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Lega Pride: l’orgoglio leghista

Due giorni fa c’è stato il Lega pride, la manifestazione dell’orgoglio leghista. Un orgoglio impastato di una cultura leaderistica, in cui si annulla ogni procedura democratica, ma non la militanza di partito e il buon governo locale.

Un orgoglio di un popolo che non ha costruito la sua storia politica su ideali, ma sulla difesa localistica del denaro da “Roma ladrona” e sulla paura del diverso. Non c’è una storia dietro il grido di “Padania libera”, non è mai esistita una nazione padana. Non c’è una costruzione razionale dietro il livore verso gli immigrati.

Uscita da un passato senza congressi (l’ultimo risale a dieci anni fa) la gente leghista si appresta oggi ad acclamare un nuovo laeder.

Il popolo della Lega non ha mai amato Berlusconi e il suo modo di vivere. Così come non ha amato vedere i suoi parlamentari costretti a difendere ministri e parlamentari imputati per concorso esterno in attività mafiose.

Lo sanno pure i polli che la difesa di questa gente è incompatibile con la storia della Lega, con la sua azione politica per la gestione della crisi. Sembra che per seguire Berlusconi questo partito abbia smarrito la sua natura.

Ma è difficile dimenticare la Lega prima di tangentopoli, quando la reazione a “Roma ladrona” si esprimeva in ricorrenti inviti all’evasione fiscale.

Cosi come è difficile non tener conto che la secessione, le posizioni omofobiche e razziste per la loro natura ai confini con la illiceità, sono stati e sono il ventre molle di un popolo che non può mai essere una barriera invalicabile per le scorie berlusconiane, ma solo un tessuto su cui queste facilmente attecchiscono.

E oggi la gente leghista assiste sgomenta alle vicende della family, alle indagini che coinvolgono Bossi jr, la moglie del senatur e la gente del cerchio magico. Una sporca faccenda di sodi pubblici che diventano soldi privati, per foraggiare cantanti scuole, ecc.. E dietro tutto ciò, ci sono affari e rapporti, ancora tutti da chiarire.

Così quella che prima era la rabbia e l’orgoglio di questo popolo, diventa oggi l’abbraccio fideistico ad una bandiera, ad un simbolo in cui non si crede più. Uno su tre considera Bossi parte della casta.

E non migliora la situazione quando il Senatur spiega le dimissioni del figlio, non come un atto dovuto al popolo leghista, ma come l’abbandono di un lavoro di cui si era stancato, o quando risponde alla richiesta pressante della base per le dimissioni di Rosy Mauro, con un “vedremo” che suona come giustifica della sindacalista.

La Lega del cappio, della legalità, della serietà, del rapporto leale con i propri iscritti esiste ancora?

Certo che la Lega è una macchina che perde pezzi e più passa il tempo più perde pezzi: i pezzi della sua anima, della sua natura.

Troppi i compromessi, troppe le bugie per gli interessi personali di qualche dirigente. Il rischio di contatti mafiosi per i parlamentari leghisti è palpabile e concreto. Ma forse è più di un rischio. Troppi mafiosi infiltrati, troppe le immunità approvate dai parlamentari leghisti per salvare camorristi e mafiosi, per essere necessità di un alleanza.

E tutto ciò è l’inizio della fine. 

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