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Le tre forme di finanziamento della UE

La Legge di Stabilità 2015, partorita dal governo Renzi, sembra appartenere al teatro di varietà. Parrebbe essere uno di quei cavalli di battaglia che resero celebri, fra gli altri, Ettore Petrolini, Renato Rascel ed Erminio Macario. Spesso le scenette più esilaranti che essi proponevano al pubblico erano incentrate su questioni di soldi. Soldi che non c’erano, ovviamente, e debiti che non si potevano saldare, per cui non rimaneva che adottare gli stratagemmi del caso. Il teatro di varietà ne è un compendio di tali stratagemmi; esso traeva dalla vita le vicende che portava in scena con successo.

Le strategie finanziarie europee, e di riflesso quelle dei paesi della UE sotto scacco, come l’Italia, hanno abbondantemente tratto dagli espedienti che erano oggetto di spettacolo comico. Il classico rimedio di spogliare un santo per vestirne un altro, sembra essere il cavallo di battaglia privilegiato da questa strana unione di stati che ha portato l’Europa sull’orlo della dissoluzione. A guardarci bene, dentro i trattati ed i meccanismi di finanziamento dell’Unione Europea, ci si accorge quanto tossica sia stata per l’Italia la scelta di aderirvi. Quando a scuola ci interrogavano in geografia e ci chiedevano quali fossero le risorse del nostro Paese, bastava dire patate, tabacco e barbabietola da zucchero. Non si poteva sbagliare; la prova provata era già il grande traffico di tir carichi di barbabietola che transitavano d’estate verso lo zuccherificio di Strongoli; uno dei miti della vocazione industriale e produttiva del territorio crotonese; così come lo erano gli impianti per la lavorazione del pomodoro. Del resto, volgendo lo sguardo al nord, dopo il 1986 l’Eridania divenne il più grande produttore europeo di zucchero.

Ecco, la coltivazione di barbabietola e quindi la produzione di zucchero è stata una delle prime proibizioni imposte all’Italia dall’Unione Europea. Per farla breve, le ragioni della UE stanno nei seguenti termini. In Europa c’è libera circolazione di merci e di persone, e per le merci prodotte dai paesi dell’area euro, destinate a quel mercato, non si pagano dazi; ma li pagano i paesi extracomunitari che esportano verso i paesi dell’Unione. Tre sono le forme di finanziamento a sostegno della UE: i dazi; una quota dell’Iva prelevata da ogni singolo stato dell’Unione e una quota di adesione stabilita annualmente, al lordo di versamenti extra. I paesi che hanno sottoscritto i trattati, hanno rinunciato a condividere gli introiti dei dazi; essi sono incamerati esclusivamente dalla UE; più dazi si incassano e più congrue diventano le risorse che poi confluiscono nelle casse europee, dicesi BCE. Questo spiega perché l’Unione Europea ha imposto e addirittura incentivato l’abbandono di talune attività produttive agro-alimentari; dallo zucchero al latte, dalla frutta, comprese clementine, arance di Sicilia e mele del Trentino, sino ai pomodori. Meglio se arrivano dal Marocco, dalla Cina, dal Canada questi prodotti, perché pagano dazio. Ai coltivatori italiani arrivano invece una manciata di monetine; ai pescatori è stato detto di vendere reti e barche in cambio di un sussidio; al novellame di sarda è stato sostituito il cinese “neosalanx” o “pesce ghiaccio”.

Paletti conficcati nel cuore dell’economia di uno Stato che sicuramente stava molto meglio quando non c’era l’Unione Europea e benissimo quando non c’era l’euro. E sono passati già 15 anni da quando la lira è andata in pensione e l’Italia si riscopre indebitata sino al collo; ricondotta indietro nel tempo sino al secondo dopoguerra; appesantita da un giogo fatto di regole assurde, di parametri letali, di trattati capestro, di stratagemmi finanziari da teatro di varietà, che comici di razza portavano in scena per far ridere col meccanismo del paradosso. Ma l’applicazione nella vita reale di quei paradossi e di quegli stratagemmi da parte di politici rampanti fa risaltare la differenza che passa tra un comico di una volta e un pagliaccio di oggi.

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.74) 23 ottobre 2014 18:35

    Complimenti signora Antonella, anche se più che Teatro di varietà sembra Teatro dell’oppresso.

  • Di (---.---.---.13) 24 ottobre 2014 12:49

    Sì,ma renzi che c’azzecca con queste imposizioni se sta solo da otto mesi e non da otto anni?

    • Di (---.---.---.9) 24 ottobre 2014 18:02

      In otto mesi, se lui fosse stato quello che dice di essere, cioè il salvatore dell’Italia e il rottamatore della vecchia politica, avrebbe avuto il tempo di portarci fuori da questo inferno, invece a lui, quanto a re Giorgio, sta a cuore fare in modo che gli italiani ne alimentino le fiamme per bruciare meglio. Questo è quello che ne deduco; invece quello che so con certezza è che Matteo Renzi; Adolf Hitler e Benito Mussolini sono per la politica quello "Osso, Mastrosso e Carcagnosso" sono stati per la mafia, di quella molto meno potente di quella finanziaria che governa l’Italia e il vecchio continente....

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