Le vendette storiche di Tarantino
In “Bastardi senza Gloria” Tarantino immagina un gruppo di ebrei che, in reazione al genocidio programmato da parte dei nazisti, organizzava azioni di rappresaglia e strage di militari tedeschi senza risparmiare su violenza e crudeltá: ogni membro del gruppo dei Bastardi aveva l’obbligo di collezionare almeno 150 scalpi. Un senso liberazione veniva trasmesso allo spettatore dalle azioni di questo gruppo: liberazione dal sentimento della fatalitá, della sottomissione, dal sottostare al ruolo di vittima.
“Django Unchained” è ambientato negli stati razzisti del Sud degli Usa, due anni prima della guerra civile. L’ambientazione e lo svolgimento del racconto sono tali da trasportare lo spettatore nella vivenza delle vicende reali della storia pur restando nella sfera dell’immaginario. Anche notevole è il fatto che il film si svolge secondo canoni propri della Commedia Dell’Arte. Lo stesso personaggio del cacciatore di taglie (Christoph Waltz) svolge un ruolo che ricorda quello classico di Arlecchino: fidandosi della propria arguzia, della povertá di spirito degli avversari, riesce a manipolare ogni situazione sí da trasformarla a proprio vantaggio. Crudele quel che basta ma di animo generoso.
Tarantino, per un terzo italiano, un terzo irlandese e un terzo cherokee, crea un crogiuolo dove queste origini si mescolano creando una storia di lotta umana all’oppressione, all’annientamento, e cerca una rivalsa utilizzando il cinema come mezzo per riaccendere la memoria, immaginare un riscatto, anche se a posteriori. In molti episodi marginali ci sono riferimenti alla cultura europea, travisata e rivoltata peró, dal mondo degli schiavisti. Come il nome di d’Artagnan, eroe della lealtá, citato in un episodio di lacerazione delle carni di uno schiavo da parte di cani,
O come quando l’ascoltare il Für Elize di Beethoven suonato con l’arpa dalla padrone di casa della piantagione fa insorgere il cacciatore di taglie per l’uso indegno fatto di questa musica in quell’ambiente.
Ma Tarantino pone anche delle domande: se gli schiavi, che sono la maggioranza, si ribellassero chi potrebbe fargli fronte? La risposta indiretta forse sta nel mostrare la struttura di potere gerarchico organizzato nelle piantagioni, dove tra gli schiavi stessi esistono dei collaborazionisti, come il personaggio interpretato da Samuel Jackson, che a loro volta si appoggiano su di una struttura di complicitá, di interessi personali, che rendono possibile la riproduzione dei rapporti di potere.
I riferimenti al cinema italiano degli Anni Sessanta, i famosi spaghetti western, sono espliciti e diretti. Come il cappello di Django che riprende quello del film di Corbucci, cosí come l’uso diretto della violenza e della crudeltà come azione diretta, non mediata dalla vergogna. Le scene di violenza nei film di Tarantino possono a volte sembrare indecenti. Ma, anche nelle scene piú crude egli rappresenta la violenza per quello che é, spesso esagerandone le conseguenze cosí da assumere una lieve tinta umoristica. Essa si erge comunque a contrapposto alla violenza impersonale e asettica che viene usata attualmente nelle dispute internazionali. La violenza in Tarantino ha come un ruolo di liberazione dal conflitto e di ristabilimento dell’ordine.
Django è un film sulla schiavitù visto questa volta dalla parte degli schiavi. Per questo le scene di violenza sugli schiavi non hanno quella certa componente sotterranea di compiacimento mascherato da compassione per le vittime. In Tarantino, sia le vittime che i carnefici sono crudi, riportati alla loro essenza, come se non dovessero rispondere all’opinione pubblica moderna.
In Django si combinano la funzione educativa e di divertimento. Il film trascina lo spettatore in un susseguirsi di situazioni intrecciate come quelle di una commedia. I personaggi infatti non sono approfonditi nella loro psicologia ma si muovono motivati dalle situazioni in cui si trovano ad agire e a cui devono dare una soluzione. E le azioni cosi come le soluzioni hanno sempre un sottofondo di humour non tanto per provocare una risata ma quanto basta per mantenere una sensazione di godimento, di appagamento continuo che poi permette di seguire Tarantino fino alle sue conclusioni.
Un paragone possibile, per quanto riguarda il ruolo della violenza potrebbe essere con il “Salò” di Pasolini. Anche lì la violenza viene rappresentata nella sua crudezza, ma assumendo peró una forma drammatica e con qualche riferimento religioso: “Dio perché ci hai abbandonato?” invoca il personaggio affondato nello sterco. Mentre in Tarantino non c’è posto per Dio: ci sono gli esseri umani, la loro storia. La violenza funzionante infine come fattore di riequilibrio nella economia psichica degli esseri umani.
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