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Lega Bifronte. Lo scontro finale tra Bossi e Maroni è solo rimandato

Dobbiamo chiedere scusa ai leghisti. Molto spesso li abbiamo criticati anche ferocemente per la loro fede bossiana di tipo quasi religioso: "l'Umberto ha deciso così e non si discute". 

Il regime interno della Lega più che a quello di un partito somigliava molto da vicino a quello di una caserma. E' evidente che ormai non è più così.

Dopo l'ultima Pontida e a partire dai tre congressi provinciali, quello di Varese in particolare, tenutosi nell'autunno scorso, si è fatta sempre più evidente una divergenza di linea fra i fedelissimi al capo e i contestatori vicini a Maroni.

All'inizio in modo cauto, quasi sotto traccia, e poi via via in modo sempre più chiaro. Fino ad arrivare allo scontro aperto e pubblico di questi giorni, in cui sono venuti finalmente al pettine alcuni nodi non più rinviabili: l'"affaire" Cosentino, gli investimenti speculativi in Tanzania di cui gli stessi alti gerarchi leghisti non sapevano niente, l'antica questione dei mancati rimborsi ai militanti boccaloni che avevano investito nella Credit Euro Nord, la banca leghista da tempo fallita, la successione dinastica (Trota) alla poltrona di segretario politico, la nomina di parenti e amici del capo, il commissariamento di sezioni non allineate con l'ortodossia made in Gemonio, il rapporto con il PdL, ecc.

Venerdì 13 gennaio. La posizione di Bossi è netta. Viene proibito a Maroni di partecipare da solo a iniziative pubbliche indette dalla Lega. Questa la fatwa in salsa padana contro il reprobo.

La posizione di Maroni, il sassofonista messo agli arresti domiciliari, affidata soprattutto a Facebook e Twitter, è timida, apparentemente quasi rassegnata: "Mi hanno appena chiamato per comunicarmi che la segreteria nazionale ha deciso di impedirmi gli incontri pubblici già programmati in tutta la Lombardia [...] Non so perché, nessuno me lo ha spiegato, sono stupefatto, mi viene da vomitare: qualcuno vuole cacciarmi dalla Lega ma io non mollo".

La base insorge ed Erminio Boso, esponente storico della Lega, dichiara: "Non si toglie la parola ad un amico, non si toglie la parola ad un leghista, è un errore enorme e non mi resta che pensare che Umberto Bossi sia stato consigliato male".

Sabato 14 gennaio. Ventiquattro ore dopo, il colpo di scena. Bossi con una clamorosa marcia indietro smentisce tutto: mai posto veti o limitazioni a Maroni. Niente mordacchia all'oppositore quindi? Ma chi ci crede? Lo scontro finale è solo rimandato.

Come andrà a finire non si sa. Ci limitiamo a segnalare ancora una volta il concetto alto di democrazia che frulla nella testa dei fedelissimi di Bossi quale appare dagli interventi in diretta ai microfoni di Radio Padania. Solo un paio di esempi, tanto per capire il clima: "Se contestano Bossi, appena parlano pigliano tante di quelle legnate che non hanno neanche idea". "Se qualcuno si azzarda a dire 'Maroni segretario', è passibile di sanzioni".

E il conduttore della radio, per non essere da meno, in risposta alle critiche in diretta: "Bossi propone un pacchetto con alcune soluzioni. Se le condividete bene altrimenti votate altri partiti che ce ne sono tanti. Bossi è il segretario federale, punto e basta".

Una considerazione. Le notizie e le valutazioni di cui sopra sono da ritenersi assolutamente provvisorie. La situazione cambia di giorno in giorno e noi la monitoriamo attentamente pieni di speranza che le future e auspicabili liti interne alla premiata ditta Bossi U. & figli continuino a regalarci nuovi momenti di sana allegria.

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