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Lega di Salvini: sintomatologia di una televendita morente

Tutti gli inequivocabili sintomi che suggeriscono che la Lega salviniana si approssima al capolinea. Uno, in particolare, quello più grave ma non serio

 

Oggi vorrei perdere e farvi perdere un po’ di tempo con la nuova bollicina di fermentazione dello stagno italiano. In questo, arriverò non troppo buon ultimo rispetto ai maggiori e minori editorialisti e commentatori nostrani, ma cercherò di differenziarmi da loro per la chiave di lettura che attribuirò all’episodio analizzato. Di che parliamo? Ma della trasformazione della Lega Salvini in un partito liberale, di che altro? (sottofondo di risate da sitcom americana)

Tutto è cominciato dopo l’ultima sconfitta leghista all’ennesimo Giorno Farlocco del Giudizio delle elezioni regionali, da cui Salvini è uscito un filo pesto e concio ma sempre pronto a trovare giustificazioni e ipotizzare rivincite, parlando ad esempio del prossimo Giorno Farlocco del Giudizio, le elezioni amministrative della prossima primavera in alcune grandi città italiane. Yawn.

Dopo questa spiacevole (per i leghisti) parentesi, è tornata ad echeggiare la voce di Giancarlo Giorgetti, da sempre il moderato di rappresentanza, almeno secondo la stampa italiana. Giorgetti ha detto che serve un avvicinamento della Lega al Partito popolare europeo (ari-yawn), in buona sostanza suggerendo che l’estremismo non paga e che da qualche parte dovrebbe ancora esistere un elettore mediano. Ora, non è che questi concetti escano da qualche forma di intelligenza superiore, con tutto il rispetto per il senso comune di Giorgetti. Sono invece le assai precise spie della imminente crisi di una offerta politica che, come spesso accade in questo paese, è nata morta.

Giorgetti ha espresso il proprio preambolo nel vaticinio secondo cui “il proporzionale sarà un disastro per l’Italia”, dicendosi in ciò in sintonia con Romano Prodi, da sempre grande sostenitore di formule maggioritarie, pur avendo provato sulla propria pelle che, in Italia, qualsiasi “maggioritario” lascia presto il posto a frantumazioni varie, che riportano all’assetto primigenio di guerra per bande personali. Ma transeat, non è di questo che voglio parlarvi quanto del fatto che, di solito, quando un dirigente apicale di un partito inizia a elevare peana al concetto di “maggioritario”, significa che il suo partito ha ormai superato la fase di picco, e sta calando. Dopo il fantomatico Peak Oil, ecco il tangibile Peak Lega (Salvini).

Giorgetti ha anche sostenuto la necessità di “aprire una riflessione” sulla collocazione europea del partito. Dovete sapere che anche questo, di solito, è un ulteriore sintomo di indebolimento interno di una sigla partitica. Salvini, a caldo, ha replicato indirettamente le solite cose, del tipo “collocazione europea? Ma cosa, la gente vuole lavoro, felicità, prosciutti e nutella senza noci turche, niente immigrati”. Ma ha concesso che se ne può parlare, e che comunque il suo amico e ispiratore Viktor Orbàn è ancora nel PPE, dopo tutto.

Dopo di che, i due si sono visti a quattr’occhi e subito dopo Salvini si è fatto intervistare dal Corriere, lanciando uno spin talmente inverosimile ed assai poco sentito da apparire grottesco. “Apriamoci fuori dalla politica. E voglio la rivoluzione liberale“. Occhio, qui, alla sintomatologia. Apriamoci (fuori, ché se ci aprissimo dentro sarebbero dolori) a professionisti, imprenditori, casalinghe, centralinisti, uscieri e tutte le altre figurine del presepe della società civile. Che o chi vi ricorda? Ma sì, lui, Silvio Berlusconi, da un quarto di secolo a questa parte!

Che tempi, quando Silvio usava una delle sue ville brianzole per creare “università del liberalismo”, dove prestigiosi accademici rigorosamente liberali insegnavano ai quadri di partito come stare a tavola e impugnare le posate. Di solito, questi eventi erano propedeutici ad una grande elezione e si svolgevano dopo un’estate in cui Berlusconi perdeva regolarmente “alcuni chili” presentandosi “in gran forma”, secondo i gazzettieri del tempo. Sono riti stagionali italiani, dopo tutto, come quelli dei leader sindacali che da decenni, tornando dal mare, preannunciano “l’autunno caldo” mentre ripongono in cantina la papera gonfiabile.

Il problema, nel confronto tra Salvini e Berlusconi, è che il primo è piuttosto improbabile, nelle vesti di “leader liberale” (anche il secondo ma parliamo in termini relativi). Ammesso e non concesso che l’interessato sappia di che si parla. E pazienza che Orban e lo stesso Putin, altra figura sacra ai leghisti, non perdano occasione per levare il dito medio e sentenziare che “le democrazie liberali sono morte”. Vorrete mica pretendere che Salvini perda tempo con questi sofismi, vero?

Ma il tentativo di imenoplastica è in corso, supportato anche da un precettore liberale nella figura del professor Marcello Pera, che ha parcheggiato la macchina del tempo in doppia fila dopo essere tornato da quelle famose scuole brianzole di liberalismo degli anni che furono. È dura, professore, molto dura. “Salvini deve raccogliere l’eredità di Berlusconi“, dice il filosofo, scordando che Salvini si era già definito l’erede delle battaglie di Enrico Berlinguer. Nuovo sottofondo di risate da sitcom tv americana, mentre Berlusconi fa gli scongiuri.

Segue ulteriore sintomo della patologia ad esito infausto: l’offuscamento o strategia di mimetismo localistico. Che è ‘sta roba? Semplice: si sentenzia “creeremo alleanze con liste locali, che sono la ricchezza del territorio”. Tradotto: mi vergogno a presentarmi col mio marchio, che è già diventato una liability, quindi pago alcuni figuranti ed un disegnatore che mi crea il logo, e vediamo che accade. Ah, naturalmente, se lo faccio io “mi sto aprendo (fuori) alla società civile”, se lo fa un De Luca qualsiasi è una miserrima tattica da caudillo locale, e comunque basta con questo proporzionale, signora mia.

Ma poi, cosa sarebbe esattamente questo “liberalismo italiano” di cui a intervalli regolari a destra ma anche a sinistra appiccicano l’adesivo sul paraurti dell’auto? Vai a saperlo: si tratta di un articolo sfuggente che carsicamente compare e scompare dagli scaffali dell’hard discount della politica italiana. E quindi, con classico movimento pendolare tipico del Manicomio Italia e del suo discorso pubblico, si passa da “ah sì, quelli moderati, non sbraitano e riescono a bere il brodo senza far rumore”, a “sono quelli che hanno portato Mussolini al potere, appendiamoli!”, passando per l’intermedio “sono quelli che vogliono aprire una macelleria sociale fingendosi gatte morte, appendiamoli!”. O forse si tratta di qualche condono fiscale ed edilizio, mi dicono.

Però, tranquilli: Salvini e la Lega non diverranno eredi di Piero Gobetti, la cui bara è stata avvistata in Nuova Zelanda dopo aver bucato il terreno a colpi di spin (altrui). Salvini e la Lega sono solo le ultime vittime di una televendita del nulla, iniziata molti lustri addietro, dove a colpi di stronzate fischietto per cani un po’ tonti (l’elettorato), si cerca di vendere loro la fontana di Trevi. Quando arriva il risveglio della realtà, si cerca disperatamente una marmotta nuova ma somigliante alla precedente, nel frattempo morta di vecchiaia. E via, verso nuove televendite.

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