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Le riforme istituzionali? Un suicidio

Le riforme istituzionali? Un suicidio

E’ stata bandita la tavola delle riforme con due piatti forti: il semipresidenzialismo e il federalismo. Viene prospettato un potere duale affidato al Capo dello Stato, eletto direttamente dai cittadini, con ampi poteri e un mandato quinquennale coperto da immunità e al Presidente del Consiglio nominato dal Capo dello stato con la fiducia della Camera. Viene eliminato il bicameralismo perfetto con la Camera che ha poteri deliberanti nelle materie di competenza legislativa statale esclusiva e il Senato federale che esamina i disegni di legge di competenza legislativa statale concorrente. Il bicameralismo perfetto rimane solo per le leggi costituzionali, le leggi sulla perequazione delle risorse, il coordinamento della finanza pubblica, i livelli.
Bersani ha posto come precondizione per sedersi al tavolo delle riforme la modifica della legge elettorale. Ma è sufficiente? E il monopolio informativo, il conflitto d’interessi?
 
Il monopolio informativo di un editore puro è una patologia della concorrenza del libero mercato. Ma quando il monopolio fa capo ad un editore titolare di altri interessi allora esso diventa strumento di potere, giacché viene utilizzato non solo per il profitto ma per la difesa di altri interessi estranei all’editoria. In quest’ambito si genera il conflitto di interessi. Si può ricordare quello sanitario di Angelucci padrone dei giornali “Libero” e “Il riformista” quello bancario, di Banca intesa e Mediobanca che controllano "Il Corriere della Sera" quello automobilistico della Fiat che possiede “La Stampa”.
 
Ma il conflitto d’interessi trova la sua espressione più vasta e più importante nell’impero mediatico nazionale del Presidente del Consiglio Berlusconi, a difesa dei suoi interessi politici ed intersettoriali.
 
Quando si possiedono tre tv, si controllano politicamente altre due, giornali, periodici, le fonti di finanziamento della stampa quale la pubblicità, quando si colpiscono i giornalisti più noti e più liberi (vedi editto bulgaro) per minacciare i più giovani, i più indifesi e l’opposizione non ha la forza e la capacità di difenderli, si comanda il Paese.
 
Ma se con la tv si comanda il Paese, si comanda anche il processo riformatore. E questo è un primo dato, di una partita che non si gioca ad armi pari. C’è chi ha gli strumenti per condizionare gli avversari, e chi tali strumenti non ha. Peraltro il pericolo di deriva plebiscitaria insito in un monopolio informativo di fatto colloca in una luce diversa le principali riforme oggi presenti sul tavolo.
 
L’elezione diretta del Capo dello Stato da parte dei cittadini si rapporta oggi con criteri dominanti per il successo in politica che sono: la celebrità, la seduzione, la visibilità. L’ideologia e il partito contano sempre di meno, la personalità e il fascino del laeder sempre di più. Il laeder vincente è quello che è in sintonia con i codici di una società mediatica e ha gli strumenti per dominarla. In queste condizioni sarà facilissimo per un monopolista dell’informazione farsi eleggere Presidente.
 
Mentre il federalismo determinando lo spostamento del baricentro politico dalla dimensione centrale alla dimensione locale rende allarmante per la vita democratica i monopoli informativi regionali e i connessi conflitti di interesse.
 
Peraltro ai nastri di partenza i disegni politici riformatori non sono tutti sulla stessa linea. C’è chi è già partito e chi è ancora fermo. Il processo riformatore della maggioranza non parte da zero ma dalla lesione di taluni principi costituzionali attuata attraverso una serie di leggi approvate o in corso di approvazione e un processo di condizionamento mediatico. La legge elettorale, la legge sul legittimo impedimento e tutte le leggi ad personam pesano come macigni sugli istituti oggetto del confronto ed in particolare sul presidenzialismo e sull’immunità del Capo dello Stato.
 
Il tutto è reso ancora più angoscioso dalla possibilità abbastanza concreta dello sviluppo di concezioni secessionistiche già oggi alimentate dalla strategia mediatica leghista.
 
In uno scenario così devastato è un suicidio parlare di riforme istituzionali. Un suicidio per l’opposizione, un suicidio per l’Italia.
 

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