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Scuola: lettera di un professore sullo sciopero del 5 maggio

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
(Italo Calvino)

Mi presento, sono un professore di scuola media, entrato di ruolo quest'anno grazie al concorso 2012: sì, proprio quel concorso che non avrebbero dovuto proprio bandire, che ha permesso a gente come me di scavalcare gente con anni di esperienza e di contratti annuali sulle spalle. Un concorso ingiusto, che mi ha ingiustamente infilato dentro la scuola. Per carità, non ho avuto raccomandazioni di alcun tipo, ho superato le prove, avevo frequentato la SISS, ho tutte le carte in regola ma insomma: quel concorso è stato uno schiaffo in faccia al lavoro di migliaia di docenti.

Che c'entra il concorso del 2012 con lo sciopero del 5 maggio? C'entra.

Anche io ho scioperato contro il ddl Renzi sulla scuola: io come la quasi totalità degli insegnanti tranne Agnese, la moglie di Renzi. Ho scioperato, ho leggiucchiato il ddl, conosco i punti critici ma non ho capito. Vedo i differenti nodi dell'attacco ma non riesco a leggere il disegno che c'è dietro. Ci provo qui, ora, scrivendo.

Punto primo, le assunzioni: l'atto più violento, vigliacco, infame del governo Renzi è in questo punto qui, nelle 148.000 assunzioni promesse nelle slide di settembre, diventate poi nel ddl circa 100.000. Il governo, lo Stato, sono costretti ad assumere tutti i precari che hanno lavorato per almeno 36 mesi continuativi nella scuola, senza se e senza ma: prima di dirlo una sentenza della Corte di Giustizia Europea, lo diceva la logica, il buonsenso e l'onestà. Che cosa tira fuori allora dal cilindro quel presidente del consiglio espressione di quel PD che da sempre prende i voti nella scuola?

Tira fuori una riforma che spaccia come elemento di novità una cosa che il governo era costretto a fare, inserendoci in mezzo anche altre cose che non erano in alcun modo richieste, né auspicabili, tipo tutta la parte che può essere riassunta “sovvertendo” uno slogan: “tutto il potere al preside!”

Insomma, un vero e proprio ricatto: vuoi essere assunto (a fronte di una sentenza che dice che lo Stato italiano ha torto da vent'anni)? Beccati il preside-padrone, gli scatti di merito e anche due schiaffi in faccia giacché ci siamo!

Punto secondo, il preside manager: questo punto si descrive molto semplicemente, i presidi avranno il potere di decidere chi può insegnare nella loro scuola e chi no; il destino dei “rifiutati” è incerto e nebuloso, ma in pratica si tratta di annullare i diritti pregressi, annichilire gli organi collegiali, accentrare tutto il potere in una sola persona... coi soldi di tutti, però. Ma, si risponde, il preside sarà chiamato a rendere conto del suo operato nel caso, ad esempio, di un numero eccessivo di bocciature: perché, una scuola che non boccia più è automaticamente una “buona scuola”?

Si rivela, in questi passaggi, la logica da quattro soldi che c'è dietro, quella di chi, obnubilato dall'ideologia aziendalista, ritiene che gli studenti siano paragonabili ai pezzi di una fabbrica, per cui meno pezzi “difettosi” ci sono e meglio è.

Il disegno mi si inizia finalmente a rivelare: i presidi non sono questa lobby potentissima che ha spinto per avere potere ed arbitrio, ci sono presidi ottimi e presidi vergognosi, il problema non è questo: al fondo di tutta la retorica c'è l'idea che la scuola non può essere, neanche in minima parte, un terreno sottratto alle logiche dell'accumulazione capitalista, per cui serve far fuori quel residuo di collegialità, democrazia e diritti per permettere ai privati di avere campo libero: prendendosi manodopera gratuita grazie agli stage, proponendo progetti costosi e insensati, piazzando i propri prodotti dentro al mercato scolastico e via discorrendo.

Tutto questo perché, in fondo, la scuola non serve più a niente: non serve agli studenti, perché contribuisce sempre meno allo sviluppo di una coscienza libera, autonoma e critica; non serve al mercato del lavoro perché per essere sfruttati non c'è bisogno di sapere granchè, anzi; non serve ai padroni, che si fanno le loro scuole altrove. Via libera, dunque, alla penetrazione di capitali nella scuola: qualcosa da guadagnare sempre ci sarà, e i docenti che vorranno opporsi o semplicemente non si adegueranno abbastanza saranno espulsi.

Che fare? Non accettare l'inferno e diventarne parte fino a non vederlo più, ma cercare chi e cosa non è inferno, farlo durare, dargli spazio. La scuola è piena di professionalità ricchissime, di persone coscienziose che cercano di fare bene il proprio lavoro nonostante le condizioni vessatorie che subiscono; gente formata per un numero di anni senza pari in qualunque altro percorso professionale, umiliata dall'esercizio continuo del dubbio sulle loro competenze e dall'ossessione di pagare sempre meno quelle competenze e il loro lavoro.

La buona scuola sono i docenti che la fanno vivere: la buona scuola è quella che è scesa in piazza, e che ha dato uno schiaffo ad un governo che pensa che la realtà si identifichi con i social network.

La buona scuola non sta su Twitter: sono le comunità educanti sparse sul territorio, che cercano di resistere all'inferno.

La buona scuola siamo noi.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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