dei propri familiari. È piuttosto lo status sociale a determinare la dignità del vivo come del morto. “L’unica cosa che importa” – mi dice un venditore di schede telefoniche sulla strada principale di Sarafand – “è che tipo di siriano sei, che tipo di palestinese sei, e così via… qual è il tuo status sociale, insomma”.
Della stessa opinione è un altro residente di Sarafand che accenna al fatto che “per seppellire il corpo di una persona illustre, miracolosamente, lo spazio si trova!”. Una cittadina libanese di Sarafand in modo analogo esclama: “La municipalità aveva appena negato la possibilità di nuove sepolture nel cimitero nuovo anche per noi libanesi, quand’ecco che un imprenditore ha avuto modo addirittura di farsi spazio in quello vecchio!”.
Classe sociale, status legale, wasta locale. I fattori che danno diritto a vivere e morire sono diversi quanto le narrative locali della diseguaglianza che ho dovuto digerire in un solo pomeriggio.
Con sgomento del grande Totò, neanche la morte, a Sarafand, è ‘na livella.
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