Lettera aperta alla sinistra: è ancora universalista?
La sinistra politica nasce, storicamente, insieme alla Rivoluzione Francese.
“Libertà, uguaglianza, fraternità” fu il motto del 1789: e tutto sommato, ancora oggi, i valori che presenta (specialmente il secondo e il terzo) non sembrano poi così di destra. Soprattutto l’égalité. Che a giudicare dai risultati del sondaggio promosso da Repubblica è ancora considerata una delle parole più importanti dell’immaginario della sinistra (seguita tra l’altro anche dalla laicità). L’anelito di uguaglianza non è stato declinato soltanto da un punto di vista economico, ma pure da quello dei diritti individuali.
L’islam è un fenomeno recente, nell’Europa post-rivoluzionaria. Come le altre religioni, è percorso da sfumature diverse: esistono anche posizioni liberali che accettano i diritti e la democrazia, ma sono estremamente minoritarie. Sono per contro attive altre correnti che si mostrano rigidamente fondamentaliste. Forse anch’esse minoritarie, sono però più numerose e rumorose, e soprattutto sono in grado di farsi valere all’interno delle comunità musulmane. Negano apertamente la maggior parte delle conquiste delle nostre società, e rivendicano il diritto di applicare la legge islamica al proprio interno. Come si colloca, la sinistra, di fronte a queste richieste?
Cosa succede in Europa
Il dibattito, in Europa, è sempre più acceso. Prendiamo i due grandi paesi che hanno un’impostazione giuridica agli antipodi: Francia e Regno Unito. In Francia, le pose laïcard dell’estrema destra antislamica sono ritenute razziste e islamofobe. Tuttavia, persino le strisce satiriche su Maometto apparse sul settimanale Charlie Hebdo sono state criticate dai progressisti, che si sono chiesti se fosse il caso di offendere la sensibilità religiosa degli islamici. Una dirigente del Partito Comunista francese è recentemente intervenuta contro “gli atti anti-musulmani”, non dimenticando di criticare aspramente chi ritiene incompatibile l’islam con la democrazia.
In Gran Bretagna, in nome del multiculturalismo, la legislazione ha aperto alle corti islamiche per giudicare questioni come il diritto di famiglia, creando un sistema alternativo che è sfavorevole alle donne. Un sistema ormai sempre più problematico da gestire, perché ripropone gli schemi comunitari misogini e patriarcali. Il partito anticapitalista Respect, guidato George Galloway, un fuoriuscito dal Labour Party, è vicino ai gruppi islamici più integralisti e ha ottenuto buoni risultati elettorali proprio nelle roccaforti laburiste dove la presenza musulmana è corposa.
Galloway, che si è sposato con una cerimonia islamica ed è considerato da alcuni un “musulmano velato”, nega apertamento il diritto di criticare i sentimenti religiosi. Posizioni simili sono diffuse anche tra i laburisti più “rossi”, come l’ex sindaco di Londra Ken Livingstone.
Né “islamofobia” né razzismo
Alla base di atteggiamenti simili c’è forse un malinteso. Le battaglie in difesa dei diritti dei migranti e dei palestinesi portano, con un’arbitraria estensione del ragionamento, a identificare ogni critica nei confronti della religione dei migranti e dei palestinesi (che peraltro non è la regione di tutti i migranti e di tutti i palestinesi, ed è anche la religione di una parte di autoctoni) come un favore a Israele e, soprattutto e in misura crescente, come una critica ai migranti stessi.
Di qui le ripetute accuse di “razzismo” nei confronti di chi legittimamente critica la religione islamica. Proprio l’esperienza di un paese come il Regno Unito dovrebbe però far capire come l’indulgenza, e talvolta la sudditanza verso l’islam sia fallimentare. Il multiculturalismo applicato in senso confessionalista ha soltanto contribuito alla creazione di nuovi ghetti identitari che schiacciano i singoli, negando le loro libertà e i loro diritti in nome del relativismo culturale. Lo sdoganamento della sharia porta allo smantellamento della laicità, ovvero uno dei principi della modernità che garantisce democrazia e uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. L’universalità del diritto viene irrimediabilmente compromessa.
In tal modo, la destra, in particolare quella estrema, ha gioco facile nell’accusare i partiti di sinistra di facilitare la penetrazione dell’islam più aggressivo in Occidente. La giusta e doverosa difesa delle categorie più deboli come i migranti e le minoranze contro xenofobia e intolleranza, la promozione del pacifismo e di una cultura del rispetto e della convivenza, la legittima critica delle politiche dei paesi occidentali nel mondo, rischiano di giustificare pratiche che sarebbero considerate aberranti, se poste in essere da altri. Un altro paradosso è che la sinistra, in particolare quella non italiana, tende a criticare, anche aspramente, la Chiesa cattolica per il suo interventismo politico e persino per aver smarrito i (presunti) valori evangelici di povertà e vicinanza ai più deboli. Tra quelli che si dichiarano comunisti non mancano pose anticlericali e non è raro sentire rievocare Marx e la definizione di religione come “oppio dei popoli”. Ma quando si parla di islam entrano in campo tanti, troppi distinguo, accompagnati da assordanti silenzi su questioni che, se confrontate a quelle che hanno per oggetto la Chiesa, dovrebbero essere considerate ben più gravi.
Quando noi stessi mettiamo in evidenza le pesanti discriminazioni in paesi come il Pakistan, la Malesia e l’Iran, ci ritroviamo a essere immancabilmente criticati da alcuni militanti di sinistra ed etichettati come “islamofobi”, “razzisti”, “imperialisti”, “fascisti”, “colonialisti”, pronti a dare l’ok ai bombardamenti di caccia statunitensi in qualche paese musulmano. E chi più ne ha più ne metta. Ma è evidente che non si tratta di razzismo, o di difesa acritica degli stati occidentali e delle loro politiche militari. Assai preoccupante è che queste stesse persone non si rendano affatto conto di come proprio loro, militanti di sinistra scettici sulla fede, sarebbero le prime a rischiare di subire abusi qualora osassero avventurarsi in quei paesi e manifestare un’identità “diversa”.
La sinistra ha sempre rivendicato la difesa dei diritti civili, il rispetto delle minoranze, la parità di genere, l’uguaglianza delle condizioni sociali ed economiche. Cosa hanno dunque da dire, i cittadini che si riconoscono in questa posizione politica, sui diffusi casi di imposizione del digiuno del ramadan nei paesi a maggioranza musulmana, dove persone che scelgono di non seguire questo dettato religioso vengono multate e arrestate?
E sulle minacce, le violenze, gli arresti e le condanne verso i non credenti nel mondo islamico per il solo fatto di aver espresso le loro opinioni, ritenute “offensive” dagli integralisti? E ancora: sono favorevoli a negare o limitare la critica alle convinzioni religiose? Ritengono legittimo che la legge non si applichi a tutti, prevedendo eccezioni favorevoli alle confessioni religiose? Pensano che sia opportuno che le comunità religiose possano autoregolamentarsi su alcune tematiche, come il diritto di famiglia, anche se in tal modo i cittadini che ne fanno parte (magari soltanto perché si sono trovati a nascervi), e in particolare le cittadine, andranno sicuramente incontro a un trattamento discriminatorio?
Sono passati ormai 17 anni da quando il grande storico marxista Eric J. Hobsbwm lanciò, sulla New Left Review, l’allarme contro l’attenzione che, contro la sua stessa storia, la sinistra riservava alle politiche identitariste. A nostro avviso, per la sinistra è giunto il momento di aprire gli occhi su una deriva che rischia di condannarla al declino: i suoi fini politici giustificano un comportamento filoislamico? Una riflessione sarebbe auspicabile. Perché la posta in gioco è altissima.
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