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Lettera aperta al Presidente del Consiglio

Caro Mario, Signor Presidente del Consiglio,

Le scrivo per sapere cosa ne pensa di una mia considerazione, che vado ad esporre.

Mi rivolgo alla Sua persona per un duplice motivo: è il mio attuale Presidente del Consiglio ed è anche un professore. Per questa ultima qualifica, l’amor di onestà culturale La obbliga alla sincerità.

Scorrendo i media della scorsa settimana leggo: “Crollo di piazza affari: crollano tute le borse europee, sale lo spread”La cinematografia hollywoodiana ci ha sempre descritto la fine della nostra società come un evento provocato da un virus letale; in alternativa si è pensato all’impatto con un asteroide o, in ultima istanza, all’ennesimo disastro atomico.

Nessuno mai aveva pensato che il nostro Armageddon fosse di natura economico-finanziaria. Eppure eccoci qui, stritolati da una morsa che non farà altro che peggiorare. È arrivato il momento in cui tutti i grandi sistemi sociali, tutte le venerate teorie economiche devono rendere conto alla vita vissuta. È il momento in cui niente è più teorizzabile perché la realtà ha superato la capacità previsionale ed intellettuale dei nostri grandi uomini di scienza.

I modelli economici teorizzati in quei dotti libri di economia che ci venivano propinati durante i corsi universitari, come delle sacre scritture fonte di ogni religioso sapere, oggi sembrano non avere più un senso compiuto.

Di quelle sacre scritture ricordo che ogni nuovo modello iniziava con uno splendido "supponiamo che…" e da lì prendeva corpo tutta la disquisizione inerente la dimostrazione del modello. Io mi sono sempre chiesto che senso avesse proporre come legge un risultato finale che poggiava i presupposti su un “supponiamo che…”. Mi sono sempre domandato che cosa poteva accadere se quelle supposizioni non avessero trovato riscontro nella realtà.

A qualche anno di distanza da quelle domande e dal pseudo-benessere economico e sociale dell’epoca, ho ottenuto una risposta: la crisi di questi anni è la migliore di tutte le risposte. L’economia come sistema convenzionale globale non ha un senso e non ha trovato neanche fondamento reale. Questo probabilmente per due ordini di ipotesi: o qualcuno ha applicato in maniera scriteriata modelli economici validi e funzionanti nella loro formulazione teorica, oppure i “supponiamo che…” erano sbagliati. Gli storici delle prossime generazioni sapranno dare adeguate risposte.

Nel frattempo possiamo fare una previsione a breve termine sulla base di banali meccanismi di tecnica contabile.

                      

Il fallimento della Grecia, definito con sconcertante eleganza "default controllato", sembra essere una disgrazia che non ci appartiene. In realtà non è così e nessuno ha il coraggio di ammettere che il sistema bancario coinvolto in quel default, sta per subire le conseguenze.

Ora facciamo una premessa. Le banche in parola, hanno dovuto accettare la proposta del “debitore Grecia”, rinunciando ad un'ottima parte di credito sulla base del principio pecunia non olet. Infatti, meglio prendere quel poco che si poteva ottenere da un fallimento pilotato che rinunciare interamente al credito. E di tutto questo abbiamo, troppo abbondantemente, già letto dai media per mesi interi. Nessuno però ha mai dato seguito a cosa potesse succedere nei bilanci bancari.

Ora, agli studenti del primo anno dei corsi di economia viene insegnato che la svalutazione di un credito (come quello a cui le banche creditrici della Grecia hanno rinunciato) in seguito ad un'impossibilità di realizzo, deve essere stornato tra i costi dell’anno. Come tale, esso partecipa ad appesantire il risultato di esercizio in qualità di componente negativa di reddito.

Ci soffermiamo, in maniera ridondante, sul fatto che la quota di credito soggetta a rinuncia non è rappresentata certo da numeri da bottegai artigiani, visto che il creditore era rappresentato da uno Stato sovrano, non propriamente un ente qualunque.

Da qui possiamo muovere una considerazione successiva e fare un passo avanti nel ragionamento. I risultati reddituali che vengono misurati nel conto economico, devono essere riportati nella sezione del patrimonio netto dello stesso bilancio. In questa sezione l’attuale codicistica italiana impone un equilibrio tra i risultati in questione ed il capitale sociale. In difetto, la società deve (è un obbligo non una facoltà) prendere provvedimenti per ristabilire l’equilibrio alterato. Altrimenti, cosa si può fare?

Caro Mario, Signor Presidente,

so bene che il nostro Paese è sempre quello in cui è tutto meraviglioso e non teme mai nulla; per questo mi aspetto che mi risponda che il nostro sistema bancario sia solido. Ma mi viene anche in mente che manovre azzardate hanno reso possibile l’inimmaginabile, quando un "inchino" ha affondato la gioia di migliaia di passeggeri in navigazione nel tranquillo e rassicurante mare nostrum.

Quindi Le ripropongo il mio dubbio precedente: "Altrimenti, cosa si può fare"?

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